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Ucraina: schiavitù per i lavoratori e bombe per il Donbass

Oltre alla guerra nel Donbass, alla crisi economica che ha ridotto la maggioranza dei lavoratori a dover scegliere tra nutrirsi o scaldarsi durante l’inverno, per i giganteschi aumenti che il FMI ha imposto sui prodotti alimentari e sulle tariffe energetiche, il golpe neonazista del febbraio 2014 ha regalato all’Ucraina anche la moderna schiavitù.

Russkaja Vesna, sulla base di fonti della polizia ucraina, scrive dello smascheramento di un’organizzazione criminale che avrebbe spedito oltre 200 ucraini in Inghilterra, attraverso intermediari lituani, per lavori a dir poco da “schiavi”. Procurando visti di lavoro per la Polonia (essenziali per entrare nel territorio della UE) i lavoratori, provenienti per lo più dalle regioni di Ivano-Frank e Ternopol, erano fatti passare in Lituania. Qui, ricevevano documenti autentici, intestati a cittadini lituani, cui i malcapitati ucraini venivano fatti somigliare con l’ausilio di parrucche, imbellettamenti e altri sotterfugi. Nei casi in cui non era possibile trovare documenti con foto somiglianti, la “merce” viaggiava nascosta a bordo di TIR. Lo stipendio promesso nel “paradiso europeo” britannico variava dalle 4.000 alle 7.000 sterline al mese, per occupazioni “del tutto legali”.

I disgraziati contavano su brevissimi periodi di lavoro: giusto il tempo, col miraggio di tali salari, di mettere da parte il gruzzolo per comprar casa in Ucraina. Di fatto, le “risorse umane” rimanevano a tempo indefinito ostaggi dei banditi che, per miseri stipendi, procuravano agli sventurati lavori come guardiani di bestiame, addetti ad autolavaggi, lavapiatti e braccianti. Come nella miglior scuola internazionale, il grosso del salario veniva intascato dai caporali, quale “compenso” per averli traghettati all’inferno e, ancora da manuale, ogni protesta veniva messa a tacere con botte e minacce di ritorsioni sui familiari in patria.

Forse si riferisce a questo sistema di “emigrazione”, Petro Porošenko, quando promette agli ucraini l’abolizione dei visti per l’ingresso in Europa. D’altronde, da tre anni promette anche “il ritorno del Donbass” e, per ora, l’aggressione di esercito e battaglioni neonazisti non ha portato altro che bombardamenti e vittime, soprattutto civili, tra la popolazione delle Repubbliche popolari di Donetsk e di Lugansk. Proprio in questi giorni, la Croce Rossa Internazionale ha diffuso i dati ufficiali sul numero di vittime civili dall’inizio del conflitto nel Donbass: si tratterebbe di oltre 2.700 persone uccise, tra cui alcune centinaia di minori. Secondo il Ministero degli esteri di Kiev, i dati ONU parlerebbero di almeno 2.500 civili uccisi e circa 9.000 feriti. Già due anni fa, i servizi segreti tedeschi avevano ventilato una cifra – su cui è poi caduto il silenzio, ma che non è mai stata smentita – di oltre 50.000 vittime, tra civili e militari.

E, se ieri l’altro le milizie delle Repubbliche popolari lanciavano l’allarme su possibili offensive ucraine, queste sono arrivate puntuali nella giornata di ieri. Il portavoce delle milizie della DNR, Eduard Basurin, aveva rivelato che, lungo la direttrice di Gorlovka, la ricognizione aveva rilevato negli ultimi giorni manovre di disturbo e un intenso rifornimento di munizioni e carburante per le truppe ucraine: un segnale non di buon auspicio per il cessate il fuoco. Il portavoce della LNR, Andrej Maročko, aveva parlato di intensificazione dei voli di ricognizione con l’uso di droni e di gruppi di perlustrazione terrestre, insieme a manovre di disturbo radioelettronico. A partire dall’alba di ieri, il fuoco dei mortai ucraini ha incendiato abitazioni civili nell’area di Krasnyj Jar, nella LNR e nel pomeriggio, le truppe ucraine si sono addirittura accanite contro una squadra di vigili del fuoco che, alla periferia di Donetsk, stava accorrendo a spegnere gli incendi provocati dalle artiglierie di Kiev: il caposquadra è rimasto ucciso e 3 vigili del fuoco feriti. Ancora nella tarda serata di ieri, le forze di Kiev continuavano a bombardare la periferia di Donetsk, mentre stamani hanno colpito con proiettili incendiari i quartieri civili di Kalinovo, nella LNR.

Questi non sono che i frutti di quella majdan Nezaležnosti, piazza Indipendenza, che il 24 agosto si appresta a celebrare, per l’appunto, il 26° anniversario della nezaležnosti, la “indipendenza” dall’Urss, facendo sfilare per le vie di Kiev alcune centinaia di soldati della Nato.

Nazionalisti ed ex vertici militari polacchi hanno già espresso la propria contrarietà a che soldati della Trzecia Rzeczpospolita Polska sfilino al suono dell’inno dell’OUN banderista, divenuto oggi, con qualche adattamento, l’inno delle forze armate ucraine. Se dal testo sono stati espunti i riferimenti alle pretese territoriali sulle nazioni confinanti, è però prevista la presenza alla parata dello stendardo originale della 3° Divisione fucilieri, donato all’Ucraina nel 1992 dal capo della chiesa ortodossa autocefala, Mstislav Skripnik, dal 1941 al ’44 capo dell’amministrazione filonazista a Rovno.

Ma il Ministero della difesa polacco, scrive oggi news-front.info, ha fatto sapere di star ancora valutando in quale proporzione partecipare alla parata: se limitare al minimo la presenza di propri soldati o se invece sia più consono soprassedere sui 100.000 polacchi trucidati dall’OUN-UPA nel 1943, in nome del “comune sentire” antirusso. Del resto, è probabile che a Varsavia concordino di dar peso a quelle affinità “storico-etniche” polacco-ucraine, di contro alla “assenza di sangue slavo nelle vene dei russi, discendenti da tribù ugro-finniche, dei Merja, Murom, Mordvi, Moksh o Komi, mischiate con mongoli e altre nazionalità asiatiche” proclamata a Kiev. Detto questo, non rimane che mettere d’accordo le due scuole di “pensiero nezaležnyj”: la presente e quella che, appena pochi fa, aveva proclamato Genghis Khan ucraino, nato in un’area tra il Don e il Dnepr, figlio di Elena e di Isaak, ebreo.

La Nezaležnosti gioca anche questi scherzi, se non fosse tragica per chi ne subisce le conseguenze.

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