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Obiettivo: Mosca

La Russia è sotto attacco? Nato e USA si espandono a est? Il paese è accerchiato in un anello di vicini agguerriti? E allora? Storia vecchia! A Mosca ne parlano dagli anni ’30. Certo, da allora il mondo è cambiato; soprattutto a est di certi meridiani. Sono ormai più di 25 anni da che sul cupolone dell’ex Soviet supremo dell’Urss è stata ammainata la bandiera rossa e lo stesso Soviet supremo, insieme a tutto quanto ci fosse rimasto di sovietico dentro e attorno alle mura del Cremlino, era stato liquidato già da un po’. Evidentemente, sullo scacchiere internazionale, per qualcuno non era “bastante”. E dunque è oggi la Russia del mercato e delle oligarchie finanziarie che deve essere tenuta a guinzaglio. E l’attacco procede su due fronti: uno sul terreno degli scontri guerreggiati; l’altro su quello più “diplomatico”, delle cosiddette sedi istituzionali mondiali.

Sul primo versante, lo spiegamento permanente di forze Nato nei paesi est europei confinanti con la Russia; le manovre militari, divenute anch’esse permanenti, sui terreni o lungo le coste – mar Nero, mar Baltico – russe, devono cominciare a sembrare poca cosa. L’arrivo di due vascelli da guerra turchi a Odessa; le manovre militari ucraine ai confini con la Crimea non sono che gli episodi temporalmente più vicini: anzi, tutt’ora in corso.

Dunque, ecco che arrivano i conflitti guerreggiati ai diretti confini russi. Da diverse settimane la situazione nel Donbass è tornata a farsi estremamente critica; i bombardamenti ucraini con razzi e artiglierie pesanti, sotto la guida di mercenari statunitensi, lungo la zona cuscinetto (in spregio agli accordi di Minsk, al cui rispetto, però, Kiev, Bruxelles e Wshington richiamano Mosca) colpiscono di nuovo i maggiori centri delle Repubbliche popolari e a Donetsk, se qualcuno esclude l’eventualità di un’offensiva ucraina su larga scala – non appena le condizioni del terreno permetteranno l’avanzata dei carri pesanti: questo è quanto va da tempo ripetendo il comando delle milizie – si punta il dito sulla volontà di Kiev di far saltare completamente proprio gli accordi di Minsk.

Ma anche questo, per qualcuno, appare forse insufficiente. Ecco allora il riaccendersi, nel Caucaso, del conflitto “congelato” per il Nagorno-Karabakh; vero è che, questa volta, la Casa Bianca ha ritenuto opportuno associarsi alla richiesta russa di sospendere un fuoco su cui, a tutta evidenza, aveva soffiato un vento incendiario turco. In ogni caso, una rivincita dei fidati alleati azeri su quel fronte da cui erano usciti sconfitti 22 anni fa, non avrebbe scomodato a Washington. Vitalij Darenskij scrive su Novorosinform che questo, di per sé, non sarebbe stato “il momento opportuno per Baku di iniziare un conflitto, vista la situazione economica del paese: segno che qualcuno ha dato il via” alle operazioni, per distogliere la Russia, alleata dell’Armenia, dalle operazioni in Siria. “E’ la strategia standard americana”, scrive Darenskij “accendere focolai di conflitto tutt’intorno al suo avversario geopolitico, attirarlo in tali conflitti per indebolirlo. Ora, sono passati alla strategia del lento logoramento dell’avversario. Dato che le sanzioni si rivelano inefficaci, si è passati all’allargamento dei conflitti”.

Il generale a riposo Leonid Ivašov, presidente del Centro di analisi geopolitica, a proposito dei “punti caldi” attorno alla Russia, ricorda la “Strategia anaconda” dell’ammiraglio Alfred McCann, acconciata alla nuova bisogna: prima l’Ucraina, con il Donbass; poi la Turchia, con i bombardamenti sulla Siria, gli incidenti nel mar Nero, l’abbattimento del Su-24 e, contemporaneamente, i voli di elicotteri di Ankara sull’Armenia e, ora, il Nagorno-Karabakh.

Poi, svestendo la mimetica e indossando il doppiopetto, ecco che ucraini e polacchi volano a Bruxelles a denunciare al Parlamento europeo “la verità sui crimini di guerra russi nel Donbass” e il “nuovo GULag” russo. Descrive l’avventura Ruslan Ljapin su Novorosinform, notando come il Fondo polacco “Dialogo aperto” (cui i finanziamenti USA hanno permesso di sovvenzionare la difesa di Nadežda Savčenko e, a suo tempo, attivo protagonista di euromajdan) e i suoi partner ucraini, abbiano “dimostrato” a Bruxelles – nessun documento, per la verità, pare sia stato presentato – la necessità di istituire un nuovo Tribunale internazionale sull’esempio di quello che tanta parte ha avuto nello “scoprire i crimini serbi”… dopo i bombardamenti Nato su Belgrado. Fatto sta che i “testimoni” portati a Bruxelles da “Dialogo aperto”, scrive Ljapin citando nient’altri che l’ultrayankee Radio Svoboda, alla fine non hanno trovato di che testimoniare sulla presenza di soldati russi nel Donbass. Il “nuovo GULag”, poi, sarebbe rappresentato dalla condanna e dalla detenzione di Nadežda Savčenko e di alcuni esponenti di Pravyj Sektor che, in alcuni centri della Russia meridionale (Rostov sul Don, ad esempio) sono stati arrestati con l’accusa di organizzazione di attentati. Ma intanto il viaggio a Bruxelles ha gettato il sasso. La requisitoria sui “crimini russi” verrà ora trasmessa ai parlamenti nazionali e sarà interessante ascoltare quali forze prenderanno le difese dei battaglioni neonazisti ucraini che, purtroppo per davvero, hanno trasformato le aree del Donbass controllate da Kiev in un vero e proprio “Konzentrationlager”, con tanto di svastica come emblema.

E, come regia complessiva, arriva oggi la conferma di Wikileaks, secondo cui “L’attacco a Putin per mezzo dei “Panama papers” è stata organizzata secondo il Progetto di indagine su corruzione e criminalità organizzata (OCCRP), il cui obiettivo sono Russia e ex URSS e che è sponsorizzato dalla Agenzia USA per lo Sviluppo Economico e dal Fondo Soros”.

Finis coronat opus, il fine corona l’opera.

 

Fabrizio Poggi

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