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I Paesi baltici e la fobia dell’invasione russa

Nei fine settimana in Estonia ci si allena alla guerra. Reparti cosiddetti “volontari” fanno le prove di una futura guerra partigiana contro l'occupazione straniera, condotta da una milizia popolare tutta da formare e che, di popolare, sembra avere solo il nome. Chiaro quale sia l'esercito ritenuto attaccante. Meno chiaro, apparentemente, il compito di simile milizia. Tale Vivika Barnabas, una delle partecipanti alle manovre domenicali nella contea di Järvamaa, ha dichiarato al New York Times che insieme a lei altre 25mila persone si esercitano a nascondersi nei boschi per sfuggire, ovviamente, alle truppe russe e dar man forte ai seimila soldati regolari dell'esercito estone. Oltre a ciò, pare che questo “esercito partigiano” si debba esercitare a far fronte a situazioni di crisi, come quella, ad esempio, ipotizzata nell'area di Narva, all'estrema punta nordorientale del paese, con una forte minoranza di lingua russa e che, secondo Eesti Ekspress, in caso di attriti con la leadership estone, potrebbe trasformarsi in un altro Donbass. Chiaro dunque che i “partigiani” estoni, nel momento in cui Tallin accusasse direttamente Mosca di puntare a quel territorio, assumerebbero le medesime funzioni dei “volontari” ucraini arruolati nei battaglioni neonazisti: d'altronde, una sicura matrice hitleriana, nei Paesi baltici, non è mai venuta meno.

"Quello che sta accadendo nella contea di Ida-Virumaa” ha dichiarato a Pravda.ru il professor Nikolaj Meževič a proposito della regione di Narva, “è una catastrofe economica”, un'area depressa con decine di imprese chiuse e completa mancanza di investimenti “e, dove inizia una catastrofe economica, si genera inevitabilmente anche un disastro politico. Giudico quanto scritto da Eesti Ekspress una fandonia provocatoria. Se in quella contea ci saranno conflitti, questi riguarderanno le condizioni sociali della popolazione, a partire dai posti di lavoro”.

Più nello specifico della “guerra partigiana”, il presidente dell'Unione dei veterani dell'Afghanistan di Tallin, Oleg Kulikov, ha detto a Sputnik Estonia di ritenere il progetto un'assurdità. “Affinché una guerra partigiana in Estonia possa avere un qualche effetto, tutta la popolazione dovrebbe essere in armi. L'idea di mobilitare tante persone è di per sé assurda”. Inoltre, “il terreno e le dimensioni del paese, semplicemente non permettono una lotta partigiana. E anche se fosse possibile, le più recenti tecnologie, come ad esempio le termocamere, non lascerebbero alcuna possibilità ai guerriglieri”. Kulikov giudica impossibile il ripetersi della guerriglia dei “fratelli dei boschi”, gli ex legionari nazisti baltici che seminarono il terrore in quelle zone per buona parte degli anni '50.

Sputnik attaglia all'Estonia di oggi l'aforisma napoleonico secondo cui un popolo che non desidera sfamare il proprio esercito, ne sfamerà uno straniero e scrive che “la militarizzazione dell'Estonia sta assumendo forme ipertrofiche. Quanto più gli “alleati” promettono di inviare qui i loro soldati, tanto meno qui ci si preoccupa della situazione economica”. Secondo il Ministro della difesa, Hannes Hanso, l'investimento nelle infrastrutture che dovranno ospitare il battaglione Nato destinato all'Estonia, si misura in decine di milioni di euro e il costo della successiva manutenzione rimarrà "entro limiti ragionevoli", mentre "il contributo britannico è stimato in centinaia di milioni di euro”. A tanto, pare che assommi il costo dei mezzi bellici a disposizione degli 800 soldati britannici del battaglione destinato all'Estonia: carri Challenger II, blindati trasporto truppe Warrior e droni. Peccato che, intanto, gli abitanti dell'area circostante la base aerea Nato di Ämari si lamentino di non riuscire più a vendere un immobile e quelli di Tapa, dove verranno dislocati i corazzati britannici, siano già preoccupati di subire la stessa sorte. A livello economico, si lamenta che nessun investitore vorrà rischiare soldi sulla linea del fronte, come la leadership estone reclamizza il proprio paese, quale “piazzaforte avanzata della Nato”. Tantomeno vorranno rischiare potenziali investitori russi, etichettati non come “vicini”, bensì come “attaccanti”. Anzi, Mosca, dopo le controsanzioni con cui ha colpito l'agricoltura estone, ha già annunciato che dal 2018 troverà vie alternative al transito petrolifero dai Paesi baltici e, dal 2020, cesserà completamente il transito di merci, che rappresenta tuttora una voce fondamentale del bilancio estone.

