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Paese Basco: braccio di ferro sui prigionieri politici

Scioperi della fame, marce vietate e arresti, il PP condizionato dall’estrema destra non si muove. Il processo di pace è bloccato, lo scontento serpeggia nelle file della sinistra indipendentista basca.
Sono passati due giorni da quando il prigioniero politico basco Iosu Uribetxebarria ha messo fine ad uno sciopero della fame durato 15 giorni per chiedere il rispetto della legge spagnola che prevede la scarcerazione di chi – ed è il suo caso – soffre di patologie terminali incompatibili con la condizione carceraria. Uribetxebarria ha un tumore molto grave e la prossima settimana dovrebbe essere sottoposto ai primi cicli di radioterapia, ma da settimane il governo spagnolo e le autorità carcerarie prendono tempo e gridano alla strumentalizzazione politica, rimandando una decisione che la loro stessa legge contempla.

Il documento redatto dai medici che lo stanno curando non lascia spazio a interpretazioni: solo il 10% dei pazienti affetti da quel tipo di tumore sopravvivono più di 12 mesi. Eppure solo la mobilitazione capillare di decine di migliaia di cittadini baschi, delle associazioni per i diritti dei prigionieri e delle forze politiche della sinistra indipendentista hanno convinto una settimana fa la Segreteria Generale delle Istituzioni Penitenziarie – alle dipendenze del Ministero degli Interni di Madrid – a concedere all’uomo il ricovero nell’ospedale di Donostia e quindi il ‘terzo grado’. Ma ora la società civile basca chiede a gran voce la scarcerazione di Uribetxebarria, affinché possa essere adeguatamente curato, e affinché possa morire nella sua casa, con i suoi cari. Il suo caso è esemplare, paradigmatico della condizione di altri 13 prigionieri politici affetti da patologie gravissime o terminali che però né la Magistratura né il potere politico hanno nessuna intenzione di rilasciare.

E così a partire dal caso di Iosu Uribetxebarria nelle ultime settimane manifestazioni con decine di migliaia di partecipanti si sono svolte a Donostia, a Bilbao e nelle altre città basche. Ma ora il governo spagnolo si sente con le spalle al muro, e ha ricominciato a proibire le iniziative di piazza: ieri la Audiencia Nacional – il tribunale speciale antiterrorismo ereditato dal franchismo – ha proibito una marcia convocata da Herrira a Bilbao, così come un pranzo sociale di solidarietà coi prigionieri previsto all’interno dello spazio autogestito dalle associazioni all’interno del programma delle feste.

Mentre davanti all’ospedale di Donostia dove è ricoverato Uribetxebarria decine di persone si danno il cambio per animare un presidio permanente, prosegue lo sciopero della fame di massa dei prigionieri baschi rinchiusi nelle carceri di Spagna e Francia, con una partecipazione che non si vedeva da anni. L’altro ieri il numero di prigionieri che avevano aderito alla protesta ha toccato quota 550, in 66 diverse carceri. Anche davanti all’ospedale ci sono attivisti e familiari in sciopero della fame (ieri erano 31), avendo raccolto il testimone dal prigioniero impossibilitato a continuarlo a causa delle proprie gravissime condizioni di salute. Scioperi della fame simbolici verranno realizzati nel fine settimana in decine di città e piccoli centri della geografia basca. Ieri nove attivisti che si erano rinchiusi nella Cattedrale di Pamplona per chiedere la liberazione immediata dei prigionieri malati sono stati arrestati dalla Polizia Spagnola.

A dare man forte al partito del ‘No’ si sono schierati alcuni quotidiani vicini alla destra e i settori più reazionari del Partido Popular, che tramite l’Associazione Vittime del Terrorismo stanno tentando di ricattare lo stesso governo criticando addirittura la concessione del ricovero ospedaliero e del ‘terzo grado’ a Uribetxebarria. La AVT ha annunciato ieri manifestazioni nei pressi di alcune prigioni soprannominate ‘Marce per la giustizia’ per esigere che ‘la legge prevalga e sia inflessibile con gli assassini’. La prima manifestazione dovrebbe svolgersi mercoledì dalla prigione di Murcia 1 a quella di Murcia 2, nel sud della Spagna. Nel frattempo la presidente della AVT, Ángeles Pedraza, ha annunciato che la sua associazione consegnerà a tutti i direttori delle carceri e ai prefetti di tutte le città una lettera per denunciare ‘l’umiliazione della memoria e della dignità delle vittime del terrorismo’. L’AVT minaccia poi proteste eclatanti se il governo applicherà la legge che prevede la scarcerazione dei prigionieri malati gravemente. Ieri uno dei sette iscritti che ha minacciato di intraprendere lo sciopero della fame se Uribetxebarria verrà rilasciato ha denunciato che il prigioniero “è grave, non terminale”, ed è stata la stessa Segreteria delle Istituzioni Penitenziarie a replicare: “la legge permette la messa in libertà di quei prigionieri che siano gravemente malati o affetti da una infermità incurabile”. Qualche giorno fa Angel Yuste, il direttore delle Istituzioni Penitenziarie, aveva risposto alla Procura dello Stato che insinuava che non era necessario trasferire Uribetxebarria in ospedale, visto che poteva essere curato in carcere. “Nelle prigioni ci sono solo delle infermerie che sono come centri di prima cura e non certo ospedali”  aveva detto Yuste.

La pressione dell’estrema destra interna ed esterna al PP è forte se ieri il Ministro degli Interni Jorge Fernández – esponente del partito di Rajoy – si è dovuto giustificare rispondendo alle critiche che gli piovono addosso in continuazione. “Se non avessimo concesso il terzo grado a Uribetxebarria saremmo stati passibili di una denuncia per un delitto di prevaricazione” ha detto il ministro che poi però ha definito la decisione molto dolorosa segnalando che “era sottomessa all’imperio della legge. E se non ci piace la legge bisogna cambiarla”.

Il braccio di ferro e le resistenze del PP e dei poteri forti che governano la Spagna (al di là delle mutevoli maggioranze parlamentari) rende evidente che una amnistia generale e completa – sul modello di quanto accaduto in Irlanda del Nord – non sembra affatto alle porte. E se non si risolve il problema dei prigionieri è evidente che il conflitto violento che dura da decenni non potrà considerarsi risolto. Lo ha fatto presente qualche giorno fa la candidata a ‘lehendakari’ (governatore) per la sinistra indipendentista Laura Mintegi, beccandosi da politici avversi e stampa l’accusa di ‘minacciare il ritorno alla lotta armata’. E’ in questo contesto che il 21 ottobre si voterà per il rinnovo del parlamento e del governo della Comunità Autonoma Basca, dopo che il lehendakari uscente, il socialista Patxi Lopez, ha gettato la spugna decidendo le elezioni anticipate. E’ passato un anno esatto da quando l’ETA ha annunciato la fine definitiva della sua attività armata e nel frattempo dall’altra parte della barricata – il caso di Etxebarria ne è solo un esempio – nulla si muove. Lo scontento per l’impasse nel processo di pace serpeggia sempre di più tra i militanti della sinistra indipendentista e in particolare tra i prigionieri e gli ex prigionieri. E l’aggravarsi della crisi economica concede argomenti aggiuntivi a chi vorrebbe un ritorno, se non allo scontro armato che negli ultimi anni si è rivelato impraticabile e comunque controproducente, almeno ad un alto livello di conflittualità sociale, radicale e organizzata che ha sempre contraddistinto la storia della sinistra patriottica basca.

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