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Ceta: la Vallonia ha ceduto. Ma non è detta l’ultima parola…

Dopo parecchi giorni di resistenza alle fortissime pressioni internazionali provenienti dalle istituzioni federali, dall’Unione Europea e naturalmente dal Canada, alla fine la Vallonia ha ceduto. L’assenso della regione francofona del sud del Belgio é fondamentale per consentire al governo federale di dare l’ok al trattato di libero commercio tra Ue e Canada, dopo il via libera di tutti gli altri governi. Ma dopo il voto contrario da parte della stragrande maggioranza dei parlamentari valloni l’iter era stato interrotto. I democristiani, gli ecologisti e i comunisti, ma anche i socialisti al governo si erano espressi contro – solo i liberali a favore – con sommo scandalo dei media e di vari esponenti politici continentali che, facendo sfoggio di "grande senso democratico", avevano denunciato la presunta assurdità di un meccanismo che permette a una piccola regione in cui vivono solo tre milioni e mezzo di persone di tenere in scacco un intero continente e profitti per qualche miliardo di euro. 

Ieri però, in tarda mattinata, il governo vallone ha comunicato al premier Charles Michel il suo benestare alla firma del trattato commerciale col Canada, anche se la comunicazione è arrivata troppo tardi, facendo saltare il previsto vertice a Bruxelles tra i rappresentanti dell’Unione Europea e il primo ministro canadese Justin Trudeau, che speravano di poter apporre ieri sera le loro firme in calce al Ceta e di permetterne quindi l’entrata in vigore, seppur provvisoria (il tutto dovrebbe infatti essere confermato dal voto parlamentare di tutti e 28 i paesi membri).

L’ok da parte dei francofoni è arrivato al termine di una lunga riunione tra il primo ministro federale, il liberale Charles Michel, e i rappresentanti dei parlamenti delle varie entità amministrative che compongono il Belgio, quindi anche di quelli della Vallonia e di di Bruxelles Capitale, anch’esso contrario alla ratifica del trattato nella sua forma attuale. Alla riunione ha partecipato anche un rappresentante della Commissione Europea, con l’evidente compito di esercitare le dovute pressioni e di controllare che il testo concordato non fosse eccessivamente in contraddizione con quello del trattato bilaterale.

Il Ceta era stato finora giudicato penalizzante per i diritti dei consumatori, degli allevatori, degli agricoltori e in generale per gli affari e la stessa sopravvivenza delle imprese locali che in molti casi corrono il rischio di essere sopraffatte tanto dalle multinazionali d’oltreoceano quanto da quelle continentali grazie alla rimozione del 98% dei dazi doganali, prevista dal trattato, così come dalla creazione di corti arbitrali ad hoc incaricate di dirimere le controversie tra grandi imprese e stati bypassando così le legislazioni nazionali a difesa dei consumatori, dei lavoratori e dell’ambiente. Esattamente come previsto dal Ttip, l’analogo ma più draconiano trattato in via di negoziazione tra Unione Europea e Stati Uniti.

Alla fine il governo della Vallonia ha però ceduto, tirandosi dietro anche gli altri critici, dopo aver ottenuto dalle autorità federali la rassicurazione che le preoccupazioni espresse delle forze sociali e dalle associazioni di categoria contrarie al trattato verranno adeguatamente difese da Bruxelles in sede comunitaria e internazionale, e il tutto è stato fissato nero su bianco in una risoluzione. Tra le raccomandazioni sulle quali la Vallonia ha insistito, il carattere pienamente indipendente dei giudici che dovranno presiedere gli arbitrati, che quindi non dovranno essere nominati dai governi su pressione delle multinazionali stesse. Teoricamente il Ceta prevede già che a dirimere le controversie tra imprese e stati siano giudici e avvocati dipendenti da una sorta di Tribunale Internazionale ad hoc, e non nominati dalle parti in conflitto. Il Canada, dopo una insistenza iniziale, avrebbe già accettato la modifica chiesta a gran voce anche dall'interno della stessa UE, al contrario degli Stati Uniti che invece, per quanto riguarda il Ttip, si sono impuntati in difesa della Isds, clausole contenute tradizionalmente negli accordi bilaterali d'investimento che consentono agli imprenditori che si sentono penalizzati da qualche decisione dello stato in cui investono di citarlo in giudizio tramite apposite corti arbitrali.

Ma non è detto che il cedimento della regione francofona del Belgio conduca automaticamente ad uno sblocco dell’iter e quindi alla ratifica del Ceta. Infatti ora l’intesa raggiunta nel vertice di ieri dovrà essere inviata di nuovo a tutti e quattro i parlamenti regionali del Belgio, che dovranno approvarla entro venerdì a mezzanotte. In caso di assenso unanime, il testo dovrà essere di nuovo approvato da parte degli altri 27 partner europei e solo in quel caso l’Ue potrà apporre la sua firma all’accordo.

Resta ora da vedere se la maggioranza dei deputati valloni – seguendo le probabili indicazioni del governo locale, e in particolare dei partiti socialista e democristiano – modificherà il proprio voto contrario. I socialdemocratici valloni temono infatti non solo la reazione dei settori economici e del mondo del lavoro che verranno penalizzati dall'eventuale entrata in vigore del trattato, ma anche la possibile crescita del Partito del Lavoro del Belgio e degli ecologisti, che potrebbero capitalizzare a livello elettorale lo scontento popolare in un momento in cui la regione è scossa da una forte crisi economica, dovuta alla chiusura di numerosi grandi stabilimenti e alla repentina crescita della disoccupazione.

 

Marco Santopadre

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1 Commento


  • Stroszek

    "il governo della Vallonia ha però ceduto, tirandosi dietro anche gli altri critici, dopo aver ottenuto dalle autorità federali la rassicurazione che le preoccupazioni espresse delle forze sociali e dalle associazioni di categoria contrarie al trattato verranno adeguatamente difese da Bruxelles". E' proprio quel "verranno adeguatamente difese da Bruxelles" che mi preoccupa. Mi sa che possono star freschi i valloni a questo punto…

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