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Dopo la Grecia, ecco la Spagna

Il Fondo Monetario Internazionale ha già cominciato a studiare i piani di emergenza. A cominciare da un prestito straordinario alla Spagna, se Madrid non riuscirà fondi sufficienti per il salvataggio di Bankia.
Nelle scorse ore il portavoce del Fmi, Gerry Rice, aveva frettolosamente smentito che si stesse lavorando a un programma di assistenza finanziaria per la Spagna. Stesso discorso sulle voci di una richiesta di aiuto da parte del premier di destra Rajoy. I mercati hanno però reagito negativamente, dando per scontato che la situazione è molto più seria di quanto ammesso.
Il direttore generale del Fmi, la francese Christine Lagarde, ha infatti incontrato il vice primo ministro spagnolo, Soraya Saenz de Santamaria. Mentre era già stata decisa una missione  degli ispettori del Fondo a Madrid, Il 4 giugno,  per la consueta relazione annuale sull’economia spagnola.
Intanto, però, in Spagna è già iniziata la fuga dei capitali. Secondo i dati della Banca centrale spagnola,  nei primi tre mesi dell’anno sono stati ritirati dalle banche iberiche e portati all’estero 97 miliardi di euro. La somma è pari a circa un decimo del Pil spagnolo.

In queste condizioni sarebbe logico un intervento unitario e coeso della comunità europea. Ma le cose sono andate in tutt’altro modo, in tarda serata, nel corso di una teleconferenza tra leader europei e il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. Questo il resoconto da Repubblica online.

Lite tra Monti, Hollande e Merkel sul rischio contagio da Madrid
Spaccatura fra i leader europei di fronte ad Obama in teleconferenza. Pressing sugli aiuti ma è no tedesco. La Cancelliera: “La Germania non regalerà soldi alle banche spagnole”. Il premier italiano: “Berlino rifletta subito”

di ALBERTO D’ARGENIO
ROMA – “No, la Germania non regalerà soldi alle banche spagnole”. Per tre volte Barack Obama, Mario Monti e Francois Hollande vanno alla carica. Per tre volte Angela Merkel dice di no. In inglese e, per non sbagliare, in tedesco. La Cancelliera è irremovibile. E così alla teleconferenza dell’altro ieri pomeriggio l’Europa clamorosamente si spacca. Per la prima volta davanti a Obama. Qualcosa che gli europei volevano evitare. Come testimonia un’altra teleconferenza. Quella del 17 maggio, quando Monti, Merkel, Cameron e Hollande in partenza per il G8 di Camp David decisero che almeno di fronte agli altri grandi si sarebbero dovuti mostrare compatti. Poi le beghe su come rilanciare la crescita per risolvere la crisi le avrebbero risolte tra loro, al rientro in Europa. Compito già arduo (e in alto mare) da portare a termine entro il summit Ue del 28 giugno (ieri confermata per il 22 la riunione preparatoria a Roma tra i leader di Italia, Francia, Germania e Spagna) sul quale poi si sono innestati i bubboni di Grecia e Spagna.

Ma è l’urgenza della bomba iberica a rendere evidenti le spaccature. Il tempo stringe, dopo Bankia potrebbero saltare altri colossi del credito di Madrid. E l’Europa deve tenersi pronta a intervenire per evitare la disintegrazione della sua moneta che metterebbe fine ai discorsi su Grecia, crescita, futura governance e quant’altro. Le contromisure da mettere in campo le ha illustrate mercoledì il presidente della Commissione europea Josè Barroso.

La costruzione di un’Unione bancaria con un sistema di supervisione unico a livello Ue, una garanzia europea dei depositi bancari e l’intervento diretto del fondo salva-stati europeo (l’Efsf che si trasformerà nel più potente Esm) nel salvataggio delle banche. Con il terzo pilastro da anticipare, da mettere subito in campo modificando lo statuto dell’Efsf per tenere in piedi la baracca, per evitare l’immediato tracollo dell’euro e avere il tempo di mettere in piedi quel “Fondo di risoluzione” per gli istituti di credito che Bruxelles proporrà a breve, forse già mercoledì prossimo.

