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Le indecisioni di Dilma, il golpe, l’interferenza degli USA e l’ortodossia liberista

Tutti erano convinti che nel suo ultimo discorso del 12 maggio, la presidentessa Dilma Roussef indicasse ai 54 milioni di brasiliani che la votarono nel 2015 i motivi del golpe, il ruolo degli USA, oltre a fare un minimo di autocritica per convocare i brasiliani alla mobilitazione contro il nuovo governo del golpista Temer. Invece……

Subito dopo la decisione del presidente del Senato, Renan Calheiros, (PMDB) di sospendere Dilma Roussef dall’incarico di presidente della Repubblica per sei mesi e nominare il suo “socio”, Michel Temer (PMDB), i direttori delle redazioni del giornale “O Globo” e soprattutto quella di “TV Globo”, ordinarono di barricare le porte delle redazioni sparse per il Brasile, quando si sarebbero ripetute le manifestazioni del Primo Maggio, in cui più di un milione di persone scesero in piazza per manifestare contro l’Impeachment e contro la TV Globo .

Per questo, in tutto il Brasile c’era una grande aspettativa nei movimenti che integravano il “Frente Brasil Popular” e il “Frente Povo Sem Medo”. Infatti, l’ultimo discorso di Dilma Roussef – annunciato per il pomeriggio di giovedì 12 maggio – avrebbe dovuto essere il giorno “D” brasiliano, in cui i 54 milioni di elettori di Dilma sarebbero scesi nelle strade per impedire la legittimazione politica dei golpisti, la giustificazione delle motivazioni geo-politiche rivendicate dagli USA, il possibile raffreddamento delle relazioni con i BRICS e in particolare con la Cina e l’affermazione di un nuovo corso autenticamente liberista, con il quale il nuovo governo pretende annullare tutte le conquiste dei lavoratori ottenute negli ultimi anni, incluso gli articoli “sociali” della Costituzione del 1988. Cioè la Carta Magna scritta con il ritorno della democrazia dopo i venti anni di dittatura militare.

Invece, Dilma Roussef ha occupato la maggior parte del suo intervento per dichiararsi innocente, per affermare che è una persona onesta, un soggetto politico perseguitato da un complotto golpista, una vittima di persone senza scrupoli, senza però, spiegare concretamente ai brasiliani il perché del golpe, il perché del tradimento del vice-presidente, Michel Temer e quindi del PMDB, il perché dell’interferenza degli USA denunciata a più riprese da diversi giornali e televisioni. Purtroppo, il tono innocentista del discorso di Dilma, l’eccesso di emozionalità non è stato sufficiente per promuovere una spontanea rivolta delle masse che, dopo aver ascoltato il discorso di Dilma in TV, o hanno cambiato canale o sono andati a letto più incazzate del solito.

Da sottolineare che l’improduttivo intervento innocentista di Dilma, ha permesso al presidente del PT, lo sfegatato lulista Ruy Falcao, di congelare la proposta di sciopero generale presentata da Joao Pedro Stedile, in nome del Fronte Brasil Popular e del Fronte Povo Sem Medo, caso il Senato avesse approvato il procedimento dell’Impeachment.

Un comportamento infantile e ambiguo che ha ugualmente bloccato sul nascere la proposta di mobilizzare il movimento popolare per chiedere elezioni anticipate e che trova riscontro nel silenzio del sito di Lula (www.instititutolula.org), che dall’11 maggio mantiene come “manchette” del sito l’articolo ” Iniciativa América Latina do Instituto Lula” (L’iniziativa America Latina dell’Istituto Lula), una specie di biografia della partecipazione di Lula nel progetto di integrazione regionale. Una materia praticamente inutile nel momento in cui Lula e il PT sono oggetti di un preponderante massacro mediatico, politico e ideologico.

Ho usato gli aggettivi “infantile e ambiguo” perché è veramente infantile (se non qualcosa di peggio), pensare che i rappresentanti del Senato Federale – dove PT, PDT, PCdoB e PSOL sono minoritari – dopo aver analizzato il dossier e analizzato la difesa degli avvocati di Dilma, voteranno per il suo ritorno alla presidenza. Infatti, l’infantile diventa ambiguo ascoltando le parole del capogruppo dei deputati e vice-presidente del PT, José Nobre Guimaraes, che avrebbe chiesto ai leader dei movimenti “…di non pressare i senatori con manifestazioni ostili perché queste potrebbero avere un ruolo negativo nella decisione del Senato…”.

