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Berlino annuncia un aumento delle spese militari

La scusa per lo scatto militare della Germania la fornisce, paradossalmente, una crisi con la Russia conseguenza proprio dell’irresponsabile partecipazione dell’Unione Europea – e di Berlino, insieme a Parigi e Varsavia in particolare – alla destabilizzazione dell’Ucraina, al golpe filoccidentale andato in scena a Kiev e alla guerra civile scatenata dal nuovo regime contro i ribelli del Donbass. 

La Germania da tempo afferma che il suo ruolo non solo politico, ma anche militare nelle crisi internazionali non può essere più limitato come in passato al puro piano diplomatico. Il governo di Berlino lo aveva già affermato per quanto riguarda il quadrante africano, all’interno del quale Merkel e soci hanno lanciato una vera e propria campagna ‘a fianco’ del tradizionale intervento francese, e di fronte a quanto accade sul ‘fronte orientale’ dell’Unione Europea sembra proprio che la voglia di grandeur militare della Repubblica Federale non voglia attendere oltre.
E’ stato il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble – per molti la vera eminenza grigia dei governi teutonici degli ultimi decenni – a informare stampa e opinione pubblica locali del fatto che il governo di Angela Merkel ha in programma un aumento consistente della spesa militare di Berlino per far fronte all’elevata “instabilità mondiale”.
“Nei prossimi anni dovremo sostenere una maggiore spese per la Difesa, a causa delle numerose crisi e dell’instabilità mondiale” ha detto Schäuble nel corso di un’intervista pubblicata domenica scorsa sul quotidiano Bild am Sonntag. Si tratterebbe, ha spiegato il ministro citando il pericolo rappresentato dallo Stato Islamico, di una scelta ‘obbligata’, visto che il mondo è diventato meno sicuro. 
A quanto pare però è stato lo stesso Schäuble a frenare gli entusiasmi di alcuni suoi colleghi di governo, prima tra tutti la ministra della Difesa Ursula von der Leyen (anche lei della Cdu, anche se il governo è formato anche dai ‘socialdemocratici’ della Spd) che chiedevano forti investimenti da subito. La von der Leyen nel novembre scorso ha comunque già annunciato l’acquisto di ben 131 carri armati Boxer per un totale di 620 milioni di euro di spesa. Ma nel breve periodo, ha ammesso sconsolato il pezzo da novanta dell’esecutivo di Berlino, difficilmente la spesa per il comparto sicurezza potrà essere elevata a livelli significativi, perché “l’industria non può far fronte così rapidamente a progetti così rilevanti”. Segno che il governo tedesco non mira solamente ad aumentare le dotazioni del proprio esercito acquistando armi ed equipaggiamenti sul mercato internazionale, quanto a rafforzare la sua industria degli armamenti ed un complesso militare-industriale che ha già fatto comunque ampi progressi su scala continentale in joint venture con i gruppi francesi in particolare.  

La sfida è quella di dotarsi di un complesso militare-industriale tendenzialmente indipendente da quello statunitense, proprio mentre Washington utilizza la crisi scatenata con Mosca per far valere la propria supremazia militare sul fianco nord ed est del territorio europeo dove la Nato ha dislocato truppe e squadriglie di caccia e dove l’Alleanza Atlantica prevede la realizzazione di nuove basi militari in tempi relativamente rapidi, insieme ad una consistente e superarmata forza di intervento rapido schierata contro la Russia.
La minaccia di Angela Merkel di ripercussioni militari nei confronti di Washington era diventata per altro esplicita nei giorni delle febbrili trattative per il raggiungimento del cessate il fuoco di Minsk, quando la cancelliera e il suo omologo di Parigi non avevano esitato a richiamare il rischio di una guerra su vasta scala lanciando un vero e proprio aut aut nei confronti dell’escalation statunitense. 
Ma la tregua bielorussa è – lo sanno anche i bambini – un fuoco di paglia e Berlino vuole accelerare i tempi del suo riarmo. Sfruttando tra l’altro una delle decisioni adottate in autunno al vertice della Nato di Newport, che impone a tutti i paesi membri dell’Alleanza Atlantica di elevare la spesa militare ad almeno il 2% del Pil mentre nel 2013 la Germania ha speso per il comparto Difesa ‘solo’ l’1,4% del suo Pil, appena più del Giappone ma assai al di sotto del 2.2% francese e del 2.3% britannico.
Una mossa statunitense per obbligare i propri partner a pagare una riorganizzazione della Nato sostenuta finora soprattutto, dal punto di vista finanziario, da Washington; ma che potrebbe essere utilizzata dal nucleo duro dell’Unione Europea per accrescere la propria forza militare sganciandosi dalla tradizionale subalternità – la Francia lo ha fatto da tempo – nei confronti dell’altra sponda dell’Atlantico.
Sapremo nei prossimi giorni quali risorse economiche il governo di Berlino destinerà al rafforzamento del proprio esercito e delle proprie capacità di intervento militare all’estero, e con quali tempi. Per ora, amici e nemici sono comunque avvertiti.

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