Giovedì 6 aprile è stato indetto in Francia l’undicesimo sciopero “inter-professionale” e l’undicesima mobilitazione nazionale contro la riforma pensionistica.
La nuova legge, licenziata dalla Commissione Mista Paritaria, per volontà del presidente Emmanuel Macron non è stata votata all’Assemblea Nazionale Il governo guidato da Elizabeth Borne è ricorso per l’undicesima volta all’articolo 49.3, che permette all’esecutivo di approvare una legge aggirando il voto parlamentare.
Questo vero e proprio atto di forza ha incendiato – in tutti i sensi – le piazze d’Oltralpe, ulteriormente sollecitate dal fatto che, alcuni giorni dopo, solo il voto di qualche deputato ha salvato il governo di minoranza dalla mozione di sfiducia promossa in modo trasversale dal gruppo centrista “LIOT” e co-firmata dai 149 deputati della NUPES.
Il governo, che può essere sfiduciato per il ricorso al 49.3, l’ha scampata per un soffio (appena 9 voti) ma ha perso la sua “ruota di scorta” composta dai gollisti che, in 19 su 61 hanno votato la prima sfiducia, di fatto approfondendo la propria disgregazione e creando non pochi mal di pancia nella stessa galassia della Macronie: MoDem, Horizons, e Renaissance (l’erede di LREM), start-up politica di Macron.
Alla forzatura giuridica si è aggiunta la repressione di piazza, passando dal contenimento del dissenso al tentativo di annichilire l’opposizione politico-sociale con una narrazione – da parte del primo ministro Darmanin (un gollista passato alla macronie) e del presidente totalmente assolutoria rispetto all’operato delle forze dell’ordine.
E questo davanti a quanto accaduto a Sainte-Soline, dove la mobilitazione contro i mega-bacini idrici si è trasformata in una vera e propria macelleria per i manifestanti e, di fatto, nella tomba del diritto al dissenso.
Due persone in coma, di cui una ancora lotta tra la vita e la morte, molte altre persone ferite gravemente e l’annuncio della volontà di “dissolvere” il collettivo Les Soulevements de la Terre, cuore pulsante di questa mobilitazione ecologista.
Se il pacchetto di legge sulle pensioni è stato formalmente approvato, non è detto però che la legge possa entrare in vigore.
Il primo scoglio è il pronunciamento del Consiglio Costituzionale, che dovrà esprimersi entro il 14 aprile sulla costituzionalità o meno della legge, e che potrà esprimere una “riserva d’interpretazione”.
Questo organo composto da 9 giudici avrebbe differenti argomenti per giudicare la modalità di approvazione non confacente alla Costituzione per svariati “vizi di forma”, a cominciare paradossalmente dalle misure palliative come l’”index senior” e al cosiddetto “CDI senior” per i lavoratori più anziani.
Il rischio più grosso che corre il governo è quello che gli venga contestato un “détournement de procedure” come madre di tutti i difetti nel metodo, e non nel contenuto, della riforma: l’allungamento dell’età pensionabile a 64 anni dai 62 attuali, l’allungamento del periodo obbligatorio per i contributi pensionistici, un innalzamento delle pensioni minime per una quota risibile dei pensionati, e la soppressione di alcuni “regimi speciali” per certe categorie.
L’esecutivo, per una riforma che stravolge ulteriormente uno dei cardini del patto sociale francese, ha scelto infatti la procedura per la rettifica di bilancio (PLFSSR, l’acronimo in francese) ricorrendo all’articolo 47.1. Questo per tagliare i tempi di discussione parlamentare.
Inoltre ha usato l’articolo 38 al Senato, non permettendo la discussione con votazione per i singoli emendamenti, ma di fatto un solo voto in blocco, sul pacchetto intero, che ha avuto esito positivo nella Camera Alta, dopo che in quella Bassa erano stati discussi e votati solo i primi i 2 articoli.
Non ultimo, per chiudere, il ricorso al 49.3.