È su questo sfondo che va vissuta la video-telefonata di mercoledì. Obama (spaventato che la crisi dell’euro contagi gli Usa e comprometta la sua rielezione) apre sostenendo l’Unione bancaria e l’intervento diretto del fondo salva-Stati per le banche spagnole. Monti e Hollande (che preferisce ancora parlare in francese) sono sulla stessa linea. La Merkel no. “La Germania è contraria a un intervento diretto dell’Efsf, non vogliamo che il fondo, che opera con soldi dei governi, spenda milioni in cambio di collaterali di banche già cotte. Non vedo perché dovremmo possedere pezzi di banche fallite”. A poco sono servite le insistenze dell’agguerrito terzetto. Monti ha cercato di convincere la Cancelliera rassicurandola (frase ripetuta ieri in pubblico) sul fatto che l’Italia è “contraria a cambiare lo statuto della Bce”. Dunque, ha ragionato, se l’Eurotower non avrà più poteri almeno “ci vuole la Banking Union e l’intervento dell’Efsf”. E ancora, i tre hanno fatto notare che se la Spagna, come vuole la Germania, prima prenderà i soldi del fondo salva-Stati e poi salverà le banche si rischia un effetto domino dei mercati. “Non solo il suo debito pubblico crescerà aumentando la sfiducia degli investitori, ma i mercati considereranno Madrid parzialmente insolvente e lo spread andrà alle stelle rendendo tutto ancora più pericoloso”. Posizioni che ognuno dei tre ha ripetuto in tre diversi round della conferenza. Alle quali la Cancelliera ha puntualmente detto di no, deludendo chi sperava che l’aggravarsi della situazione l’avrebbe spinta a più miti consigli.

Ma il pressing non si arresta. I quattro, recita il comunicato della Casa Bianca, hanno deciso di “continuare a consultarsi da vicino” in vista del G20 di Los Cabos, Messico, del 18 giugno. E non è un caso che ieri Monti abbia detto che la Germania “deve riflettere profondamente e rapidamente” su come bloccare il contagio della crisi riferendosi all’Efsf e alla crescita. Bruxelles intanto andrà avanti: forse già mercoledì presenterà il Fondo di risoluzione per le banche, un salvadanaio salva-banche che dovrà essere riempito dagli stessi istituti per assicurarsi dai rischi futuri visto che gli stati non hanno più soldi per salvarli. Ma anche su questo – il fondo comunque non farebbe in tempo a risolvere la crisi iberica – ci sono opposizioni. Della Gran Bretagna di Cameron, contraria anche alle regole di supervisione europea ripugnanti per la City, e delle stesse banche, che dicono di non avere risorse da mettere nel fondo. Gli europei hanno poche settimane per trovare la quadra.

 

Sono ore molto più drammatiche di quanto venga deto anche in questo articolo, però. La “tenuta” della costruzione europea è questa volta seriamente a rischio. La Spagna è infatti un paese “grande”. Un suo precipitare nel marasma in stile Grecia avrebbe necessariamente ben altre conseguenze. Italia e Francia (inutile parlare del Portogallo o di altri paesi minori) sarebbero quasi immediatamente trascinati nel gorgo. E la stessa Germania, a quel punrto, smetterebbe di essere un leader globale credibile.

Probabile, stamattina, una pessima reazione dei mercati.

Per gli scenari poossibili, ecco il quadro elaborato da Il Sole 24 Ore.

Il destino dell’euro è il destino della Spagna. Ecco gli scenari possibili per il cambio euro/dollaro

Vito Lops

L’euro oscilla intorno a 1,24 dollari, sui minimi degli ultimi due anni nei confronti del biglietto verde. La divisa unica sta perdendo smalto nelle ultime sedute, complice l’intensificarsi della crisi dell’Eurozona acuita dalle tensioni in Spagna (dopo che Bankia ha ammesso di aver bisogno di un salvataggio da 19 miliardi di euro).