In risposta, il politologo Jorge Correia Leite, intervistato subito dopo questa dichiarazione, affermava, ”…. Sappiamo che la fragilità del nuovo governo di Michel Temer dipende dalla mancanza di una forte alleanza con i partiti che hanno sottoscritto il golpe e dalla necessità di un periodo di stabilità per introdurre le soluzioni economiche annunciate. Il problema è che proprio il PT ha bloccato la bandiera della contestazione popolare, dicendo che prima di scendere in piazza bisogna attendere che il processo dell’impeachment faccia il suo corso legale….”.

Comunque, il concetto di ambiguità da parte del PT lulista (cioè la maggioranza del PT controllata dal gruppo di Lula) era già stato denunciato in precedenza da Riccardo Antunes – uno dei maggiori scienziasti politici della sinistra brasiliana – secondo cui”…Il PT, nato nel 1980 con un progetto di sinistra impegnato nella superazione del capitalismo, dopo la ventennale gestione del partito da parte della maggioranza lulista e dopo gli anni di governo con Lula e Dilma è politicamente morto. Può darsi che questo PT diverrà il PMDB del secolo XXI. Certo è che oggi non esistono le condizioni politiche per il PT – escludendo i settori legati a Tarso Genro, Olivio Dutra e altri che stanno a sinistra del lulismo – di risorgere dalle ceneri del social-liberismo e tornare a essere un partito di sinistra, popolare e di massa. Infatti, questo PT lulista si è sempre rifiutato di dialogare con la sinistra e in tutti questi anni, non mi viene in mente una unica volta in cui Lula, nei suoi otto anni di presidenza, abbia fatto un’unica menzione positiva alla sinistra, incluso quella che è rimasta dentro il PT. Il lulismo ha sempre preferito la conciliazione di classe!…”.

Parole che per il lettore non-brasiliano possono sembrare eccessivamente dure, ma che, in realtà rispecchiano l’involuzione politica del PT, che, nelle scadenze elettorali torna a sventolare la bandiera storica del PT (rossa con la stella bianca), per ripresentarsi come il principale partito della sinistra e accaparrarsi i voti del movimento popolare. Anche se poi il suo “filing” amministrativo ci ricorda gli “incuici” di D’Alema e le privatizzazioni alla Romano Prodi!

Per questo il PT lulista non ha voluto approfondire i motivi del golpe perché, in questo caso, avrebbe dovuto spiegare ai suoi elettori perché il governo di Dilma ha insabbiato il programma di riforme promesso nella campagna elettorale del 2014, per poi passare a implementare grande parte del programma liberista dell’oppositore Aecio Neves, con l’aggravante di aver, sempre più, interrato il Brasile nella crisi recessiva .

Per questo le nuove organizzazioni del movimento popolare incontrano numerose difficoltà nel mandare avanti il processo di ricostruzione della sinistra, giacché la base popolare e soprattutto i lavoratori vorrebbero che in questo processo ci fosse il PT, mentre la “nomenclatura del lulismo” preferisce il distanziamento dai movimenti di sinistra, per gestire da sola l’immagine di Lula, che è l’ultima icona del PT di sinistra degli anni 80, con cui affrontare la sfida delle elezioni presidenziali del 2018.

E’ evidente che per il calcolato cinismo del marketing elettorale del PT lulista, le misure recessive del nuovo governo, i tagli dei sussidi per l’assistenza a più di venti milioni di famiglie povere, la privatizzazione di alcune grandi imprese statali e la vendita delle riserve petrolifere del “Pré Sal”, possono rivelarsi la carta vincente della campagna elettorale di Lula nel 2018.

Un’ipotesi che nei grafici delle previsioni del marketing elettorale presenta molti attivi positivi, poiché il possibile disastro socio-economico che il nuovo governo di Michel Temer potrà provocare, certamente obbligherà gli elettori dei settori popolari a votare in Lula per essere l’ultima speranza che rimane. L’instabilità sociale potrà favorire il nome di Lula, anche sul fronte di una parte della borghesia e degli impresari perché con lui è possibile evitare l’esplosione sociale, provocata dal governo golpista di Michel Temer. Infatti, Lula, ha già fatto capire agli impresari che “..per il bene del Brasile è disposto a definire un nuovo accordo conciliatorio…”, tentando, magari, di rimettere in moto il ciclo del “nuovo sviluppo” dentro dei nuovi parametri del social-liberismo e sempre con la specifica funzione di garantire il controllo sociale e della forza-lavoro.

