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Spagna: sarà proibito riprendere e fotografare i poliziotti

Madrid e le altre città dello Stato Spagnolo, dopo pochi giorni di relativa calma, sono di nuovo attraversate da cortei di protesta contro le ‘sforbiciate’ del governo Rajoy al lavoro e allo stato sociale. Il presidio di massa attorno al Parlamento di martedì è andato relativamente liscio, ma le foto dei manifestanti con la testa spaccata dai manganelli della polizia durante le proteste delle scorse settimane hanno fatto il giro del mondo, dando della Spagna un’immagine assai meno idilliaca di quanto ‘la giovane democrazia’ vorrebbe. Le immagini di anziani manifestanti trascinati via di peso o di studenti adolescenti con il naso rotto durante le mobilitazioni del movimento ’25-S’ hanno dato la sensazione al mondo intero che il governo di Madrid, in preda al panico, abbia scelto la via della repressione selvaggia e indiscriminata. Per non parlare dell’immane brutta figura causata dalla diffusione del video che ritraeva un ‘manifestante’ che, picchiato da alcuni celerini in assetto antisommossa, era costretto a rivelare di essere un loro collega infiltrato.

E quindi ora, mentre i tribunali del Regno sono intasati di procedimenti contro i manifestanti denunciati per reati anche gravi ‘commessi’ durante manifestazioni per lo più pacifiche, le forze di sicurezza e i loro responsabili politici stanno cercando di contrastare il danno d’immagine derivante dalla denuncia della brutalità degli agenti. Come si dice: occhio non vede, cuore non duole…

E così ora l’esecutivo di destra ha presentato un progetto di riforma della Legge sulla Sicurezza dei Cittadini che, tra le varie cose, intende proibire “di acquisire, riprodurre e trattare immagini, suoni o dati di membri delle forze di sicurezza nell’esercizio delle loro funzioni, quando possono mettere in pericolo le loro vite o in rischio operazioni che stanno sviluppando». Ufficialmente, per proteggere i poliziotti dalle possibili ritorsioni delle organizzazioni criminali o terroristiche. Ma di fatto per impedire che le foto e i video che documentano le loro malefatte finiscano su siti e giornali generando indignazione e creando quindi un intralcio alla repressione delle proteste che, allo stato, sembra la principale attività dell’esecutivo insieme a quello dei tagli.

Un ‘no’ al progetto governativo di imporre il bavaglio alla diffusione delle immagini che ritraggono l’attività degli esponenti delle forze di sicurezza è venuto in questi giorni, oltre che naturalmente dai portavoce delle organizzazioni politiche, sociali e sindacali impegnate nella contestazione delle politiche di Rajoy, anche dall’associazione dei giudici progressisti. “Jueces para la Democracia” (Giudici per la democrazia) giudica infatti anticostituzionale la norma resa pubblica lo scorso giovedì dal direttore generale della Polizia spagnola, Ignacio Cosidó. Il portavoce dell’organizzazione Joaquim Bosch ha denunciato la violazione dei diritti dei cittadini a difendersi da eventuali abusi delle forze dell’ordine in caso di approvazione della cosiddetta riforma. Del resto anche il portavoce dell’associazione dei magistrati più conservatrice, Francisco de Vitoria, ha affermato di “non vedere affatto la necessità di questa riforma”. Il rispettato docente di Diritto Penale presso l’Università Carlo III, Jacobo Dopico, ha tacciato la norma che impedisce di “registrare o diffondere immagini della Polizia” di “barbarie dittatoriale”, denunciando che la cosiddetta riforma potrebbe concedere agli agenti la possibilità di ‘giudicare, sentenziare ed eseguire’ la proibizione, senza nessuna garanzia e difesa per i cittadini.

Cosidò ed altri dirigenti del Ministero degli Interni di Madrid hanno provato a smontare le argomentazioni dei detrattori della ‘riforma’ affermando che la norma non verrà applicata in caso di manifestazioni. Ma nessuno gli ha creduto e la polemica continua.
Anche perchè parallelamente alla riscrittura della Legge sulla Sicurezza il governo insiste anche sull’inasprimento delle norme del Codice Penale, che prevede da sei mesi ad un anno di carcere per quei manifestanti che mettano in atto forme di resistenza passiva o disobbedienza attiva.

 

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