Si va “movimentando” in modo sempre più inquietante il confine tra Polonia e Bielorussia.
E’ infatti trapelata la notizia che soldati britannici hanno cominciato operazioni di ricognizione lungo il confine tra Polonia e Bielorussia, in collaborazione con l’Esercito polacco. Lo ha riferito il ministro della Difesa di Varsavia, Mariusz Blaszczak.
The Guardian riferisce che le truppe britanniche sono arrivate giovedì e dovrebbero trascorrere alcuni giorni in Polonia, compresa la visita al confine su richiesta del governo polacco per capire se possono riparare o rafforzare la recinzione.
Il ministero della Difesa britannico ha affermato che la missione era incentrata solo sul “supporto tecnico per affrontare la situazione in corso al confine con la Bielorussia” e gli addetti ai lavori hanno affermato che non vi era alcun piano aggiuntivo per le truppe britanniche per sorvegliare il confine.
Fonti di Whitehall hanno affermato che era opportuno considerare di aiutare la Polonia dato che “è la Bielorussia che sta spingendo i migranti verso il confine”. Qualsiasi decisione finale per aiutare dovrà essere firmata dal segretario alla Difesa, Ben Wallace.
La missione militare britannica ai confini tra Polonia e Bielorussia non è piaciuta a Steve Valdez-Symonds, direttore dei diritti dei rifugiati e dei migranti di Amnesty International UK, il quale ha dichiarato che: “L’invio di soldati britannici per erigere più recinzioni di confine piuttosto che affrontare i bisogni delle persone che muoiono in quei confini mostra uno scioccante disprezzo sia per la vita umana che per il diritto delle persone a chiedere asilo”.
Lo stesso The Guardian sottolinea come non sia affatto chiaro perché la Polonia ritenga di aver bisogno dell’assistenza ingegneristica britannica ma, secondo il quotidiano britannico, i due paesi si sono “avvicinati” perché entrambi sono alle prese con controversie con l’Unione Europea.
Alla fine di ottobre, Boris Johnson aveva parlato con il primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, delle sue preoccupazioni sull’influenza della Corte di giustizia europea sul protocollo dell’Irlanda del Nord.
La Polonia è coinvolta in un conflitto con l’UE proprio perché contesta il primato della Corte di giustizia europea dopo che la sua corte costituzionale ha stabilito che il diritto polacco sostituisce il diritto dell’UE in caso di conflitto tra i due.
La Gran Bretagna aveva in programma di annunciare la missione la prossima settimana, in collaborazione con Varsavia, ma la notizia dello spiegamento dei soldati britannici è trapelata. È stato poi confermato su Twitter dal ministro della Difesa polacco, Mariusz Błaszczak, che ha affermato che l’obiettivo era “cooperare per rafforzare la recinzione di confine”.
Dall’altro lato del confine il ministro della Difesa bielorusso ha dichiarato che la Polonia dà l’impressione di voler scatenare un conflitto contro la Bielorussia, trascinandovi dentro l’Unione Europea, per risolvere i suoi problemi.
Mentre Il ministero della Difesa russo ha confermato che, nell’ambito di manovre militare congiunte, circa 250 paracadutisti russi sono stati lanciati da aerei da trasporto nella regione di Grodno in Bielorussia, al confine con la Polonia. Ha poi precisato che dopo l’esercitazione i paracadutisti sono risaliti a bordo degli aerei da trasporto e sono tornati in Russia, dopo.
L’esercito bielorusso ha sostenuto che l’esercitazione con un battaglione di paracadutisti russi aveva lo scopo di testare la prontezza delle forze di risposta rapida degli alleati a causa di un “aumento delle attività militari vicino al confine bielorusso“.
All’inizio di questa settimana, la Russia aveva anche inviato bombardieri strategici con capacità nucleare in missioni di pattugliamento sulla Bielorussia per due giorni consecutivi.
Il vice ambasciatore russo alle Nazioni Unite, Dmitry Polyansky, ha detto ai giornalisti presso la sede delle Nazioni Unite a New York che i voli sono arrivati in risposta a un massiccio accumulo di forze militari della Polonia sul confine polacco-bielorusso.
