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Crimea: Medvedev non esclude la rottura dei rapporti diplomatici con Kiev

Rimane alta l'attenzione agli avvenimenti dei giorni scorsi in Crimea. A Mosca si starebbe esaminando addirittura, tra le altre misure possibili, anche l'eventualità di rompere i rapporti diplomatici con l'Ucraina.

Se a inizio agosto Kiev aveva polemizzato per la decisione di Mosca di richiamare l'ambasciatore Mikhail Zurabov e sostituirlo con Mikhail Babič (Kiev non aveva sinora espresso il proprio “agreement” al nuovo nome e difficilmente lo farà ora); ora, dopo la crisi in Crimea, la più immediata conseguenza delle parole di Vladimir Putin, secondo cui “la Russia non lascerà senza risposta l'uccisione di propri militari”, potrebbe essere quella della cessazione delle relazioni diplomatiche con Kiev.

Ed è questo l'argomento principale della maggior parte dei media russi, soprattutto dopo le dichiarazioni rilasciate ieri a Soči dal primo ministro Dmitrij Medvedev, il quale, ricordando quanto accaduto con la Georgia nel 2008, ha ammesso tale possibilità: “se a Mosca non rimarrà altra variante per influire sulla situazione, il presidente potrebbe prendere una tale decisione”, dato che è lui “che conduce la politica estera del nostro stato”. E al Ministero degli esteri russo fanno notare come, per l'appunto, con le espressioni di solidarietà di Kiev all'indirizzo di Tbilisi, in occasione dell'anniversario della guerra del 2008, Ucraina e Georgia cerchino di “aiutarsi a vicenda a immedesimarsi nell'immagine di vittime dell'aggressione russa”. Da parte ucraina, al momento, si discute della possibile introduzione dei visti di ingresso, pur se, alla vigilia dei fatti di Crimea e a proposito dell'ambasciatore Zurabov, si era detto che “non si parla di rottura dei rapporti diplomatici, principalmente per il fatto che in Russia ci sono 3 milioni di ucraini”.

Fino a ieri molti siti russi sottolineavano il silenzio occidentale sulla vicenda. Il politologo Andrej Manojlo scriveva su news-front.info che il Dipartimento di stato ha preso le distanze dall'Ucraina e non commenta: “gli USA reagiscono a qualsiasi azione da parte ucraina solo quando questa tocca direttamente gli interessi americani”; altrimenti le azioni di Kiev non vengono criticate a Washington. Agli USA non è mai interessato il futuro dello Stato e tantomeno del popolo ucraino. Gli americani sono interessati al controllo solo sulle funzioni statali ucraine necessarie alla politica di contrapposizione con la Russia”.

Anche governi e media europei hanno dedicato scarsissima attenzione al fatto; ieri si è sentito in lontananza un sussurro dell'alto rappresentante per gli affari esteri della UE, Federica Mogherini che, dopo aver parlato con il Ministro degli esteri ucraino Pavel Klimkin (!), ha fatto appello alle parti (!) a fermare l'escalation tra Russia e Ucraina. Inoltre, notava ancora Manojlo, la UE si riserva di fare pressioni su Kiev al prossimo incontro del “quartetto normanno”. Per quanto sia molto dubbio che si tenga: il presidente della Commissione esteri del Senato russo, Konstantin Kosačev, chiede che Berlino e Parigi, affinché il “formato normanno” possa continuare a funzionare, esigano da Kiev di rinunciare ad azioni violente. Secondo il presidente della Commissione esteri della Duma russa, Aleksej Puškov, Kiev “vorrebbe trasformare il “formato normanno” in uno schermo per coprire la propria linea di azioni militari e atti di sabotaggio. Ma a noi tale “formato” non serve”. Secondo l'osservatore politico del Centro di analisi “Katehon”, Aleksandr Bovdunov, si sta assistendo ai funerali del “formato normanno” e degli accordi di Minsk. “Non ha senso parlare con un'Ucraina precaria, né autonoma né sovrana”: il governo ucraino è “in effetti come quegli aborti-zombie-kamikaze del film "Suicide Squad", utilizzati dal governo degli Stati Uniti per i propri obiettivi geopolitici. Gli attacchi in Crimea sono stati pianificati nel momento dell'incontro di Putin con Erdoğan, quando la Russia sta cercando di portare la Turchia, pedina chiave della Nato, fuori dell'Alleanza atlantica e della sottomissione agli Stati Uniti, e creare un nuovo blocco eurasiatico con Turchia e Iran. La provocazione è stata pianificata proprio in questo momento; penso che non sarà l'ultima e ci si dovrà aspettare un'attivazione delle reti di influenza pro-americane: un ulteriore aggravamento nel Donbass, una possibile guerra, ulteriori provocazioni in Crimea, Nagorno-Karabakh, Medio Oriente.

L'unico esponente occidentale che si è espresso categoricamente sui fatti è stato l'ambasciatore USA a Kiev Geoffrey Pyatt, che ha detto trattarsi di una provocazione del FSB russo: “E' la sua opinione personale e il Dipartimento di stato non si assocerà a tale punto di vista”, aveva concluso Manojlo. Opposto, il punto di vista del presidente della Crimea Sergej Aksenov, secondo il quale dietro i tentativi terroristici nella penisola ci sarebbe proprio il Dipartimento di stato USA: “agli esponenti ucraini non sarebbe bastato lo spirito per simili azioni”, aveva dichiarato giovedì Aksenov.