Purtroppo i grafici delle previsioni elettorali non quantificano il prezzo dei sacrifici che i lavoratori e i giovani dovranno pagare fino al 2018 e sempre che poi, all’ultimo momento non appaia un candidato alternativo a Lula, come per esempio la ex-petista Marina Silva!

 

L’interferenza degli USA: monitoraggio della cospirazione e spionaggio

Subito dopo la votazione nella camera dei deputati per l’impeachment contro Dilma Roussef  il giornale statunitense on-line “The Intercept” ha cominciato a pubblicare vari articoli investigativi che dimostravano l’esistenza di un “link” tra il gruppo dei cospiratori e il numero tre del Dipartimento di Stato, Thomas Shannon. Da parte sua WikiLeaks rivelava che, fin dal 2006 esisteva un link “confidenziale” tra l’allora capogruppo del PMDB nella Camera dei Deputati, Michel Temer, oggi presidente del Brasile e il Console Generale degli USA in San Paolo. Una relazione che si è mantenuta nel tempo, per rafforzarsi nel 2013 con l’arrivo dal Paraguay della nuova ambasciatrice degli USA, Liliana Ayalde, principale architetto del “colpo di stato bianco” nei confronti del presidente progressista ed ex-vescovo del Paraguay, Fernando Lugo. Una relazione che è divenuta ufficiale quando Temer accettò l’incarico di vice-presidente, grazie al quale ha potuto “…cenare con l’amico Joe..”, ufficialmente, Joe Biden, vice presidente degli USA!

Bisogna quindi ricordare che nello stesso tempo in cui l’assetto diplomatico degli Stati Uniti in Brasile cominciava ad ampliare i suoi tentatoli nella classe politica brasiliana, subito dopo la rielezione di Lula, nel 2008, cominciarono a insediarsi nelle principali città del Brasile (Sao Paolo, Rio de Janeiro, Curitiba, Belo Horizonte, Porto Alegre e Salvador) e nella capitale Brasilia, numerose ONGs e rappresentanti di fondazioni statunitensi. Rispettivamente: Atlas Network (finanziata da Gogle ed Exxon Mobil), Open Society Foundation (finanziata dallo speculatore George Soros), Human Rights Foundation (creata dal venezuelano Thor Halvorssen), State Policy Network (creata dal consigliere di Reagan, Tom Roe), Charles G. Koch Foundation (finanziata dalle Industrie Kock) e la Donors Trust insieme alle tedesche Adenauer Foundation e Friederich Naumann.

Tutte queste fondazioni cominciano a promuovere l’apertura di centri di studio e istituti di ricerca nell’ambito di “…promuovere le politiche  economiche del libero mercato e la formazione di potenziali lider..”. Subito dopo passarono a finanziare la creazione di nuovi organismi come per  esempio l’Istituto Millenium, il Movimento Brasile Libero (MBL), l’Istituto Liberale, l’Istituto Ludwig Von Mises, l’organizzazione Studenti per la Liberta (EPL) e altre nuove organizzazioni che aggruppano soprattutto intellettuali, giornalisti, impresari, e studenti in maggioranza originari della piccola e media borghesia. Soggetti politici che sono stati preparati per svolgere il ruolo di nuovi dirigenti nell’opposizione liberale o infiltrarsi nel movimento studentesco e nei gruppi del movimento popolare per rivendicare la lotta alla corruzione  del governo del PT.

Un contesto che ha spinto il giornale statunitense, “Huffingtoin Post”, a investigare a fondo, di modo che nella sua edizione dell’8 maggio, rivelava che anche il giudice federale di Curitiba, Sergio Moro – cioè il magistrato che nel 2014 ha aperto il processo contro il PT e che in combutta con la “Força Tarefa” (le unità speciali della Polizia Federale) aveva ordinato il sequestro di Lula in San Paolo, per portarlo ammanettato “per testimoniare” a Curitiba –, sei anni prima, nel 2009, aveva ottenuto una “borsa di studio” dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti per frequentare un “corso di potenziali leader”. Sembra una casualità, ma poi nel 2014, il giudice Sergio Moro, dopo aver fatto una velocissima carriera nella giustizia federale, ha ricevuto dalla Polizia Federale le intercettazioni dell’Operazione Lava Jacto, fatte in realtà dalle antenne del NSA nella PETROBRAS, che rivelavano il sistema di corruzione, montato fin dai tempi del presidente Fernando Henrique Cardoso (PSDB). Però, il giudice Sergio Moro, escludeva dalle investigazione i membri del PSDB, per responsabilizzare di tutto il secondo governo del PT, in particolare l’allora presidente Lula e in parte Dilma Roussef.

