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Sanzioni USA alla Russia: un altro passo verso la fine di Bretton Woods

Continua a tenere banco la questione delle sanzioni occidentali contro la Russia e delle contromisure di risposta del Cremlino. Quasi nessuno si ricorda più quali fossero i pretesti addotti, ormai oltre tre anni fa (marzo e dicembre 2014, aprile 2015, luglio e dicembre 2016) per punire Mosca della sua “insolenza” ai danni di quei prodi democratici – nazisti è vero, ma purtuttavia disciplinati picciotti della cupola del Campidoglio – freschi della democratica presa del potere a Kiev a suon di mazze da baseball, bottiglie molotov e cecchini di vari servizi segreti europei. Del resto, è più che naturale che quei pretesti siano evaporati dalla memoria, dal momento che non si trattava, appunto, che di pretesti.

La sostanza appare ora sempre più nitida. E insieme a quella, fanno capolino anche le divergenze d’opinione, tra le due sponde dell’Atlantico e al di qua dell’oceano, su quelle sanzioni. L’osservatore del quotidiano Zavtra, Anatolij Vasserman, parla ad esempio di “banderuola”, a proposito della posizione di molti leader europei che, storcendo la bocca di fronte al recente inasprimento delle sanzioni USA, non disdegnano di irrobustire le proprie. Se in alcuni circoli tedeschi e alla Commissione Europea si sussurra sottovoce di sanzioni UE contro gli USA (?!?), giudicando la “Legge sulla lotta contro gli avversari dell’America per mezzo di sanzioni” una violazione del diritto internazionale, poi, altri tedeschi esigono sanzioni UE contro alti funzionari del Ministero dell’energia russo per la vicenda della turbina Siemens, che sarebbe stata esportata in Crimea aggirando le sanzioni europee. D’altronde, quando a Bruxelles si parla di violazione del diritto internazionale, si ha in mente in primo luogo il “North stream-2”, contro cui dovrebbero agire le sanzioni USA, a difesa degli interessi energetici yankee e al cui finanziamento sono invece interessate diverse banche tedesche, con una vacillante posizione della Berlino ufficiale.

In sostanza, l’Europa ha bisogno sia del mercato americano, che di quello russo e se il secondo, oggi, è abbastanza limitato rispetto al primo, in prospettiva la situazione è destinata a invertirsi, con la politica di Trump a difesa dell’industria americana. Rimangono tuttavia interessi europei in USA, dice Vasserman, tanto che non si rifiuta di pagare “multe”, pur di conservare la presenza negli States. É il caso della banca britannica HSBC (sanzionata due anni fa con 2 miliardi di $ per collaborazioni con l’Iran) o della francese BNP Paribas (8 miliardi di $ per violazioni delle sanzioni contro Iran, Sudan e Cuba) o dello scandalo con i motori diesel tedeschi che superavano la soglia delle emissioni ammesse in America. Se dunque apparirà chiaro che Berlino è disposta a pagare due volte e mezzo di più per il gas di scisto USA e abbandonare il “North stream-2”, Mosca troverà a oriente a chi indirizzare il proprio gas, sostiene Vasserman.

Comunque, Tribunale di giustizia europeo e Alto tribunale territoriale di Dusseldorf hanno abrogato, con quasi un anno di anticipo, le misure restrittive ai danni di Gazprom per il pieno utilizzo del gasdotto “Oral”, che collega il “North stream-1” ai sistemi di transito dell’Europa centrale e occidentale attraverso la Germania. L’arbitrato ha provocato l’irritazione di Polonia e Ucraina, direttamente interessate ai ricavi dal transito del gas russo: da “Oral” passeranno ora infatti 76 milioni di m3 al giorno, invece di 56, tagliando fuori buona parte del tragitto ucraino. Sul fronte interno tedesco, la leader dei Die Linke, Sara Wagenknecht, in un intervista a Der Tagesspiegel in cui ha toccato anche problemi interni di politica economica e sociale, si è detta d’accordo con Angela Merkel nel considerare gli USA un partner non affidabile, come gli ex socialdemocratici affermano “da almeno cinque anni”. Secondo Wagenknecht, le sanzioni non risolvono alcun problema e tantomeno l’esclusione di Mosca dal G8.

E il Ministro degli esteri tedesco Sigmar Gabriel ha ripetuto (a parole) che “ci difenderemo dalla politica industriale condotta con il pretesto delle sanzioni, dietro lo slogan America sopra tutto”, bofonchiando in aggiunta qualcosa sull’importanza di risolvere la crisi ucraina, ma rimanendo poi a bocca asciutta quando è giunta la notizia che Trump aveva firmato la legge sull’inasprimento delle sanzioni contro Russia, Iran e RDPC adottata dal Senato il 28 luglio, nonostante questa, secondo Gabriel, prevedesse “consultazioni preliminari con noi europei”.