La Spagna che – come rilevano gli esperti di Cmc markets – da sola vale il doppio di Grecia, Irlanda e Portogallo messe insieme, preoccupa. E divide gli analisti: c’è chi pensa che ricorrerà al forzoso piano di aiuti della Troika (Ue-Bce-Fmi) mentre la maggior parte ritiene che riuscirà a salvarsi per una terza via, magari la stessa auspicata ieri dalla Commissione europea e ribadita oggi dal governatore della Banca centrale europea, Mario Draghi («si sta cercando il modo per utilizzare il fondo salva-Stati per ricapitalizzare» le banche in difficoltà»).

In ogni caso, il destino della Spagna è agganciato a quello dell’euro. Così come l’andamento della divisa unica non sarebbe certo indifferente alle decisioni che ci si augura vengano prese dai vertici europei in occasione del prossimo incontro di fine giugno, dagli Eurobond ai project bond al potenziamento della capacità e delle funzioni del fondo salva-Stati.

Dove andrà quindi l’euro. Tornerà al valore di partenza (1,18 dollari il 1° gennaio 1999). Oppure scenderà, come è successo tra il 2000 e il 2001, sotto la parità con il biglietto verde? Oppure, terzo scenario, tornerà verso il massimo storico di 1,57 toccato nel 2008?

Scenari a confronto
«Se la Spagna non dovesse riuscire a gestire la crisi con le proprie forze, e quindi se i problemi lanciati da Bankia colpiscono anche gli istituti maggiori, ci aspettiamo che il cross potrebbe tornare a testare nel medio termine, entro settembre, anche l’1,12-1,11, ovvero i minimi dell’agosto 2003 – spiega Vincenzo Longo, Strategist di Ig Markets Italia -. Questo scenario sarebbe giustificato dal fatto che la situazione in Europa sarebbe più grave del previsto e avere una valuta più forte o comunque allo stesso livello del dollaro statunitense non sarebbe giustificato dai fondamentali».

«Nel caso il governo riesca a far fronte alla crisi con le proprie forze, ci attendiamo che il cambio possa arrivare a 1,18-1,16 entro un mese sulla scia anche delle incertezze che ruotano attorno alla Grecia – continua Longo – Infine se il vertice di fine giugno dovesse concludersi con un nulla di fatto sulle nuove misure di crescita, scenario abbastanza improbabile a nostro avviso, il target di 1,16 potrebbe rappresentare un target abbastanza realistico. Il mercato guarderà alla tipologia di operazioni dispiegate. Il mercato, a nostro avviso, punta ad avere sempre il massimo ovvero gli Eurobond, ma l’opposizione dei Paesi core potrebbe fare optare per i cosiddetti project bond e a una modifica delle norme per poter permettere all’Esm di concedere direttamente liquidità alle banche in difficoltà».

Se la Spagna chiede gli aiuti europeri, a parere di Gabriele Vedani Managing Director di Fxcm Italia, sarebbe lo scenario che «instillerebbe il maggior grado di incertezza nei mercati, perchè di fatto,rimarrebbe l’alea sull’efficacia nel lungo periodo di questi aiuti. Questo è tanto più vero e grave dopo il fallito tentativo di salvatagggio della Grecia, che ha di fatto rotto quell’alea di invincibilità della costruzione europea. In tal caso l’euro rimarrebbe sotto pressione tanto più a lungo quanto più protratte fossero le incertezze. Discesa verso la parità nell’arco di un anno». Nel caso la Spagna riesca a evitare il contagio «sarebbe la soluzione migliore, anche se sinceramente a mio avviso meno probabile. L’Euro potrebbe salire decisamente, non mi aspetto chissà cosa ma un ritorno nel trading range 1,30/1,45 sarebbe sicuramente probabile». E se il vertice Ue si chiude con un nulla di fatto sugil Eurobond? «Le reazioni del mercato – conclude Vedani – sarebbero molto simili a quelle del punto 1, con in più la difficoltà della gestione del contagio ad altre nazioni, tra cui purtropppo l’Italia, che probabilmente necessiterebbero a loro volta di aiuti straordinari. Prima discesa verso 1,18, rischio di approfondimento verso al parità entro al fine dell’anno molto concreto».

