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11 settembre: schiaffo ad Obama, siluro sui rapporti con l’Arabia Saudita

Il voto bipartisan del Congresso statunitense piomba come un siluro sui già tesissimi rapporti tra Washington e Riad. Nel giro di poche ore prima la Camera e poi il Senato, a larghissima maggioranza, hanno votato a favore della conferma della legge che consente agli scampati ad un atto terroristico e alle famiglie delle vittime di trascinare in tribunale esponenti di governi stranieri, imponendo loro un risarcimento oppure coinvolgendoli in un'azione penale.

Il dibattito sulla legge si è intensificato dopo che lo stesso governo statunitense ha declassificato a luglio 28 pagine di documentazione prodotta da una Commissione d'inchiesta parlamentare che dimostra i legami, analizzati dall'Fbi, tra i dirottatori dell'11 Settembre del 2001 e alcuni importanti esponenti dell’establishment saudita.

Per la prima volta in otto anni la maggioranza dei parlamentari democratici e repubblicani hanno smentito e quindi annullato il veto apposto nei giorni scorsi da Barack Obama, che aveva inutilmente tentato di bloccare l’iter della spinosa legge. Una decisione che rappresenta un vero e proprio schiaffo nei confronti del presidente uscente: ben 97 i senatori che hanno sconfessato il veto, con solo un voto contrario, e anche alla Camera è finita 348 contro 77, ben oltre i due terzi necessari. Obama si è trovato contro anche Hillary Clinton, che si è detta pronta a firmare la legge se verrà eletta.

«È uno degli atti più imbarazzanti del Senato negli ultimi decenni», ha tuonato il portavoce della Casa Bianca Josh Ernest, denunciando il voto come un gesto di opportunismo senza riflettere sulle conseguenze. «I senatori dovranno rispondere alla loro coscienza per ciò che hanno fatto».
La legge, ribattezzata Jasta – Justice Against Sponsors of Terrorism Act – stabilisce una importante eccezione, nel caso in cui cittadini statunitensi vengano colpiti da atti di terrorismo sul suolo americano, al principio dell’immunità sovrana, che impedisce di processare i dirigenti di un paese terzo nei tribunali nazionali.

E questo nonostante non solo il presidente, ma anche alcuni influenti responsabili politici e militari abbiano avvertito i deputati e i senatori delle enormi conseguenze che l’entrata in vigore della legge potrebbe avere, esponendo ad esempio le truppe o l’intelligence statunitense impegnate all’estero ad eventuali rappresaglie legali. L'ex ambasciatore all'Onu John Bolton e l'ex Ministro della Giustizia Michael Mukasey, entrambi repubblicani in carica durante la presidenza di George W. Bush, hanno lanciato l’allarme sul fatto che dei soldati statunitensi possano finire sotto processo in paesi che adottino rappresaglie a causa della legge appena varata: «Un errato bombardamento con i droni che uccida dei civili in Afghanistan può facilmente far scattare denunce che chiedano di portare personale statunitense davanti a tribunali stranieri».

Obama, in un'ultima vana lettera indirizzata ieri ai congressisti, aveva scritto: «La legge né protegge gli americani da attacchi terroristici, né migliora l'efficacia della nostra risposta a simili attacchi. Le conseguenze potrebbero essere devastanti per il Dipartimento della Difesa e per il suo personale, e non c'è dubbio che le conseguenze potrebbero essere altrettanto significative per i nostri diplomatici e funzionari dell'intelligence».

Ma soprattutto il dispositivo legislativo appena entrato in vigore rischia di dinamitare i già difficili rapporti con la petromonarchia dalla quale provenivano ben 15 dei 19 attentatori dell’11 settembre. Riad, che è animata da esplicite aspirazioni a svincolarsi dalla tutela statunitense e ad esercitare il ruolo di potenza regionale egemone in Medio Oriente e non solo, è entrata più volte in conflitto con Washington negli ultimi anni, nonostante il tentativo da parte degli Stati Uniti di blandire la petromonarchia attraverso massicce forniture di armi e l’aumento della collaborazione su vari fronti.

Nei mesi scorsi la casa reale saudita aveva minacciato, in caso di approvazione della legge, di vendere ogni sua proprietà negli Usa, compresi i 750 miliardi di dollari del debito sovrano statunitense detenuti dalle banche saudite. Ora, secondo vari analisti, Riad potrebbe reagire a quella che considera una ‘pugnalata alla schiena’ sospendendo rapidamente la collaborazione con gli Stati Uniti in materia di sicurezza ed intelligence. "Ho paura che questo disegno di legge avrà terribili implicazioni strategiche" per gli Stati Uniti, ha dichiarato alla France Presse Salman al-Ansari, presidente della Commissione pubbliche relazioni americano-saudita (SAPRAC).

 

Marco Santopadre

 

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