In effetti, l'intervento odierno del vice presidente USA Joe Biden, stando a quanto comunicato dalla Casa Bianca, sembra fatto più a uso interno – impartire le istruzioni ai propri “impiegati di concetto” a Kiev – che non pubblico: Biden avrebbe discusso (!) telefonicamente con Petro Porošenko i modi per "ristabilire sovranità e integrità territoriale dell'Ucraina" e lo avrebbe “invitato a fare tutto ciò che dipende da lui (ah, ah!), per evitare un'escalation della tensione”. Ieri, invece, Biden aveva dichiarato che le azioni di Mosca in Crimea e in Ucraina orientale “violano il principio fondamentale stabilito alla fine della Seconda guerra mondiale: quello della sovranità e della inviolabilità delle frontiere”. Biden, dopo aver ricordato che l'amministrazione Obama ha portato a 3,4 miliardi di $ le spese per la Nato in Europa e il dispiegamento di truppe in Polonia e paesi Baltici, aveva affermato che la prossima amministrazione “dovrà raddoppiare gli sforzi per il rafforzamento della Nato e la partnership con la UE”.

Nella capitale russa, i primi commenti spaziavano dal semplice “E' tempo di rafforzare i controlli alle frontiere”, a “la parte ucraina non abbandona i tentativi di destabilizzare la situazione in Crimea”; oppure “i sabotatori non erano semplici “autodidatti”, bensì persone dirette da strutture statali: si tratta perciò di terrorismo di stato”. Viktor Ozerov, presidente della Commissione difesa del Senato, da un lato ritiene improbabile un coinvolgimento diretto delle forze armate ucraine, ma, “d'altra parte, all'ultimo vertice Nato Porošenko aveva discusso della deoccupazione della Crimea. Penso che ciò, per alcuni elementi radicali, sia stato il segnale per passare dalle parole ai fatti”. Leonid Kalašnikov, vice presidente della Commissione esteri della Duma, ha dichiarato che “Da tempo l'Ucraina ci tratta da nemici, mentre noi la vezzeggiamo, come si farebbe con una sorella con cui si è un po' bisticciato. Quanto accade in Crimea, esce dagli schemi. Credo sia tempo di preparare azioni precise del Presidente, del Ministero degli Esteri e del governo".

Il vice speaker della Duma, Sergej Železnjak non fa complimenti: “E' l'ultimo avvertimento al regime di Kiev. Se non lo hanno sentito, allora sono dei suicidi. Il castigo per i nostri ragazzi uccisi è inevitabile. Con l'attacco in Crimea in coincidenza dei giochi di Rio, si è ripetuto l'attacco di Saakašvili a Tskhinvali durante le Olimpiadi di Pechino del 2008”. Il capo delegazione della DNR ai colloqui di Minsk, Denis Pušilin ha detto che “gli USA tentano di provocare la Russia con le mani di Kiev”. Il politologo russo Aleksej Martynov teme che la prossima vittima di un gruppo terroristico ucraino potrebbe essere un paese della UE: “non c'è alcuna garanzia che un gruppo simile non tenti una sortita in Polonia o nei paesi Baltici; non c'è garanzia che non tentino di ricattare l'Europa”.

Più cauto il politologo Vladimir Šapovalov, il quale non crede che un'eventuale rottura dei rapporti diplomatici avrebbe conseguenze “catastrofiche, vale a dire, esiti bellici. Per quanto riguarda i contatti politici, economici e culturali, già ora sono a un livello minimo. I rapporti avranno qualche prospettiva se Kiev rivedrà la propria versione sulla sparatoria tra guardie russe e soldati russi”. Effettivamente, dopo che la Nato aveva decretato che “ogni pretesa di Mosca nei confronti di Kiev è priva di fondamento e le accuse russe per gli avvenimenti in Crimea non sono dimostrate”, Kiev aveva colto la palla al balzo fornendo, a distanza di tre giorni dai fatti, la propria versione: uno scontro a fuoco tra militari russi e guardie di frontiera russe del FSB! Ora, dice Šapovalov, sarebbe istruttivo l'esempio delle scuse di Erdoğan sul Su-24 russo abbattuto, ma è molto dubbio che Petro Porošenko sia in grado di seguire tale esempio: le scelte di politica estera del presidente ucraino vengono decise a Washington!

Solo Pravda.ru sembrava ieri sdrammatizzare un po' la faccenda: Immaginate una situazione analoga a quella con Erdoğan: di colpo Porošenko dichiara che “majdan è stata organizzata dagli USA, la CIA finanzia i banderisti, il genocidio nel Donbass è stato preparato da Turčinov e dai generali rivoltosi di loro iniziativa, gli attentati in Crimea sono opera dei terroristi tatari-crimeani di Lenur Isljamov”, dopo di che telefona a Putin e vola all'incontrarlo a Piter.

FP

 

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