Effetto Grecia
« Riteniamo che le attuali tensioni sui mercati finanziari continueranno a favorire un apprezzamento del dollaro nei confronti dell’euro. Molto dipenderà dall’evolversi della situazione politica in Grecia che, considerati gli attuali risultati dei sondaggi relativi alle elezioni del 17 giugno, probabilmente non si risolverà così rapidamente. Il “flight to quality” in questa fase sta guidando le scelte degli investitori internazionali ; le posizione in euro vengono progressivamente tramutate in investimenti in dollari statunitensi, franchi svizzeri e yen giapponesi. Di conseguenza prevediamo un intervallo di oscillazione del cambio euro/dollaro per i prossimi tre mesi, tra 1.23 e 1.27 – spiega Fabio Barbato,
head of Investment Consulting di Credit Suisse
-. Se la delicata situazione dei paesi periferici dell’area euro dovesse ulteriormente peggiorare, con una percezione del “rischio” Spagna in aumento e un effetto contagio esteso anche all’Italia, il “panic selling” spingerebbe il cambio anche al di sotto di 1.23. Nel caso invece di una lenta e graduale normalizzazione, riteniamo che l’intervallo di oscillazione più appropriato del cambio eur/usd, per il prossimi 12 mesi, sia tra 1.26 e 1.30».

«Non escludiamo un calo a 1,13»
Più pessimista la visione di Antonia Babbini, responsabile Gestioni Patrimoniali di Banca Cesare Ponti: «Siamo positivi sul dollaro , indipendente dagli sviluppi che ci saranno sulla Grecia o sulla Spagna. L’Europa rimane con molti temi aperti sotto il profilo macroeconomico, deficit, debito, rallentamento economico, disoccupazione, ecc., che per il momento difficilmente potranno sostenere un recupero stabile dell’Euro. Il primo target tecnico che abbiamo è a 1.18, ma non escludiamo un overshooting a 1,13».

Alta volatilità
Per Luca Trabattoni, responsabile per l’Italia e il Mediterraneo di Ubp asset management «lo scenario che ha la maggiore probabilità di realizzarsi è quello che vede la Spagna che riesce ad evitare il contagio e salvarsi. Sicuramente la Spagna avrà bisogno del sostegno dell’Europa ma non vediamo uno scenario da amministrazione controllata come la Grecia o il Portogallo o l’Irlanda. In questo contesto il dollaro si manterrà nel breve periodo molto volatile potendo arrivare a rafforzarsi ancora in quanto al momento è considerato a breve un rifugio migliore rispetto all’Euro e rispetto anche ad altri rifugi sicuri come lo è stato l’oro fino a poco tempo fa che invece nel breve gode di minor favore ed è in calo. Questa situazione durerà fino a che non ci saranno segnali concreti che secondo noi però arriveranno in tempi rapidi da parte della Banca centrale europea, oggi ha parlato ancora Draghi indicando la disponibilità della banca Centrale a sostenere le banche solvibili dell’area euro, e il Fondo monetario internazionale attraverso il fondo salva-Stati o segnali positivi come un accordo per gli Eurobond».

Effetto Federal Reserve
«Questi scenari non tengono conto però di quello che potrebbe accadere dall’altra parte dell’oceano, dove l’economia statunitense continua a mostrare evidenti segnali di rallentamento su tutti i fronti – conclude Longo -. Ci aspettiamo che la Federal Reserve entro giugno intervenga con ulteriori manovre espansive (QE3) al termine dell’operazione twist lanciata lo scorso settembre. Riteniamo che la medesima decisione venga presa anche da parte della Bce, già a partire nel meeting di giugno (o al più tardi entro agosto), attraverso lo strumento di politica monetaria in suo possesso, ovvero un taglio dei tassi di interesse di 25 punti base. Questi due effetti potrebbero compensarsi. In ogni caso la speculazione contro l’euro è forte, come ha reso noto il Cftc la scorsa settimana, le posizioni speculative nette che mirano a un apprezzamento del dollaro contro euro hanno raggiunto i massimi storici. Non vediamo al momento appigli che potrebbero risollevare il cross. Probabilmente l’annuncio di misure straordinarie potrebbe portare a temporanei rialzi destinati però a svanire nell’arco di poche sedute».

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