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Obama incastrato, guerra rimandata

La diplomazia, almeno in queste ore, sembra aver recuperato spazi togliendoli agli apparati bellici anche se il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, cerca di convincere l’opinione pubblica statunitense della necessità di intervenire militarmente contro la Siria a suon di dichiarazioni e interviste. Ieri, per la seconda volta in pochi giorni, si è fatto intervistare a lungo da ben sei importanti catene televisive. Deve essere davvero molto debole la sua posizione e sconclusionati i suoi argomenti se è costretto ad un simile tour de force.

Intanto il ministro degli Esteri di Parigi, Laurent Fabius, ha fatto sapere che presenterà oggi un progetto di risoluzione al Consiglio di sicurezza dell’Onu che «condanna il massacro del 21 agosto compiuto da Damasco» e che «chiede che sia fatta luce» sul programma siriano di armi chimiche. Il progetto francese di risoluzione all’Onu è vincolante e prevede il «controllo e lo smantellamento» delle armi chimiche siriane, ha spiegato il capo della diplomazia transalpina. Un modo per togliere la scena a Washington da parte del governo francese che ha forse ancora più interesse degli Stati Uniti ad intervenire, e presto, in una sua ex colonia fondamentale per la sua egemonia nel Mediterraneo orientale e in Medio Oriente.

Lo spiraglio diplomatico si è aperto ieri grazie all’iniziativa di Mosca. La Russia, che ha inviato navi militari nel Mediterraneo e ha promesso di sostenere Damasco se sarà attaccata, con una mossa a sorpresa ha proposto di mettere l’arsenale chimico siriano sotto controllo internazionale. Una mossa che evidentemente rimuove le fantomatiche ragioni della imminente aggressione militare, come ha spiegato lo stesso ministro degli esteri di Assad, Walid Muallem. 

Dopo il ‘si’ di Damasco il presidente degli Stati Uniti ha dovuto abbozzare, parlando addirittura di una «possibile svolta». Evidentemente tutta questa voglia di imbarcarsi in un conflitto che tutto sarà tranne che una passeggiata a Washington non c’è. E non perché l’apparato militare-industriale-politico statunitense non abbia bisogno di una nuova guerra per fare affari e ristabilire la propria egemonia su un mondo sempre più affollato di potenze grandi e piccole. Ma perché evidentemente i segnali arrivati in questi mesi, sul fronte militare, diplomatico e politico non sono stati dei migliori. Pochi i paesi che hanno risposto all’appello, e il rischio che il Congresso voti no alla risoluzione interventista. Così la mossa di Mosca rappresenta una utile pausa anche per Obama e per i suoi, tant’è che il voto in Parlamento sulla mozione presentata dal Presidente è stato rimandato di qualche giorno. Qualche analista ieri ha adombrato l’ipotesi che Obama e il suo entourage possano decidere l’attacco in qualsiasi momento, anche senza aspettare l’ok del Congresso, ma sarebbe davvero uno smacco per i parlamentari prima investiti della decisione e poi esautorati.

 

Nella foto, foto di gruppo di soldati USA in Afghanistan con bandiere delle SS naziste

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