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Washington si adeguerà al ‘Turkish Stream’?

Riparte il ‘Turkish Stream’, il progetto di gasdotto che dovrebbe portare il gas russo in Europa attraverso Turchia e Grecia, dopo l’abbandono del ‘South Stream’, che prevedeva un percorso un po’ più settentrionale, a sud dell’Ucraina e attraverso la Bulgaria?

Così pare, stando alle ultime notizie che vengono da Ankara e Mosca. Il percorso “turco” era stato definitivamente abbandonato a fine 2015, dopo l’abbattimento, il 24 novembre, da parte di un F-16 turco, di un cacciabombardiere russo Su-24 impegnato in Siria contro lo Stato Islamico. Quell’abbattimento, a parere di molti, era stato, se non pianificato, quantomeno avallato a Washington, per aprire una falla nelle relazioni tra Mosca e Ankara e affossare il progetto di gasdotto, che metterebbe a rischio le forniture energetiche USA all’Europa. Progetto di gasdotto comparso dopo che Sofia si era vista obbligata a interrompere i lavori al ‘South Stream’: anche qui, per le interferenze di Washington e Bruxelles, costate alla Bulgaria 400 milioni di euro annui per i diritti di transito, oltre a circa 300 milioni per la perdita di contratti con Mosca; le perdite delle compagnie europee sono state valutate a circa 2,5 miliardi di euro. Ora, dunque, è lecito supporre che il cambio di orientamento del “sultano”, oltre che corrispondere alle necessità energetiche turche, rappresenti una sorta di risposta alla regia statunitense dietro il tentato golpe e un passo in direzione di Mosca, per il preallarme con cui il Cremlino, sulla base di intercettazioni militari, avrebbe avvertito Ankara del tentativo di colpo di stato.

Martedì è giunta a Mosca una delegazione governativa turca, guidata dal vice premier Mehmet Şimşek e dal Ministro dell’economia Nihat Zejbekci: al centro dei colloqui, la ripresa dei rapporti in campo commerciale, agricolo, alimentare ed energetico, con particolare riferimento alla costruzione della centrale atomica “Akkuju” e, appunto, al ‘Turkish Stream’, oltre alla fissazione di un prezzo di favore per il gas fornito da Gazprom alla compagnia statale Botas. Al termine dell’incontro le parti hanno dichiarato che “le decisioni politiche sono prese” e l’impulso definitivo verrà dato dai presidenti Vladimir Putin e Recep Erdoğan, nel vertice del prossimo 9 agosto a Pietroburgo; ma già il 6 agosto il Ministro per lo sviluppo economico Aleksej Uljukaev sarà ad Ankara per incontrasi col suo omologo turco e un successivo incontro tra i due a Istanbul è già in programma per novembre.

Proprio la questione del prezzo del gas, nota la Tass, aveva rallentato un anno fa le trattative sul complesso dei rapporti economici russo-turchi, fino al definitivo stop susseguente all’abbattimento del Su-24 a proposito del quale, lo scorso 15 luglio, l’ex premier turco Ahmet Davutoğlu ha dichiarato all’emittente NTV di aver impartito lui personalmente, nell’ottobre 2015, l’ordine di abbattere “qualsiasi velivolo che violasse lo spazio aereo turco” e ieri il sito hurriyetdailynews.com scriveva che l’abbattimento fu opera di aviatori fedeli al filoyankee islamico Fethullah Gülen, accusato da Ankara di essere stato la mente del tentativo di golpe del 15 luglio.

Così che, ancora una volta, si aprirebbero altri spiragli sulle varie ipotesi circolate a proposito dei ricambi governativi dettati da Erdoğan, il quale, si disse nelle settimane successive al congelamento dei rapporti con Mosca, sarebbe rimasto quantomeno “insoddisfatto” delle manovre statunitensi che avevano portato all’abbattimento del Su-24.

A proposito della ripresa delle trattative economiche russo-turche, ieri il presidente della Commissione energetica della Duma, Pavel Zavalnyj, ha dichiarato che non è corretto legare la questione del gasdotto a quella del prezzo attuale del gas: i gasdotti si realizzano mirando ai lunghi periodi, mentre il prezzo è legato a molte variabili temporali. D’altro canto, a parere del direttore del Fondo per la sicurezza nazionale energetica Konstantin Simonov “è abbastanza rischioso offrire alla Turchia lo status di paese di transito: perché oggi Erdoğan si comporta così con noi, ma domani potremmo trovarci di nuovo in conflitto; è un politico imprevedibile”. Basti solo pensare ai rapporti d’affari e agli aiuti militari che legano Ankara a Kiev, ai favori reciproci tra Lupi grigi turchi e battaglioni neonazisti ucraini, agli interessi economici e militari che non permettono ad Ankara di accettare una Crimea in seno alla Russia, ecc.