A questo punto, molti analisti si chiedono perché gli 007 dell’ABIN (l’Agenzia di Intelligenza Brasiliana) e quelli del SOIP (Servizio di Operazioni di Intelligenza) della Polizia Federale, hanno ignorato il giro di dollari provenienti da queste fondazioni e le attività cospirative dei nuovi organismi creati dalle ONGs statunitensi?

Il silenzio degli 007 brasiliani è preoccupante perché nel 2013, questi organismi riuscirono a manipolare le manifestazioni degli studenti contro gli sprechi del campionato mondiale di calcio, per trasformarle in attacchi contro il governo. organizzando giornate di guerriglia urbana in varie città del Brasile, oltre a propagare l’idea del colpo di stato nei confronti del governo di Dilma Roussef.

Per questo gli analisti – non pagati dalla TV Globo – si chiedono perché il PT e la stessa Dilma Roussef, nel suo discorso del 12 maggio, non rivelò le fasi del monitoraggio statunitense nella cospirazione di Eduardo Cunha e Michel Temer, dal momento che anche giornalisti di piccoli blog come il “Portal Vermelho” (Portale Rosso) o “Brasile em 5 Minutos” (Il Brasile in 5 minuti), hanno pubblicato nomi e cognomi dei personaggi della cospirazione.

E’ difficile interpretare il silenzio o l’indecisione del lulismo, soprattutto se consideriamo che, nel 2013 Edward Snowden, rivelò che il NSA (Agenzia Nazionale di Sicurezza statunitense) stava registrando tutte le telefonate della presidentessa Dilma Rousseff e che poi, nel mese di luglio del 2015, quando era scoppiato lo scandalo della corruzione nella Petrobrás con l’arresto di vari impresari, WikiLeaks rivelò che tutto lo staff presidenziale era spionato dal NSA con il codice S2C42. Per questo, i 29 telefoni del Palazzo do Planalto (presidenza e  sede del governo) furono sottoposti al cosiddetto “grampo” telefonico, che permettevano agli agenti del NSA di registrare e trasmettere alla CIA e poi al Dipartimento di Stato tutto quello che la presidentessa e i suoi ministri decidevano.

Un’attività di spionaggio intensivo che non cominciò perché “l’ex guerrigliera” era stata eletta presidente. Infatti, lo spionaggio del NSA in Brasile c’è sempre stato, poiché in base agli accordi tra i due paesi, la CIA, dopo aver finanziato l’organizzazione  della Polizia Federale ha sempre avuto libero transito in tutte le attività della PF, soprattutto nelle intercettazioni. Infatti, nel 2008, scoppiò lo scandalo sull’uso “commerciale” delle intercettazioni realizzate, questa volta dagli agenti dell’ABIN, che obbligò il presidente Lula a nominare Wilson Roberto Trezza nuovo Diretto Generale dell’ABIN (Agenzia Brasiliana di Intelligenza). Anche in questo caso dietro gli 007 dell’ABIN si muovevano gli uomini dell’antenna della CIA di Brasilia.

Comunque, la questione delle intercettazioni da parte del NSA statunitense è una vecchia piaga che il Brasile ha dovuto sopportare in base alla relazione di  dipendenza geo-politica con gli Stati Uniti, anche quando al potere c’erano presidenti fedeli agli USA, come Fernando Collor (PRN) e il suo successore Fernando Henrique Cardoso (PSDB). Anzi fu proprio durante il primo governo di Cardoso, nel 1995, che venne a galla  l’uso improprio delle intercettazioni fatte dalla Polizia Federale/NSA/CIA, in occasione dei negoziati sul contratto biglionario (1,8 bi US$), che il Ministero della Difesa brasiliano stava per concludere con la multinazionale francese Thompson per l’istallazione dei sistema di vigilanza radar sulla frontiera amazzonica. Chissà perché e come, ma al momento dell’apertura  delle offerte il progetto dell’impesa statunitense Raytheon (vincolata alla CIA nei cosiddetti “progetti speciali”) costava un centinaio di dollari in meno! Per questo la Raytheon si aggiudicò il contratto, grazie al quale la CIA  e il Pentagono sanno (gratuitamente!) tutto quello che succede lungo le frontiere del Brasile!

