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Il ricatto funziona, l’Irlanda vota si all’austerity targata UE

Niente da fare per il fronte anti-UE in Irlanda. Alla fine l’ha spuntata il si al ‘fiscal compact’ con il 60,29% dei voti a favore. Un risultato ancora non ufficiale ma considerato definitivo dalla stampa irlandese visto che ormai si è concluso lo spoglio delle schede votate durante la giornata di ieri.

Un dato significativo è l’alta astensione; la scarsa partecipazione alle urne era stata predetta dai sondaggi della vigilia, giustificata da vari motivi. Il carattere non particolarmente vincolante per il governo di Dublino, e soprattutto per i paesi che hanno adottato l’accordo intergovernativo; il fatto che se avesse vinto il No come accaduto nei due referendum precedenti gli elettori sarebbero stati richiamati alle urne per ottenere finalmente un Si; la poca chiarezza sulle richieste implicite nel quesito.
Nel referendum si sono espressi a favore soprattutto le aree rurali dell’isola e i quartieri della classe media di Dublino, mentre la quantità maggiore di no è venuta dalle aree urbane abitate dagli operai, dai lavoratori dipendenti e in proprio. Il no si è attestato al 39,7% e ha ottenuto la maggioranza solo in cinque delle 43 circoscrizioni elettorali irlandesi, segnalando che il sentimento anti-europeo è più forte nelle aree più povere di Dublino e nella contea nordoccidentale di Donegal.

Al voto sono andati appena metà degli aventi diritto (3,1 milioni in tutto), ma il referendum è  valido in quanto la legge irlandese non prevede un quorum minimo per la validità della consultazione.

L’esito del referendum non era scontato, per giorni i due fronti contrari e a favore si sono scontrati aspramente. Da una parte i partiti di governo – il Fine Gael del premier Enda Kenny e i laburisti, l’opposizione di centro del Fianna Fail – dall’altra i repubblicani di sinistra dello Sinn Fein, i socialisti dell’Alleanza delle sinistre, alcuni ambienti di destra.

Sul voto ha sicuramente pesato il ricatto della concessione di aiuti economici da parte dei partner europei presentati come indispensabili per l’asfittica economia dell’ex tigre celtica ormai in recessione da sette anni. Se avesse vinto il NO, era la minaccia, non sarebbero stati concessi a Dublino i fondi del Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes). Il leader del Sinn Fein, Gerry Adams, molto popolare, aveva chiesto ai suoi concittadini di non farsi ingannare e di mandare un segnale forte contro l’arroganza delle banche e delle oligarchie europee e di difesa della sovranità nazionale irlandese. Ma così non è stato…

L’Irlanda diventa il quinto Paese (con Lettonia, Slovenia, Danimarca e Portogallo) ad avere ratificato l’accordo intergovernativo che inseriscono nella propria costituzione i criteri di austerità di bilancio fissati dall’Unione Europea e che impegnano i rispettivi governi alla riduzione del debito. Firmato a 25, con l’esclusione di Regno Unito e Repubblica Ceca, il meccanismo automatico entrerà in vigore quando sarà stato ratificato da almeno dodici Paesi.

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