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Israele si trasforma in una superfortezza

Israele è quasi completamente isolato dal mondo arabo. Non stiamo, però, parlando di isolamento diplomatico, né di frizioni con i Paesi confinanti, ma di un blocco fisico che impedisce la libera circolazione di merci e persone tra Israele e i vicini d’area. Dopo aver costruito un muro intorno a Gaza per controllare gli accessi alla Striscia ed uno in Cisgiordania per attestare l’esistenza di un controverso confine tra territori israeliani e territori palestinesi, Tel Aviv ha iniziato ad innalzare barriere anche sui confini che dividono il Paese da Libano, Egitto e Siria.

Tra maggio e giugno dell’anno appena passato è stata realizzata una struttura alta 7 metri e lunga poco più di un chilometro attorno alla città di Metulla, ultima enclave israeliana prima del confine libanese, motivando l’opera con la necessità di proteggere le aree di confine da possibili attacchi provenienti dal sud del Libano ad opera di Hezbollah. Nello stesso periodo è iniziata la grande opera che a breve dividerà definitivamente il territorio israeliano da quello egiziano nel Sinai. Si tratta di una recinzione di circa 240 chilometri dal Mediterraneo al Golfo di Aqaba nel Mar Rosso che dovrebbe difendere Israele da eventuali incursioni jihadiste e impedire l’ingresso dei migranti provenienti dall’Africa.

Infine, nello stesso giorno in cui il Governo israeliano ha annunciato che i lavori per il muro nella Sinai erano quasi giunti a conclusione, ha anche svelato l’esistenza di un progetto gemello per le Alture del Golan. Si tratterebbe, in questo caso, di una barriera protettiva di circa 60 chilometri con torrette di controllo e telecamere, come già per le altre due, che dovrebbe proteggere le aree di confine dagli attacchi di jihadisti che, a seguito del ritiro dell’Esercito Libero siriano (ESL), starebbero prendendo potere nel sud della Siria.

A prima vista i tre progetti potrebbero sembrare identici e giustificati dalla stessa necessità di sicurezza, ma così non è. Soffermandosi ad analizzare con maggiore attenzione il progetto nel Sinai se ne possono, infatti, notare le particolarità. In primo luogo è importante ricordare che prima della caduta di Hosni Mubarak il confine con l’Egitto era considerato da Tel Aviv l’unico sicuro. Questo grazie alle previsioni in merito contenute negli accordi di Camp David del 1978, al controllo delle frontiere operato dallo stesso Governo egiziano ed alla possibilità di incursioni mirate israeliane in terra egiziana contro i tentativi di infiltrazione. A seguito degli sconvolgimenti della Primavera Araba questa sicurezza è, però, progressivamente diminuita e il governo di Benjamin Netanyahu ha ritenuto necessario costruire un ostacolo fisico dati i mutati rapporti con il Governo egiziano.

Se per quanto riguarda il Libano e la Siria abbiamo, quindi, un progetto in continuità con un passato di controversie in merito ai confini, nel caso egiziano possiamo notare un cambiamento di rotta a causa dell’accresciuta instabilità dell’area. Il muro nel Sinai non è, però, nato esclusivamente dall’esigenza di impedire attacchi armati o transazioni di armi da una parte all’altra del confine e l’annuncio della conclusione dei lavori a pochi giorni dalle elezioni, previste per il 22 gennaio, è a tal proposito significativo. La barriera è stata, infatti, pensata anche per monitorare il flusso migratorio proveniente dall’Africa e impedire l’immigrazione clandestina nel Paese.

Oltre al normale afflusso di migranti con motivazioni economiche, negli scorsi mesi, si è assistito ad un incremento significativo dei richiedenti asilo provenienti dal Corno d’Africa e dal Sud Sudan e questo, in connessione con la crisi economica mondiale che ha colpito anche l’economia israeliana rafforzando istanze razziste e xenofobe, ha suscitato tensioni nella società e nel Governo.

Durante l’estate numerose sono state le aggressioni ad immigrati e le proteste contro il Governo, considerato troppo morbido con la criminalità immigrata e troppo permissivo nella concessione dell’asilo politico.

La risposta della dirigenza israeliana non si è fatta attendere e, parallelamente alla costruzione di un muro alto 5 metri e fornito di un sistema di telecamere e sensori di vibrazione che permetterà l’arresto di chiunque cerchi di oltrepassare clandestinamente il confine, sono state previste una serie di misure di “contenimento” del problema: 3 anni di carcere per i clandestini, blocco dei riconoscimenti d’asilo e piani per il rimpatrio di coloro a cui lo status è già stato riconosciuto.

All’alba delle elezioni la proposta del governo Netanyahu è fatta, quindi, di espulsioni dall’interno verso l’esterno e di isolamento dell’interno dall’esterno. Riuscirà a convincere gli elettori?

da Nena News

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