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Gianni Sartori
LE ORGANIZZAZIONI CURDE (KNK, HDP, PKK) INTERVENGONO SULLA CRISI UMANITARIA ALLA FRONTIERA POLACCA
Gianni Sartori
Da giorni circa tremila rifugiati che – invano – cercavano di entrare in Europa attraverso la Polonia, rimangono bloccati alla frontiera, nella foresta.
Molti di quei disperati (in gran parte donne e bambini) sono curdi che provengono dalla regione autonoma dell’Iraq e dal nord della Siria. Ossia da territori sottoposti, se pur in maniera diversa, agli attacchi di Ankara.
Abbandonati da entrambi gli Stati confinanti, sarebbero già una ventina quelli morti di ipotermia, fame o disidratazione. Una dozzina quelli desaparecidos.
Sulla questione è intervenuto il Congresso nazionale del Kurdistan. Rivolgendosi all’Unione europea, il KNK ha definito “disumano e inammissibile” il modo in cui Polonia e Bielorussia trattano i migranti. Con un appello non solo all’Ue ma anche a “tutti i cittadini europei dotati di coscienza” a non restare in silenzio e a trovare una soluzione.
Denunciando inoltre come Erdogan, Lukachenko e Putin stiano “utilizzando i rifugiati come un’arma politica”.
Evidentemente l’astuto presidente turco (che in questi anni aveva già sperimentato l’utilizzo dei migranti come strumento di pressione nei confronti della Ue) ha fatto scuola.
Oggi il suo obiettivo, secondo il KNK, sarebbe quello di “cacciare i curdi dalle loro terre per modificarne la stessa demografia”. Sostituendo i curdi con popolazioni e organizzazioni sotto il suo controllo (turchi, turcomanni, addirittura palestinesi…).
Altro intervento da segnalare, quello del Partito democratico dei Popoli. A nome di HDP, Pervin Buldan e Mithat Sancar si sono rivolti a Josep Borrel (rappresentante dell’Ue per gli affari esteri) affinché, in nome del rispetto dei diritti umani, venga accantonata la soluzione del blocco militare e i rifugiati (tra cui oltre 500 bambini) vengano soccorsi e accolti.
Lo stesso appello è stato rivolto al Segretario generale e al Commissario ai diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa oltre che a varie organizzazioni onusiane.
I portavoce di HDP si son detti “profondamente rattristati dal dover vedere un governo europeo spianare le armi contro i rifugiati invece di distribuire cibo e coperte”.
Non si conosce ancora il tenore della risposta di Josep Borrel all’appello di HDP. In compenso in questi giorni il capo della diplomazia europea ha presentato ai 27 ambasciatori degli Stati membri quella che viene definita la “bussola strategica”. Un progetto che sta per essere esaminato a Bruxelles e che comporta la creazione entro un paio di anni di una forza europea di reazione rapida.
Da parte del PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan) un accorato invito, un’esortazione alla popolazione curda affinché non fugga dal Bashur (il Kurdistan del Sud, in territorio iracheno) autoesiliandosi. E una richiesta al governo regionale curdo, quella di metter in campo adeguate iniziative per garantire condizioni di vita dignitose alla popolazione. Come in Rojava (dove Ankara sta operando con metodi che ricordano la pulizia etnica), così in Bashur un drastico cambiamento demografico (ossia la sostituzione della popolazione originaria curda) non farebbe altro che gli interessi della Turchia.
Calcolando che almeno 30mila persone hanno lasciato il Bashur in un solo anno, la Commissione Esteri del PKK ha esplicitamente accusato il governo turco e quello della regione autonoma (in pratica il PDK) di esserne responsabili.
Sia del massiccio esodo e spopolamento che della tragedia in corso sulla frontiera tra Polonia e Bielorussia.
Una tragedia legata alla crisi economica, alla disoccupazione, alla disperazione diffusa. Conseguenza dei “30 anni di politiche attuate dalle autorità del Kurdistan del Sud e dai paesi occupanti”. Dalla Turchia in particolare.
Con il rischio che questa parte del Kurdistan divenga “una zona di espansione per il nazionalismo fascista turco e per l’ideologia dell’islamismo radicale”.
Per questo il PKK chiama la popolazione curda e i giovani in particolare a “non abbandonare il Paese utilizzando la propria forza nella lotta per la giustizia, la democrazia e la libertà”.
Gianni Sartori