D'altronde, la questione non riguarda solo l'Estonia. Anche la Lettonia, che attende il dispiegamento del battaglione a guida canadese (in cui rientrano anche i militari italiani), sta per essere trasformata in piazza d'armi della contrapposizione a Mosca. La scorsa settimana, scrive il sito ves.lv, si è tenuta a Riga la Conferenza internazionale sulla sicurezza; l'ex comandante in capo dell'esercito svedese, generale Sverker Eranson ha proposto pari pari di subordinare le forze armate della UE al comando supremo USA. Ai Paesi baltici, Eranson ha chiesto "investimenti permanenti per la sicurezza", dato che essi sarebbero “vulnerabili a cambiamenti del clima e reati ibridi". Il Segretario di stato alla difesa lettone, Janis Garisons, ha dedotto che "gli abitanti della Lettonia non si sentono abbastanza sicuri", perché per molto tempo non si è speso abbastanza nella difesa. L'ex Segretario generale Nato, Anders Fogh Rasmussen è stato più diretto: non appena la UE rafforzerà e renderà permanenti le sanzioni contro la Russia, Putin comincerà a comportarsi come un barboncino addestrato e obbediente: il brevettato “metodo Rasmussen” per far sì che la Russia divenga un “partner strategico dell'Occidente”, come da lui stesso ventilato. Un nuovo brevetto, che fa il paio con quello per cui gli USA debbano “intervenire maggiormente nei conflitti internazionali”, dato che si ha bisogno degli Stati Uniti quale “gendarme mondiale”.

A ogni buon conto, anche la Lituania ha deciso di preparare la popolazione a un'invasione e comincia ad addestrare gruppi di persone a spiare gli “occupanti”. Secondo la CNN, ripresa dal norvegese Dagbladet, negli ultimi due anni Vilnius ha reintrodotto il servizio militare e aumentato le spese per la difesa. Ora, andando oltre, il governo lituano ha pubblicato un opuscolo dal titolo “Prepararsi a sopravvivere in caso di crisi e di guerra”: ovviamente scatenata dalla Russia. "E 'necessario prestare attenzione alle azioni del nostro vicino, la Russia. Questo paese è pronto in qualsiasi momento a usare la forza militare contro i suoi vicini e sta  continuando l'aggressione militare all'Ucraina" recita il manuale. Di seguito, si invita la popolazione a essere fermamente orientata alla resistenza contro l'eventuale attacco. Secondo la CNN, è questa la terza volta, dal 2014, che il governo pubblica simili opuscoli; questa volta, si forniscono istruzioni su come condurre la ricognizione contro il nemico, su come identificare corazzati russi, mine, armi e munizionamento. A detta del funzionario del Ministero della difesa lituano, Karolis Aleksa, l'opuscolo “può contribuire a dissuadere la Russia dall'attaccare la Lituania”!

Se non fosse per l'intento provocatorio che accomuna il passato filonazista e il bellicismo odierno di gran parte del Baltico, verrebbe da replicar al signor Karolis Aleksa alla maniera del bottegaio toscano che, al villico entrato in negozio con l'ombrello aperto per giocare i numeri del lotto e dicendo quest'ultimo di voler puntare su cento, duecento e trecento, gli rispose: “che tu eri un bischero l'avevo capito dall'ombrello”. E si potrebbero anche pubblicare milioni di opuscoli su come sopravvivere alle “attenzioni particolari” di quel “gendarme mondiale”.

 

Fabrizio Poggi

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