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Polonia in piazza contro le politiche imposte dalla Troika

Se si applicano le stesse politiche, i risultati sono simili. E le reazioni anche. Sia che tu viva in un paese “maturo”, cresciuto nel compromesso del “modello sociale europeo”, oppure in uno “emergente”, dove quelle stesse condizioni di vita “da compromesso” sono state per venti anni l’obiettivo che giustificava sforzi collettivi, disponibilità al supersfruttamento, rinuncia alle (non molte) conquiste sociali precedenti.

Accade persino nella cattolicissima Polonia, dunque, che la “riforma delle pensioni”, imperniata ovviamente sull’aumento dell’età pensionabile, scateni proteste che non si vedevano dai tempi in cui Lech Walesa era ancora un animoso sindacalista e non un grigio presidente della Repubblica.

Almeno 120mila persone hanno partecipato ieri a Varsavia a una manifestazione indetta dai sindacati (Solidarnosc, ma non solo) contro la politica di austerità e di dure riforme seguita dal governo liberalista ed “europeista” di Donald Tusk.

Le tesimonianze sono unanimi: è stata la più grande manifestazione di protesta dopo “la rivoluzione” dell’89. “E’ l’ultimo avvertimento per Tusk, o cede o andiamo ad agitazioni sempre più vaste”, ha tuonato Jan Guz, leader del sindacato Opzz. E la folla ha risposto più volte gridando  “sciopero generale, sciopero generale”.

Tusk è al potere dal 2007, dopo la vittoria sul nazionalpopulista ed euroscettico Jaroslaw Kaczynski. Da allora, avvicinamento all’Unione Europea e “buoni rapporti diplomatici” con la Russia sono stati i pilastri della politica polacca. All’interno infatti, grazie anche ai robustissimi investimenti industriali tedeschi (e italiani, a cominciare dalla Fiat in fuga verso un costo del lavoro minore), la crescita economica era tra le più vigorose del Vecchio Continente. Il “miracolo” polacco faceva scrivere fiumi di inchiostro anche qui da noi, con editorialisti prezzolati che ci spiegavano come – rinunciando a diritti e livelli salariali – saremmo certamente diventati più ricchi.

Ma il punto di forza dell’economia selvaggia polacca – l’integrazione con con quella tedesca ed europea – è diventata, con la crisi, la causa del rapido deterioramento di crescita e occupazione. La disoccupazione è salita al 13%, e la forsennata crescita del Pil (4-5% medio l’anno, per venti anni) si è completamente bloccata; le previsioni per l’anno in corso danno un misero 0,4%.

La risposta suggerita dalla troika a Tusk è stata ovvia: “riforme strutturali”. Uguali a quelle in corso in Grecia, Italia, Soagna, Portogallo, ecc. Tra queste, manco a dirlo, l’aumento dell’età pensionabile a 67 anni (fin qui è stata a 65, mica poco; per le donne è a 60, ma non vorrete negare la “parità di genere” su questo punto…). E altrettanto ovviamente deregulation completa del già liberissimo mercato del lavoro.

Come da altre parti, le politiche “europeiste” e socialmente criminali risollevano dalla tomba i nazionalisti, i populisti, la fogna di destra. I sondaggi danno di nuovo Kaczynski (il gemello sopravvissuto, l’altro è morto anni fa in un incidente aereo) in testa nei sondaggi. E Tusk ha perso alcuni parlamentari già volati sul carro del prossimo vincitore. Certo, qualcuno dovrebbe ragionare sul perché – nella Polonia de-socialistizzata di Walesa e Woytila – questa Unione Europea venga ormai vista come l’ex “impero sovietico”.

La Storia è cattiva, vero? 

 

 

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