Si è chiusa ieri al Bayerischer Hof di Monaco la 54° Conferenza “sulla sicurezza”, che aveva all’ordine del giorno, in particolare, la politica estera e la sicurezza europee, compresa la nuova alleanza militare “PeSCo” (Permanent Structured Cooperation), le relazioni della UE con Russia e Stati Uniti e il peggioramento delle situazioni nel Golfo e nella penisola coreana.
Die junge Welt riferisce anche della nutrita manifestazione che, con slogan contro il “cartello della guerra”, per la “fine delle aggressioni NATO”, contro l’export di armamenti tedeschi (i Leopard-2 della KMW, i velivoli da guerra del Airbus-Konzern, i propulsori degli A400M del MTU, per citare solo alcune delle imprese tedesche che hanno sponsorizzato e tenuto banco alla Conferenza), contro le forniture di armi alla Turchia e le missioni estere della Bundeswehr, ha accompagnato la fine della tre giorni NATO-UE. Parallelamente al convegno dei politici NATO e delle lobby degli armamenti, infatti, venerdì e sabato si era tenuta, sempre a Monaco, una conferenza internazionale sulla pace, con circa 350 partecipanti da tutto il mondo.
Ad ogni modo, nell’ambito della Conferenza “sulla sicurezza”, per quanto riguarda il settore del cosiddetto “spazio postsovietico”, il Segretario alla difesa USA James Mattis ha incontrato, tra gli altri, il primo ministro georgiano Georgij Kvirikašvili e il suo Ministro della difesa Levan Izorija, lodando i due discepoli per “i notevoli progressi nella riforma militare”. Naturalmente, chiosa Russkaja Vesna, sia nei confronti della Georgia, che dell’Ucraina, “gli USA sostengono la sovranità e l’indipendenza dei due paesi”.
E a proposito dell’Ucraina, a Monaco il Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov ha dichiarato che essa è stata usata per inasprire i rapporti tra Russia e UE ed è stata ridotta in una condizione di “incapacità di autonoma direzione. Al contrario” ha detto, Mosca “ha interesse ad avere un vicino forte ed è dunque interessata più di ogni altro alla soluzione della crisi” ucraina. D’altra parte, la UE “nell’ultimo decennio non è riuscita a trovare il <giusto mezzo> nei rapporti col nostro paese.
Negli anni ’90, dominava un’immagine della Russia quale <apprendista>, che doveva essere istruita metodicamente, secondo gli standard occidentali.
Oggi, si persegue la leggenda della <onnipotente minaccia russa>, le cui tracce si sta cercando di trovare ovunque, dalla Brexit al referendum catalano”. Di converso, ha concluso Lavrov, per la Russia è vantaggiosa una UE robusta e prevedibile, con cui sia possibile accordarsi.
Figura abbastanza mediocre, quella fatta invece in Baviera da Petro Porošenko, nel momento in cui nelle maggiori città ucraine, da Kiev a L’vov, da Černovtsi a Kharkov, si ripetevano manifestazioni dei sostenitori di Saakašvili (nuovamente, “georgiano errante per l’Europa”) con la richiesta di dimissioni del presidente. Di fronte a un auditorio decisamente scarso, Petro ha ripetuto il ritornello della “Russia aggressore” che, con la propria politica demoniaca e una guerra ibrida mondiale vorrebbe “distruggere l’unità e la democrazia dell’Ucraina”, “violare ovunque i diritti e le libertà degli individui”. L’obiettivo di Mosca, ha tuonato Petro a Monaco, è quello di “destabilizzare e indebolire l’Ucraina”. Di fronte ai piani di Mosca, con una Ucraina che oggi “è lo scudo e la spada d’Europa”, ha supplicato Petro, “mi rivolgo ai nostri partner internazionali: sostenendo noi, voi avete la possibilità di costruire qualcosa di più dell’ordine europeo. Difendendo l’Ucraina, voi difendete le vostre sovranità, integrità territoriale e indipendenza”.
In conclusione, ha sentenziato, “l’unico messaggio da inviare oggi a Mosca deve esser quello che il prezzo dell’aggressione salirà finché i soldati russi non lasceranno il Donbass e la Crimea”. Porošenko, d’altra parte, non ha mancato di dettare le condizioni a cui Kiev è disposta a dialogare con Mosca: ciò avverrà “il giorno dopo che i russi avranno richiamato i loro soldati dalla mia terra. Il giorno dopo che noi avremo ripristinato l’integrità territoriale del mio paese, compresa la Crimea”, ha detto, assicurando che in Ucraina non è in corso un conflitto interno, bensì una “aggressione da parte della Russia”.
