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 Varsavia celebra a modo suo l’anniversario di majdan

Il terzo anniversario dell'inizio della “rivoluzione romantica” in Ucraina, la “gloriosa” majdan (majdan Nezaležnosti: piazza dell'Indipendenza) di Kiev, è conciso con notizie meno poetiche e trionfali che giungono sia dalla capitale golpista, sia da quella dei “fraterni nemici” polacchi.

A Kiev il procuratore generale, l'elettrotecnico Jurij Lutsenko, ha condannato 35 persone, ne ha rinviate a giudizio altre 150 e si sta indagando su 190 individui per gli incidenti che, iniziati a fine 2013, portarono agli oltre cento morti del febbraio 2014 e al golpe nazistoide. Nulla di eccessivo, per carità! Lutsenko ha tenuto a precisare che, “sul banco degli accusati, siedono gli assassini”, ma non chi “diede l'ordine di uccidere persone pacifiche”, intendendo con ciò il deposto presidente Viktor Janukovič – che, sia detto en passant, si era rifiutato di armare la milizia, presa di mira dai cecchini, molti dei quali stranieri, appostati sui tetti attorno alla piazza – e non certo i padrini d'oltreoceano che nei mesi precedenti avevano addestrato le squadracce neonaziste e che tirano tuttora i fili della tragedia.

Ma il terzo anniversario di majdan ha coinciso anche con un migliaio di cause, per una somma di 5 miliardi $, in procinto di esser intentate da cittadini polacchi che chiedono la restituzione di proprietà appartenute a loro predecessori prima che la parte orientale della Polonia (specialmente la Galizia) entrasse a far parte dell'Urss. La cosa va avanti da tempo, soprattutto da quando la questione è stata sollevata dall'organizzazione polacca “Reštitúcia Kresov” e alimentata da prese di posizione anche ufficiali di Varsavia. In linguaggio giuridico, si tratta, per l'appunto, di una “restituzione” (restituzione dei “kresy”, cioè dei confini orientali, come sono definite in Polonia non solo l'Ucraina occidentale, ma anche alcune aree di Bielorussia e Lituania a suo tempo appartenute alla Reç Pospolita). Di fatto, al momento, solo alcune cause sarebbero state aperte di fronte ai tribunali di Kiev, L'vov, Lutsk e Ternopol, per abitazioni e terreni circostanti e un'altra causa di fronte ai giudici di Kharkov, per una miniera di rame. Secondo il presidente di “Reštitúcia Kresov”, Konrad Renkas, si starebbero preparando 1660 cause di discendenti di cittadini polacchi (sarebbero stati circa 800mila e, tra questi, non pochi anche fuggiti al seguito dei nazisti in ritirata) espulsi a suo tempo dal territorio oggi ucraino, ma, più in generale, circa 150mila polacchi potrebbero avanzare pretese simili.

Rusvesna.su scrive che, da parte polacca, non si fa altro che seguire gli esempi di quanto già verificatosi in altri stati dell'est Europa e nei Paesi baltici dove, con tale procedimento, interi quartieri sono stati “restituiti” e gli abitanti lasciati in mezzo alla strada. Secondo il polacco prawica.net, le cause intentate si basano sulla possibilità offerta dalla firma ucraina dell'accordo di associazione alla UE, che prevede tali richieste di indennizzo e, concretamente, si rendono possibili con la fine, al 31 dicembre 2016, della moratoria sulla vendita di terreni in Ucraina e l'eliminazione, da parte della Commissione europea, delle restrizioni alla proprietà terriera in paesi stranieri. Per l'appunto, ciò che serviva alle multinazionali agroalimentari ed energetiche occidentali per estendere a tempo praticamente indeterminato il loro possesso di intere aree ucraine, parallelamente alla lotta a coltello interna che, nei venti anni precedenti majdan, ha contrapposto i raggruppamenti oligarchici di Dnepropetrovsk a quelli di Donetsk.

A proposito di Polonia, il politologo Semen Uralov nota su rusvesna.su come la guerra tra bande elitarie della “šljakhta”, la nobiltà polacca, che aveva caratterizzato la tanto celebrata Reç Pospolita, si riproponga oggi tale e quale negli accoltellamenti tra oligarchi ucraini del pre e post-majdan.

E, nelle “celebrazioni” majdaniste, molti media ucraini si dicono “sconvolti” per le dichiarazioni che serpeggiano a Kiev, secondo cui “prima di majdan si stava meglio”. Il deputato-cosacco Mikhail Gavriljuk dice che “fa male” sentire quelle affermazioni e osanna majdan, ricordando come il “21 novembre 2013 sia il giorno della decisione, della protesta, del dissenso. E' il giorno che ha segnato l'inizio degli umori rivoluzionari, dei cambiamenti cardinali e degli incontri fatali”; amen.

Comunque, se per il momento, mentre Kiev celebra le “grandezze” di majdan di nuovo con scontri e incendi di copertoni, sembra passare in secondo piano il pericolo di una vera e propria disintegrazione ucraina a favore di Romania, Ungheria, Polonia ecc., qualche timore sta evidentemente attraversando le file golpiste. Ieri uno dei capi neonazisti par excellence, Dmitro Jaroš, avrebbe proposto a Petro Porošenko la costituzione di una nuova forza armata, composta di “volontari”. Secondo Jaroš, l'esercito "volontario" o "riservista" dovrebbe essere "una struttura pubblica sul tipo della estone "Kajstelitu", o della difesa territoriale polacca, o forse anche basarsi sul modello finlandese o svizzero”: insomma, qualcosa, pur di sistemare i “volontari” neonazisti rimasti disoccupati dopo essere stati ritirati dal Donbass, per la loro manifesta incapacità a combattere contro le milizie delle Repubbliche Popolari.

Da parte sua, per celebrare l'anniversario di majdan, un altro “leggendario” patriota, il “führer” del battaglione Azov, Andrej Biletskij, è tornato su un tema a lui caro: spedire in Siria un battaglione “volontario” ucraino, per combattere dalla parte degli USA contro i curdi; le armi dovrebbero esser prese all'Armenia e il finanziamento dovrebbe arrivare da Washington. Secondo “Adolf” Biletskij, l'Ucraina potrebbe diventare “un fattore chiave nella soluzione della questione siriana”.

Insomma, qualunque cosa, pur di stornare dalle “meravigliose sorti” di majdan.

 

Fabrizio Poggi

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