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Spagna: un’altra legge fascista, contro il diritto di sciopero

E’ stato un fine settimana di manifestazioni, cortei e proteste in molte città dello Stato Spagnolo. Da Madrid a Barcellona centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza di nuovo contro le politiche del governo di destra di Mariano Rajoy. Sabato e domenica la mobilitazione ha coinvolto le cosiddette maree – in particolare quella bianca contro la privatizzazione della sanità – così come le assemblee di quartiere e ciò che rimane del movimento degli ‘indignados’, insieme a partiti e organizzazioni di sinistra e sindacali.
I motivi per protestare non mancano: dai nuovi tagli annunciati dall’esecutivo allo stato sociale alla svendita ai privati di ospedali e ambulatori fino alle leggi restrittive in materia di ordine pubblico e ora anche di diritto di sciopero. La manifestazione più partecipata, questa volta, è stata quella che ha percorso ieri le strade della capitale catalana: quasi 200 mila le persone scese in piazza a Barcellona rispondendo all’appello del coordinamento “
Plataforma Prou Retallades” (Mai più tagli).

Il paese è da pochi giorni uscito da un lungo e duro braccio di ferro tra migliaia di lavoratori che gestiscono la nettezza urbana e la manutenzione del verde pubblico a Madrid e le aziende che hanno avuto in appalto il servizio dall’amministrazione – anch’essa di destra – della capitale. Un conflitto durato ben 13 giorni e che ha visto migliaia di lavoratori impegnati in uno storico sciopero ad oltranza, blocchi stradali, picchetti e cortei selvaggi, e che si è concluso con una sostanziale vittoria degli scioperanti. Lo sciopero di 13 giorni si è concluso con una vittoria storica dei lavoratori che hanno evitato i 1200 licenziamenti annunciati dalle 4 aziende interessate e un taglio del 30% dei loro salari già sforbiciati negli anni scorsi, tagli giustificati dalle imprese con la riduzione del 26% dei finanziamenti concessi dal comune di Madrid alle ditte appaltatrici. La resistenza dei lavoratori ha obbligato le imprese a tramutare i licenziamenti in 45 giorni di cassa integrazione, un compromesso che ha fatto infuriare Anna Botella, il sindaco fascistoide della capitale e i suoi compari di partito in tutto lo Stato.

Ed ecco che dal cappello a cilindro del Partito Popular è uscita una nuova legge repressiva, contemporanea all’arrivo in parlamento della Ley de Seguridad Ciudadana che già prevede un inasprimento delle pene detentive e delle multe nei confronti di coloro che protestano contro l’esecutivo o la troika con blocchi, picchetti, manifestazioni non autorizzate, occupazioni e resistenza passiva agli sfratti.
Una nuova legge che carica a testa bassa contro il diritto di sciopero, attaccato naturalmente non in maniera frontale dalla destra spagnola che invece ha deciso di elevare il livello dei servizi minimi in tutta la pubblica amministrazione ed in parte del settore privato, di fatto rendendo impossibile protestare efficacemente nei trasporti, nella sanità, nella giustizia, in alcuni ‘ministeri chiave’, nei servizi di sicurezza ecc. E ciò nonostante che già pochi anni fa governo centrale e governi regionali avessero già elevato il livello dei servizi minimi che non possono essere bloccati da scioperi e proteste in numerosi settori. Ma nessun governo, dalla fine della dittatura nel 1978, si era azzardato a intervenire sulla questione attraverso una restrizione per legge. Ogni modifica – peggiorativa, ovviamente – era stata sempre concordata con le centrali sindacali concertative e collaborazioniste – in particolare Ugt e CC.OO – scatenando la reazione dei movimenti sindacali indipendenti e conflittuali che infatti negli ultimi anni sono cresciuti in radicamento e influenza.
Mentre tutti i partiti dell’opposizione, Psoe compreso, e i sindacati accusano Rajoy di voler di fatto proibire gli scioperi tornando ai tempi del franchismo, il rappresentante della confederazione padronale CEOE, Arturo Fernandez, non ha potuto trattenere il proprio entusiasmo: “Che si regolino i servizi minimi e si modifichi la legge sugli scioperi, cosa che chiediamo da tempo, ci sembra un’ottima decisione”. E il legame diretto tra il nuovo giro di vite contro il diritto di sciopero e la vittoria degli spazzini e dei giardinieri di Madrid è così esplicito ed evidente che Fernandez non ha mancato di ricordarlo in numerose dichiarazioni ed interviste.

D’altronde contro la sacrosanta mobilitazione degli spazzini di Madrid – che hanno perso in media 70 euro di paga al giorno per 13 giorni, va ricordato – il Partito Popolare, la stampa padronale e di destra e vari ambienti reazionari hanno scatenato una campagna di criminalizzazione senza precedenti, appellandosi al ritorno all’ordine e alla “difesa degli interessi dei cittadini”. Tema particolarmente sentito da quella parte dell’opinione pubblica che potremmo definire ‘maggioranza silenziosa’ nei giorni in cui le strade della capitale erano letteralmente sommerse da tonnellate di spazzatura non raccolta.
I sindacati ufficiali si appellano al governo Rajoy affinché torni ad un modello concertativo e si dichiarano disponibili a qualche cambiamento nell’attuale legge che regola il diritto di sciopero. Ma la vittoria degli spazzini di Madrid dimostra che “solo la lotta paga” non è solo uno slogan, ma una via obbligata per la difesa degli interessi popolari di fronte all’aggressività dei governi e degli imprenditori.

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