Trump l’ha firmata, nonostante la giudichi “non perfetta” e in una serie di articoli addirittura incostituzionale, in particolare quelli per cui gli Stati Uniti non riconoscono la “illegale occupazione di Abkhazia, Ossezia del Sud, Crimea, Ucraina orientale e Transnistria” e con cui si “mira a privare il presidente del diritto costituzionale esclusivo a riconoscere i governi stranieri e i loro confini territoriali”. Trump ha criticato anche la decisione del Congresso di privarlo del suo diritto personale all’abrogazione delle sanzioni, come pure una decina di paragrafi che limitano i suoi poteri costituzionali. E, ciononostante, l’ha firmata, nella speranza “Infine, che il Congresso rinunci a utilizzare questo disegno di legge imperfetto, per ostacolare il nostro importante lavoro con gli alleati europei per risolvere il conflitto in Ucraina e anche a impiegarlo per frenare i nostri sforzi tesi a eliminare ogni possibile circostanza con cui possano scontrarsi le imprese americane, i nostri amici e i nostri alleati”.

In ogni caso, da Washington si continua candidamente a proclamare di voler normalizzare i rapporti con la Russia: lo ha fatto il Segretario di stato Rex Tillerson, dicendo di aspettare passi costruttivi da parte di Mosca “per l’adempimento degli accordi di Minsk” e assicurando che né lui né Trump “sono soddisfatti dei passi del Congresso per l’adozione delle sanzioni”. Tillerson, che nei prossimi giorni incontrerà l’omologo russo Sergej Lavrov a Manila e ammonendo che le relazioni russo-americane minacciano di degradarsi ulteriormente, si è anche detto convinto che la decisione di Putin sulla riduzione di 755 addetti alle sedi diplomatiche USA in Russia sia stata dettata più che altro dalla preoccupazione di mostrare ai cittadini russi che Mosca, in qualche modo, risponde alle sanzioni americane.

E mentre Federica Mogherini, nella sua inutile renzianità, ha esultato all’annuncio che Montenegro, Albania (entrambi candidati all’ingresso nella UE), Norvegia e Ucraina si sono unite alla decisione UE di prorogare le sanzioni antirusse, il primo ministro russo Dmitrij Medvedev ha definito l’inasprimento delle sanzioni USA una guerra commerciale in piena regola, che mette fine alla speranza di migliorare le relazioni con gli USA. “L’Amministrazione Trump ha mostrato completa impotenza” ha detto Medvedev, “trasferendo nella maniera più umiliante i poteri esecutivi al Congresso. Questo cambia i rapporti di forza nei circoli politici degli Stati Uniti. L’establishment americano ha battuto Trump: il presidente non è contento delle nuove sanzioni, ma non ha potuto non firmare la legge. Le nuove sanzioni sono un altro modo per mettere Trump al suo posto; ci saranno altri passi: l’obiettivo finale è la sua esautorazione”, ha dichiarato Medvedev, quasi a lanciare un ponte a Trump contro il Congresso.

In questa cornice, sembra che si stia diffondendo un generale panico per il fatto che la Banca centrale russa continua ad aumentare le riserve auree del paese e si accinge a superare le riserve cinesi: nel solo mese di giugno, ne avrebbe acquistate oltre 9 tonnellate.

“La Banca di Russia rimane leader mondiale per incremento di oro nelle riserve internazionali: nei primi sei mesi dell’anno, si sono accresciute di ulteriori 100 tonnellate. Nel 2015 e 2016 ha acquistato 206,7 e 200,7 tonnellate di oro; così che in due anni e mezzo le riserve auree del paese sono arrivate a 1.700 tonnellate. Per raggiungere la Cina mancano appena 126,7 tonnellate. Non a caso il vice Ministro degli esteri Sergej Rjabkov, in un’intervista a ABC News ha dichiarato che le sanzioni USA non fanno altro che spingere Mosca a elaborare sistemi per cui il dollaro verrà eliminato. “Ogni passo della Casa Bianca per renderci la vita più difficile” ha detto Rjabkov, avvicina la Russia al momento in cui questa comincerà a rendere la propria economia (e l’intero sistema economico mondiale) indipendente dal dollaro”. Secondo diverse valutazioni, nel giro di 5-7 anni Russia, India e Cina rinunceranno a dollaro e euro nei pagamenti internazionali, sgretolando il sistema di Bretton Woods. Per l’esultanza della Mogherini italica.

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