E infatti, proprio per “l’assenza” di quel conflitto interno, mentre non cessano le quotidiane provocazioni lungo vari punti del fronte con la DNR, con l’impiego di lanciagranate anticarro su affusto SPG-9 e lanciagranate portatili RPG, le milizie della LNR lanciano l’allarme sui preparativi ucraini in vista di un probabile attacco delle truppe di Kiev.
Il Ministero per la sicurezza di Lugansk informa di aver sventato un tentativo, da parte di sabotatori ucraini, di mettere fuori uso il sistema di allarme per le situazioni d’emergenza, che consente di avvisare la popolazione sulla ripresa delle operazioni militari. Lungo la linea di demarcazione, inoltre, si starebbero ammassando mezzi pesanti, si è fatta più evidente la presenza di istruttori stranieri, in particolare, britannici e canadesi, e a più riprese sono stati neutralizzati gruppi di sabotatori ucraini: tutti segnali di preparazione di un’offensiva.
Ma il Ministro degli esteri golpista, Pavel Klimkin, lamenta di esser rimasto abbastanza deluso dagli incontri a Monaco sul Donbass: “Quasi 20 incontri, alcuni piacevoli e altri non molto e molta neve a Monaco.
Per quanto riguarda quelli nel “formato normanno”, la prossima volta riuniremo tutti i ministri, altrimenti qualcosa non funziona.
Questa volta è stato con la delegazione tedesca”. Sembra infatti che il Ministro Sigmar Gabriel sia dovuto rientrare anzitempo a Berlino, così che il previsto colloquio franco-tedesco-russo-ucraino sia saltato, rimpiazzato da un incontro a due Lavrov-Klimkin.
Sul piano planetario, sembra che Monaco non abbia fatto che ribadire la distanza tra Mosca e Washington: mentre qualche spiraglio si sarebbe aperto sul versante tedesco, con Sigmar Gabriel che avrebbe parlato della possibilità di un alleggerimento delle sanzioni alla Russia, in caso di dispiegamento della missione ONU nel Donbass, a Washington il Segretario di stato Rex Tillerson ha parlato della possibilità di altre sanzioni.
Così, da un lato, il presidente bielorusso Aleksandr Lukašenko e il finlandese Sauli Niinistö si sono detti pronti a inviare propri contingenti di caschi blu in Donbass, se verrà raggiunta un’intesa sulle aree di dispiegamento (Kiev li vorrebbe sulla frontiera tra Donbass e Russia; mentre le milizie lungo la linea del fronte); ma, dall’altro, continuano a segnare il passo i colloqui tra i rappresentanti USA e russo, Kurt Volker e Vladislav Surkov. Segno anche, probabilmente, del tentativo di Washington di legare l’accordo sul Donbass a un qualche coinvolgimento di Mosca nelle manovre yankee contro quelli che l’inviato USA, Herbert McMaster, ha definito “i regimi rinnegati che minacciano la sicurezza globale e le potenze revisioniste che mettono a repentaglio la stabilità dell’ordine internazionale”, riferendosi alle “armi chimiche” siriane e agli “armamenti nucleari” della RPDC. Una tirata, che comprendeva anche l’attacco a Mosca sulla questione dell’Accordo sui missili a medio e corto raggio e la difesa dell’arsenale atomico USA.
Una “motivazione”, questa, che fa il paio con l’alleanza militare “PeSCo” e con l’approvazione, a Bruxelles, della proposta dell’ex comandante delle forze di terra statunitensi in Europa, il tenente generale Ben Hodges, per la creazione di un Centro di comando che garantisca il rapido trasferimento di forze e mezzi in Europa, “con la stessa rapidità dei migranti”, senza gli “intralci” per cui oggi, ad esempio, lo spostamento di truppe americane dalla Polonia alla Germania richiede un preavviso di cinque giorni.
Nessun bisogno di “preavviso”, invece, per i due cacciatorpediniere della VI Flotta USA, il “Carney” e il “Ross”, entrambi dotati del sistema “Aegis”, che da alcuni giorni incrociano di nuovo nel mar Nero, con il forte disappunto di Mosca.
Si attende ora che, “con la stessa rapidità” con cui si ributtano in mare i migranti, si approntino anche i relativi lager per chi osi mettere in discussione la “sicurezza” europea.
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Helen
Oggi è un terribile anniversario del trasferimento della Crimea in Ucraina