In realtà il problema è che durante i quattordici anni di governi del PT, non è stato fatto assolutamente nulla per evitare che il Servizio di Intelligenza (SOIP), i reparti speciali della “Força Tarefa” della Polizia Federale e l’Agenzia di Intelligenza Brasiliana “ABIN” continuassero a  essere ideologizzati dal PSDB. Come pure è strano, per non dire inconcepibile che la cosiddetta “unità per sicurezza presidenziale”, non abbia provveduto a dotare il Palazzo presidenziale e del governo di un sistema di telecomunicazioni realmente protetto, al punto che persino nel telefono dell’aereo presidenziale è stata trovata “una pulce”, che registrava e trasmetteva all’antenna del NSA di Brasilia, tutti i dialoghi che la presidentessa faceva quando viaggiava in aereo!

Chissà perché nessun giudice federale ha ordinato l’espulsione degli spioni del NSA statunitense!

 

La questione geopolitica e il ruolo geostrategico del Brasile nei BRICS

Il 18 gennaio del 2007, il rimpianto presidente del Venezuela, Hugo Chavez, durante una pausa dei lavori nella Riunione del Mercosul, realizzata a Rio de Janeiro, si appartava con Lula per consegnargli un dossier che analizzava  i concetti geopolitici degli Stati Uniti, in particolare quello del Council of Foreign Relation (CFR) secondo cui “…il concetto geopolitico di Noth-America si espande fino all’Amazzonia incluso la regione dell’Orinoco dove esistono formidabili riserve di idrocarburi…”. Questo significava che tutte le regioni del nord e del nordest del Brasile rientravano nello “…spazio di influenza territoriale necessario per garantire la supremazia degli Stati Uniti su tutti i paesi del continente latino-americano…”. Purtroppo, Lula non captò il messaggio di Chavez sui fenomeni geopolitici  e geostrategici globali, perdendo l’opportunità di consolidare il progetto di unità regionale, nel momento in cui l’imperialismo era impegnato diplomaticamente e militarmente in Iraq, Afghanistan e Siria.

Poi, quando nel 2010, il Brasile firmò il protocollo per la formazione dei BRICS,  Lula non si rese conto che un concreto rafforzamento delle relazioni politiche, economiche e finanziarie tra il Brasile e Cina, avrebbe, immediatamente segnato la fine dell’egemonia degli Stati Uniti nell’America del Sud. Un contesto che il governo brasiliano – forse per timore degli USA cui già avevano negato l’interesse per l’ALCA – non volle prendere in considerazione anche se soltanto la Colombia di Uribe, in quel momento, era disposta a permanere nel regime di dipendenza e di sudditanza con gli Stati Uniti.

E’ evidente che questo fu un errore strategico grossolano della diplomazia e dello stesso governo brasiliano, il quale nel 2009 era stato messo alla prova con l’impeachment nei confronti di Manuel Zelaya in Honduras. Infatti, il presidente Zelaya per sfuggire ai golpisti si rifugiò nell’ambasciata del Brasile, senza ricevere nessun tipo di appoggio politico e nessun tipo di condanna nei confronti di Hillary Clinton, la Segretaria del Dipartimento di Stato che aveva dato via libera alla cospirazione contro Zelaya. Stesso silenzio e un uguale ritardo nell’analisi globale fu dimostrato dal governo di Dilma Roussef, quando comincio e si sviluppò la cospirazione nei confronti del presidente del Paraguay Fernando Lugo nel 2012. Infatti, tutti sanno che se il governo di Dilma  avrebbe reagito, ascoltando le allarmanti denunce dell’ambasciatore brasiliano in Asuncion, certamente il Partito Colorado avrebbe aspettato le nuove  elezioni del 2014 per sbarazzarsi di Fernando Lugo!  .

Praticamente gli impeachment in Honduras e in Paraguay dimostrarono alle  eccellenze del Dipartimento di Stato che il Brasile  era un gigante, dai piedi di argilla!