La posizione di Simonov non è però condivisa da Zavalnyj, secondo il quale il ruolo di paese di transito è vantaggioso non solo per Mosca, ma per la stessa Turchia: “Tutto dipenderà dalla posizione della UE sulle forniture di gas e dal fatto se la domanda in Europa sarà alta o bassa”.

L’accordo iniziale per il ‘Turkish Stream’ era stato siglato a fine 2014, come alternativa al ‘South Stream’ attraverso Bulgaria, Serbia e Ungheria, abbandonato per le interferenze USA e UE e prevedeva che il flusso dei quattro tratti sarebbe stato di 63 miliardi di m3 annui, di cui 16 per la Turchia e i restanti per lo hub sul confine turco-greco, utilizzando alcune infrastrutture già realizzate per il ‘South Stream’. Lo scorso 7 giugno, Vladimir Putin aveva dichiarato che Mosca non ha rinunciato completamente né al ‘Turkish Stream’, né ‘South Stream’, ma che per entrambi c’è bisogno di una chiara posizione della UE. A Mosca ritengono infatti che il “riavvicinamento” con Ankara rappresenti solo il superamento di una difficoltà secondaria: quella principale essendo rappresentata, a parere del Cremlino, all’interesse di Bruxelles per il mantenimento del transito del gas russo attraverso l’Ucraina, unica chance di non veder sfumare il pagamento da parte di Kiev degli interessi sui crediti UE.

Oggi la Turchia importa il 60% delle proprie necessità di gas, sia attraverso il ‘Blue Stream’, il gasdotto di Gazprom e ENI che porta direttamente il gas russo (dai 16 ai 19 miliardi di m3) in Turchia passando sul fondo del mar Nero, sia attraverso i condotti che  passano per Romania e Ucraina. Ankara “rischia molto nelle forniture di transito dall’Ucraina”, osserva Zavalnyj e dovrebbe quindi “essere interessata alla costruzione di un altro tratto di gasdotto diretto: primo, per la propria autosufficienza e, secondo, per divenire corridoio per la Grecia e i paesi del sud Europa, in cui la carenza di gas è maggiore. Il ruolo geopolitico di Ankara ne sarebbe accresciuto”. Per l’appunto, le forniture del ‘Turkish Stream’ dovrebbero iniziare nel 2019, quando scade l’accordo di transito tra Russia e Ucraina, che Mosca non pare intenzionata a rinnovare. Perdurante l’attuale situazione ucraina, Kiev non è infatti in grado di sostenere le spese per il transito del gas e tantomeno quelle per l’ammodernamento delle stazioni di pompaggio.

Naturalmente, dopo l’inasprirsi dei rapporti con Mosca, Ankara aveva già iniziato a cercare alternative: con Baku per accelerare il progetto di gasdotto per il gas azerbajzhano, con il Qatar per il gas liquefatto, mentre Israele si impegna ad ampliare le forniture dai giacimenti offshore Tamar e Leviathan. Ma, secondo l’analista Igor Jushkov, anche la più probabile di tali ipotesi, quella azerbajzhana, lascerebbe alla Turchia solo 10 miliardi m3, dato che, dei 20 miliardi del gasdotto Transadriatico, 10 sono destinati all’Italia: quindi, Jushkov ritiene che Ankara non abbia alternative alle forniture russe. Secondo gli osservatori russi, il ‘Turkish Stream’ sarebbe positivo per Mosca, anche in considerazione dell’opposizione di Polonia e Paesi baltici al ‘North Stream 2’.

Questa volta, dunque, Ankara sarebbe intenzionata ad arrivare in fondo alla realizzazione del gasdotto e le prospettive per gli USA sulle forniture energetiche all’Europa ne riceverebbero un discreto contraccolpo. A questo punto, difficile davvero scartare l’ipotesi della regia yankee dietro i fatti del 15 luglio: gli incontri odierni di Mosca dicono che gli abboccamenti russo-turchi sulla questione energetica andavano avanti da un pezzo. Questa volta, Washington aveva forse deciso di non limitarsi a una telefonata di Obama per dare semaforo rosso ad Ankara, con il pericolo che Erdoğan non rispondesse, come aveva fatto la prima volta, “obbedisco”. Gli yankee avevano deciso di andare più per le spicce. Non è detto che non ci riprovino.

 

Fabrizio Poggi

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