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Il governo curdo iracheno manda una brigata in Rojava. Con lo zampino di Washington

Cinquemila combattenti curdi, una vera e propria brigata “voluta e gestita” dagli Stati Uniti e addestrata nel Kurdistan iracheno sarebbe entrata nei giorni scorsi in territorio siriano per sostenere le milizie popolari del Rojava nella guerra contro i jihadisti dello Stato Islamico. E naturalmente per evitare che le forze della sinistra curda siriana alleate del Partito dei Lavoratori del Kurdistan abbiano il completo monopolio nella regione. Neanche nella fase più cruenta dello scontro a Kobane tra milizie curde e fondamentalisti sostenuti dalla Turchia il governo del Kurdistan iracheno si era mai adoperato per sostenere i fratelli d’oltreconfine, e l’unico gesto adottato era stato l’invio di un centinaio di peshmerga che nella città martire che però erano tornati ben presto ad Erbil. Al contrario le milizie popolari del Rojava siriano (Ypg) avevano avuto un ruolo fondamentale nella protezione delle popolazioni curde e yazide sul versante iracheno proprio quando, di fronte all’avanzata dei jihadisti dell’Isis, i peshmerga si erano letteralmente squagliati abbandonando le loro posizioni senza combattere.

A riferire la novità – che però viene smentita da fonti curde siriane, secondo cui sarebbe ancora in corso una complicata trattativa – sono state fonti curde di Erbil, capitale della regione autonoma del Kurdistan iracheno secondo cui il governo della Regione autonoma del Kurdistan iracheno ed il Partito dell’Unione Democratica del Kurdistan siriano (PYD), avrebbero “raggiunto un accordo, sponsorizzato dagli Stati Uniti, per il trasferimento in Siria di truppe composte da giovani rifugiati siriani per prendere parte ai combattimenti in corso tra le forze curde del Ypg e i combattenti dell’Isis”.
L’accordo, precisa la fonte locale, “voluto e gestito da Washington”, ha portato alla formazione di “11 battaglioni di combattenti addestrati ed armati come truppe regolari da oltre tre anni”. I combattenti, secondo il settimanale curdo iracheno “Bas”, sarebbero entrati in Rojava passando per il valico iracheno di Rabiyah” che si trova nella provincia di Ninive nel Nord ovest dell’Iraq ma la circostanza sarebbe stata negata da alcuni comandanti delle Ypg, le Unità di Protezione del Popolo. La resistenza delle Ypg e del Partito dell’Unità Democratica sarebbe dovuta al fatto che la brigata curda di soccorso è troppo legata sia agli Stati Uniti che al presidente della regione autonoma del Kurdistan, Massud Barzani, ritenuto troppo vicino agli interessi non solo di Washington, ma anche della Turchia e di Israele. Ma secondo fonti curde siriane a far cambiare idea ai leader delle Ypg sarebbe stato il recente sanguinosissimo attacco dei jihadisti dell’Isis contro Kobane, che ha causato quasi 200 vittime soprattutto tra gli abitanti della città del Rojava liberata nel gennaio scorso dopo esser stata parzialmente occupata da Daech.
Stando al settimanale curdo iracheno, le truppe inviate in Siria avrebbero esperienza di combattimento sul campo e sarebbero ben armate. “Quasi tutti hanno partecipato in modo fattivo ai combattimenti contro l’Isis a fianco dei Peshmerga (forze curde irachene) sul fronte di Mosul (roccaforte del Califfato) contribuendo con 22 martiri e 180 feriti”, ha raccontato Dolfan Robari, uno degli ufficiali della brigata. Sempre secondo le stesse fonti, ci sarebbero “altri 700 combattenti curdi siriani che stanno ricevendo addestramento per aggregarsi alle nuove unità di combattimento” curde sotto il comando del governo di Erbil. Fonti giornalistiche curde hanno ricordato recentemente che nel mese di giugno Brett McGruk, direttore dell’ufficio iracheno del “National Security Council” ha visitato zone al confine tra Iraq e Siria dove ha incontrato combattenti curdi-siriani: “Alla frontiera siriana – ha postato sul suo account Twitter – abbiamo incontrato quei Peshmerga che si stanno addestrando per fare fronte ai miliziani dell’Isis, appartengono a varie etnie e religioni e sono sostenuti dagli Stati Uniti”. Il cui presidente, nei giorni scorsi, ha chiarito di non voler rifornire di armi pesanti in modo da renderli più efficaci nel contrasto contro lo Stato Islamico e le altre organizzazioni islamiste radicali sostenute dalle petromonarchie arabe e dalla Turchia.

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