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Nord Corea: concluso il VII congresso del Partito del lavoro

Una grande manifestazione svoltasi oggi nella piazza centrale di Pyongynag ha celebrato la chiusura, lunedì pomeriggio, del VII congresso del Partito del lavoro della Repubblica Popolare Democratica di Corea che si era aperto venerdì scorso. Kim Jong Un è stato eletto presidente del partito, mentre sinora ricopriva la carica di Primo segretario; comandante supremo dell’Esercito popolare dal dicembre 2011, allorché successe al padre, il defunto Kim Jong Il  e primo presidente della Commissione nazionale di difesa dall’aprile 2012, Kim è anche presidente della Commissione militare centrale del partito. Ieri, nell’ultima giornata di lavori, il Congresso ha eletto i nuovi organi dirigenti, a partire dal Politbüro, composto di 19 membri e dal suo Presidium, portato da 3 a 5 membri, in cui, insieme a Kim Jong-Un, al presidente dell’Assemblea Suprema del Popolo Kim Yong Nam e al capo della Direzione politica dell’Esercito Hwang Pyong So, entrano ora il primo ministro Pak Pong Ju e il segretario del CC del partito Choe Ryong Hae.

Nel suo intervento, Kim ha chiesto al partito una mobilitazione speciale per la realizzazione del programma politico e ha definito “senza precedenti, lo slancio di entusiasmo rivoluzionario nel popolo e nell’esercito”. Le linee guida della politica interna ed estera della Repubblica popolare, di sviluppo delle capacità industriali e del potenziale nucleare, erano state definite da Kim già nel suo rapporto al congresso, in cui si era espresso per “il rafforzamento del ruolo del governo e l’allargamento delle sue funzioni”, per la realizzazione del piano quinquennale 2016-2020. Kim ha sottolineato l’importanza “di procedere alle tre rivoluzioni: ideologica, tecnica e culturale” e “difendere il paese dall’influenza venefica dell’ideologia e della cultura imperialiste, creando una severa disciplina morale nel paese”.

Il leader nordcoreano ha parlato dell’obiettivo della riunificazione della penisola, rilevando che ambedue le parti debbano sviluppare il dialogo e condurre colloqui a vari livelli, per “liberarsi della sfiducia e della mancanza di comprensione reciproca e insieme aprire la strada alla riunificazione su principio federativo”. Kim ha fatto appello ai leader di Seoul affinché “rinuncino al confronto coi compatrioti del Nord, abbattano le barriere legali e istituzionali che ostacolano lo sviluppo dei rapporti”. D’altro canto, ha detto, se la Corea del Sud “sceglierà una politica aggressiva, Pyongyang scatenerà una giusta guerra e spazzerà via senza pietà tutte le forze che si oppongono alla riunificazione”.

Al tempo stesso, Kim ha criticato gli Stati Uniti che, ha detto, costituiscono “il principale responsabile della divisione del paese” e ha chiesto a Washington di “rinunciare ai tentativi di isolare e soffocare la Repubblica Popolare della Corea del Nord per mezzo delle sanzioni e cessino l’ingerenza nella soluzione dei problemi della penisola coreana”; anche il Giappone “è tenuto a non ostacolare la riunificazione della Corea”. Per quanto riguarda la questione nucleare, Kim ha dichiarato che il paese è pronto a “por fine alle continue minacce atomiche statunitensi, contrapponendo potenti forze nazionali di contenimento nucleare, che assicurino la difesa della pace regionale e globale”.

Da Pechino, mentre il Segretario generale del PCC, Xi Jinping si è congratulato con Kim Jong Un per la sua elezione a presidente del PLC, il Ministero degli esteri cinese ha espresso la speranza che la Corea del Nord e gli altri paesi dell’Asia nordorientale interessati, si sforzino di risolvere di comune accordo la questione nucleare coreana.

Domenica scorsa, l’agenzia Xinhua riferiva delle reazioni negative sudcoreane alle aperture al dialogo proposte da Kim, che il Ministero per l’unificazione di Seoul definisce “mera propaganda, priva di sincerità, dato che mentre parla di dialogo inter-coreano continua a sviluppare l’arsenale nucleare”. Se Kim aveva detto che “l’avvio di colloqui, anche militari, potrebbe contribuire a eliminare i rischi di conflitto e allentare la tensione al confine”, Seoul ha chiesto a Pyongyang di rinunciare al programma di armamenti nucleari, affermando che la denuclearizzazione della penisola coreana è la premessa di colloqui di pace. Se, durante i lavori congressuali, Kim aveva sottolineato che il suo paese “non farà ricorso all’arma atomica, a meno che forze ostili non minaccino la sua sovranità con armi nucleari”, la presidente sudcoreana Park Geun Hye risponde che “la Corea del Nord continua a minacciare provocazioni, ignorando gli avvertimenti della comunità internazionale e non mostra alcun passo per migliorare le relazioni inter-coreane”. Park ha anche criticato l’intenzione di Pyongyang di continuare a sviluppare il programma nucleare, il suo tentativo di chiedere il riconoscimento quale potenza nucleare, nonostante Kim abbia ribadito l’impegno alla denuclearizzazione e all’adempimento degli obblighi di non proliferazione.

Intanto le agenzie informano che, dal prossimo 25 maggio e fino al 3 giugno, nelle acque antistanti Jinhae-gu, lungo la costa sudorientale della Corea del Sud, sommergibili di sei paesi (Corea del Sud, Giappone, Singapore, Malesia, Australia e USA) parteciperanno alle esercitazioni “Pacific Reach”, che prevedono l’impiego di apparecchiature di soccorso in acque profonde. “A conclusione delle manovre”, recita il comunicato della Marina di Seoul, “le unità subacquee andranno a ormeggiarsi presso la nuova base, inaugurata lo scorso febbraio nell’isola di Jeju, nella Corea sudoccidentale”. E si dà come assioma che non si tratti di vascelli dotati di armi nucleari.

A tal proposito, il politologo Sergej Černjakovskij, dell’Università di Mosca, afferma che la Corea del Nord è “uno degli stati più pacifici del mondo, e ciò è dimostrato dal semplice fatto che, a partire dalla fine della guerra del 1950-’53, il paese non ha partecipato ad alcun conflitto importante. Sarebbe ben strano affermare che la Corea del Nord tenda ad attaccare qualcuno o che tenti di annettersi la Corea del Sud, nonostante che proprio al Sud, fino a poco tempo fa, si svolgessero regolarmente manifestazioni studentesche con la richiesta di unificazione al vicino del Nord”. Sulla questione nucleare, continua Černjakovskij “qualsiasi stato può considerare garantita la propria sovranità nazionale solo se detiene la reale possibilità di portare un danno reciproco al nemico. Credendo nel diritto internazionale e nelle promesse occidentali, Hussein e Gheddafi avevano rinunciato alla creazione di proprie armi di distruzione di massa e sono stati distrutti, insieme all’integrità dei propri paesi. Oggi, chi non possiede l’arma nucleare e non è pronto a usarla, deve esser pronto alla propria eliminazione. La Russia non fu distrutta negli anni ’90 e conserva oggi una propria significativa presenza sull’arena mondiale, solo grazie al possesso di un proprio potenziale atomico”.

Fabrizio Poggi

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