A questi palesi vizi di forma che hanno azzoppato il normale processo di discussione democratico-parlamentare si somma un fatto che avrà comunque un peso nelle decisione dei 9 giudici: l’estromissione dei corpi sociali intermedi (i sindacati, in primo luogo), con cui non solo non c’è stata “concertazione” ma nemmeno uno straccio di discussione, la totale indifferenza nei confronti delle sollecitazioni delle opposizioni – di sinistra come dell’estrema destra – il rifiuto della riforma da parte della maggioranza dei francesi, lo scarso consenso del governo, l’ulteriore crollo di un presidente eletto al ballottaggio.
Le statistiche sono però contro una possibile bocciatura – avvenuta solo 17 volte sulle 744 che questo organismo, decisamente conservatore, è stato consultato – ma il momento storico è abbastanza inedito, ed i giudici potrebbero ribadire la propria autonomia di giudizio e non farsi strumento della Macronie.
Una “riserva d’interpretazione”, senza una netta bocciatura, potrebbe essere l’exit strategy che consentirebbe di salvare capra e cavoli e costringere il governo a iniziare praticamente tutto da capo.
Se ciò non accadesse la legge potrebbe essere promulgata, ma entrerebbe però in scena la possibilità di un Referendum di Iniziativa Condivisa (RIP), depositato il 20 marzo alla Corte Costituzionale con 252 firme, sul quale il Consiglio Costituzionale deve pronunciarsi il 14 aprile.
Il referendum è uno strumento che, dopo la sua riforma, non è mai stati utilizzato e che la Corte non dovrebbe bocciare perché la sua richiesta rispecchia i principali criteri previsti per l’attivazione.
Allora, dopo i passaggi obbligati, si avrebbero 9 mesi per raccogliere circa 4,8 milioni di firme – il 10% degli aventi diritto – per convalidare la richiesta.
Come abbiamo più volte sottolineato è chiaro che ancora oggi la maggiore chance per l’opposizione politico-sociale è quella di costringere il governo al ritiro del pacchetto, ampliando il livello di mobilitazione per maturare rapporti di forza più favorevoli.
I settori strategici dell’economia francese sono ancora mobilitati.
Gli operatori ecologici parigini chiamano ad un nuovo “sciopero prolungato ed indeterminato” a cominciare dal 13 aprile, dopo avere tenuto banco per 3 settimane a marzo – con più di 10 mila tonnellate di rifiuti non raccolti nella capitale – sospendendo lo sciopero solo il 29 marzo.
La CGT-FTDNEEA fa comunque appello a mobilitarsi anche questo giovedì.
La categoria, a seconda delle mansioni, ha una età media piuttosto giovane – dai 12 ai 17 anni in meno rispetto ad altre – e passerebbe generalmente ad una età pensionabile di 59 anni, dai 57 attuali.
I lavoratori del petrolchimico mantengono la proclamazione di uno “sciopero prolungabile”, con il fermo di 4 raffinerie su 7.
Oltre a questi due settori – gli operatori ecologici erano in mobilitazione in differenti città – con modalità diverse, continuano ad essere coinvolti i lavoratori dell’energia e quelli degli scali portuali.
In questi giorni ci sono stati blocchi nelle principali arterie di città di media grandezza, oltre che nelle aziende dei settori maggiormente coinvolti nello sciopero, ma anche negli ospedali e nei depositi della logistica.
É continuata l’azione degli studenti delle medie superiori e degli universitari, che in queste settimane hanno fatto “cambiare pelle” al movimento contro la riforma pensionistica, e trasformato gli istituti e le università in epicentri di una protesta dal carattere sempre più “politico”.
Per quanto, questo governo vorrebbe velocemente girare pagina. Il movimento che da 3 mesi circa anima le piazze parigine continua ad essere una vistosa spina nel fianco per i piani del “Presidente dei ricchi” e potrebbe ora aumentare le proprie rivendicazioni rispetto ad un costo della vita che continua a mordere salari e redditi.
Una manifestante, esponendo un cartello scritto a mano con da una splendida foto di Olivier Roberjot, chiedeva: “Qualcuno ha visto la democrazia? É urgente, per favore”.
Ed è questo il sentimento che anima la maggior parte dei francesi, alla faccia di ciò che ci raccontano i giornalacci nostrani.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa