Il premier italiano Enrico Letta, incontrerà il 20 novembre il Presidente francese Hollande a Roma e il 2 dicembre il premier israeliano Netanyahu a Torino. A guardare bene questa agenda, non si tratta di due incontri qualsiasi. Il governo italiano – in meno di quindici giorni – ospiterà due rappresentanti dell’oltranzismo che rischia di spezzare corde già tese sul piano delle relazioni internazionali.
L’incontro con Hollande sembra avere come ordine del giorno la Tav, l’Alitalia e il coordinamento delle polizie europee. Quello con Netanyahu il rafforzamento della cooperazione bilaterale Italia-Israele nella quale un peso rilevante hanno ormai assunto gli accordi militari e scientifici.
Nel primo caso – su almeno due questioni come la Tav e l’Alitalia – la Francia sembra tenere per la corda l’Italia. Parigi ha di fatto rinviato di decenni i costosissimi investimenti sul Tav (lasciando così il cerino in mano al versante italiano), mentre non nasconde di voler assorbire l’Alitalia dentro Air France, nel quadro del processo di concentrazione delle aziende strategiche intorno a pochi grandi monopoli europei.
Nel secondo caso, Letta mostra una analoga subalternità, ma in questo caso verso un modello – quello israeliano – che viene portato come esempio di successo nella creazione di aziende ad alta tecnologia.
A questo schema mancano però parecchi dettagli che appaiono decisamente inquietanti.
Colpiscono alcune righe di un articolo del pur moderato Corriere della Sera quando scrive che : “I tempi sono cambiati. I falchi della politica internazionale sembrano non volare più a Washington ma a Parigi, e su tutti i dossier più delicati, dalla Siria all’Iran”. Il Corriere rammenta come, il 31 agosto, il presidente Hollande avesse già deciso per i raid aerei su Damasco, e di come sia stata solo la marcia indietro di Barack Obama a fargli disarmare i Rafale già pronti a colpire. Ma ci dice anche di più rammentando che “In Africa, dal Mali alla Repubblica Centrafricana (dimenticando Libia e Costa d’Avorio, ndr) la Francia è in prima linea. In Medio Oriente è la Francia a tenere il discorso più intransigente sull’Iran, a evocare l’uso della forza per costringere gli ayatollah a rinunciare alla bomba atomica, mostrandosi in questo più vicina a Israele di quanto non faccia l’America, alleato storico dello Stato ebraico”.
E’ stato infatti l’oltranzismo di Hollande (un “socialista”, non un conservatore come Sarkozy) a far fallire il recente negoziato sul nucleare iraniano a Ginevra e a far rimpiombare il Medio Oriente – dopo il momentaneo disinnesco della crisi in Siria – in un clima di tensione.
Una triangolazione quella tra Italia, Francia e Israele che non sappiamo se definire casuale o voluta, e che vede il governo italiano ricevere in pompa magna con una convention di ben tre giorni, a Torino, tutto l’establishment politico, economico e militare israeliano; cioè l’altro “fattore oltranzista” che ha lavorato per far fallire il negoziato con l’Iran. Nel caso israeliano poi, il “dettaglio” è ingombrante quanto – se non più – dell’interventismo militare francese nelle proprie ex colonie. E’ ancora possibile accettare o omettere la realtà dell’occupazione coloniale israeliana della Palestina? E’ ancora possibile accettare il politicidio della questione palestinese con la sua sistematica rimozione dall’agenda delle scelte concrete per favorirne l’autodeterminazione? Eppure questo è e questo avviene, anche nei palazzi di casa nostra dove persino un ministro – non certo “colomba” – come Emma Bonino, è stato ripetutamente spiazzato e superato dalla passione del governo Letta per gli oltranzisti e i guerrafondai.
Francia e Israele hanno in comune un passato, un presente e un futuro coloniale, un retaggio e una prospettiva che forse proprio nell’Italia del governo delle larghe intese torna a farsi spazio, magari con la flotta che torna a presidiare in forza il “Mare Nostrum” o con la vocazione alla subalternità verso i più forti per diventare forte con i più deboli.
In occasione del vertice Letta-Hollande a Roma e Letta-Netanyahu a Torino, alcuni movimenti come i No Tav e le reti solidali con la Palestina, hanno convocato delle manifestazioni (il 20 a Roma e il 30 a Torino) per contestare quelli che sono stati definiti due vertici della vergogna. Se osservati con una visione corta possono sembrare due iniziative come tante altre, se collocate dentro una visione politica e strategica, mettono i piedi nel piatto di uno scenario che incupisce ancora di più quello già esistente nel nostro paese. Letta porta il paese dentro alleanze, accordi e prospettive inquietanti. Che almeno le piazze facciano arrivare al resto del mondo il grido: “Non in nostro nome!”.
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