Una situazione che  lo scienziato politico brasiliano, Luiz Alberto de Vianna Moniz Bandeira, nel suo prestigioso volume “La seconda Guerra Fredda” descrive affermando: ”…La decisione degli USA di rafforzare il dollaro come una moneta globale è messa in discussione dallo sviluppo economico e finanziario dei BRICS. Per questo, gli USA non vogliono che né l’Argentina, ma soprattutto il Brasile diventi una potenza dell’America del Sud strettamente legata alla Cina e alla Russia. Infatti, l’egemonia degli USA risiede nel fatto che loro hanno il diritto di stampare quanti dollari vogliono e nello stesso tempo essere la moneta che controlla gli scambi a livello internazionale. Un contesto che Cina e Russia possono e vogliono modificare…”. Sempre secondo Moniz Bandeira:”…Per gli USA sono di fondamentale importanza tutti quei processi che contribuiscono allo smembramento del processo di integrazione dell’America Latina, alla rimozione delle sue caratteristiche di sovranità, perché gli stessi contribuiscono a rendere fragile  e permeabile il progetto dei BRICS. Per questo fermare il Brasile, grazie anche all’eredità colonialista della borghesia brasiliana, significa isolare tutta l’America Latina dal nuovo asse portante rappresentato da Russia e Cina e dai mercati del Pacifico…”.

Purtroppo, gli analisti di politica internazionale del governo di Dilma hanno inquadrato il processo di formazione dei BRICS soltanto dal punto di vista commerciale e finanziario. Di modo che quando il governo sudafricano di Jacob Zuma era sconvolto da un’ondata destabilizzatrice e in Ucraina si stavano creando le basi politiche e ideologiche per lo scontro europeo con la Russia, in Brasile gli analisti del PT e dell’Itamaraty (Ministero degli esteri brasiliano) non si sono resi conto che anche in Brasile era in marcia un processo della destabilizzazione, realizzato dagli istituti e dagli organismi creati “ad hoc” dalle stesse fondazioni e dalle ONGs statunitensi che hanno destabilizzato l’Ucraina, la Siria e l’Africa del Sud.

 

Conclusione

Nonostante il senatore ed ex-ministro dell’istruzione, Aloisio Mercadante, da buon petista lulista, continui a credere che il senatore ed ex-governatore dello Paranà,  Roberto Requiao de Mello (PMDB) potrà coordinare nel senato il rovescio dell’Impeachment e che nel 2018 Lula tornerà a  essere il presidente del Brasile, il movimento popolare comincia  a muovere i primi passi per una difficile ricompattazione della sinistra. Un’operazione politica in cui  l’MST (Movimento dei Senza Terra) svolge un ruolo determinante all’interno del paese, mentre nelle città il MTST (Movimento dei Lavoratori Senza Casa) comincia ad avere una funzione importante per promuovere  le attività dei due fronti popolari contro il golpe, cioè il Fronte Brasile Popolare e il Fronte Un Popolo Senza Paura.

Purtroppo, la maggior parte di quei 54 milioni di brasiliani che votarono nel programma di Dilma, sono ancora  assenti perché, oltre alla confusione e alla paura di dover affrontare il nuovo governo conservatore di Michel Temer, avvertono un senso di stanchezza nei confronti del PT lulista.

Per questo, invece di riproporre il pianto dello sconfitto vittima di un’ingiustizia, il PT lulista dovrebbe aprirsi a quei 54 milioni di elettori, facendo, innanzitutto un’autocritica degli errori commessi e dell’orientazione politica sbagliata che fu assunta da Lula e poi da Dilma nel tentativo di garantire la cosiddetta governabilità. Per poi definire un programma autenticamente riformista con cui liberare il Brasile dai compromessi con il liberismo e la dipendenza dall’imperialismo statunitense. Senza questa  autocritica, né senza questo programma, sarà molto difficile far credere che il PT lulista è nuovamente quel PT che difendeva  a spada tratta i lavoratori, i contadini, le donne, gli afroamericani, gli omosessuali e tutti gli sfruttati. Anche se il fascino di Lula può convincere i 54 milioni per la quinta volta!

 

  • Achille Lollo è corrispondente in Italia del giornale “Brasil De Fato”, articolista del giornale web “Correio da Cidadania” e editor del programma TV “Contrappunto Internazionale”. Collabora con “Contropiano” e con  la rivista “Nuestra America”.

 

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1 Commento


  • pierluigi

    Direi che che l’articolo abbia centrato il problema tutto politico della trasformazione da una parte e l’idea di pacificazione nazionale(la mattanza del colpo distaso negli anni 60) e del ruolo “riformatore”di una dirigenza politica figlia del pensiero unico(questione Petronas con la Bolivia)senza contare la disillusione di chi credeva in una svolta…D’altra parte le questioni legate ai Campionati Mondiali e alle Olimpiadi non sono differenti a quelle del nostro emisfero:grandi opere come motore economico e impoverimento di pari passo di condizione delle masse in una situazione come quella brasiliana di diffusa e massiva povertà legata oltretutto alla distruzione dell’ambiente e lla cancellazione delle etnie presenti sul territorio

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