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Il vertice Nato materializza le contraddizioni tra Usa e partner europei

I capi di stato riuniti per il vertice annuale della Nato oggi cercheranno di abbassare la temperatura del summit di Bruxelles, reso rovente dalle esternazioni di Donald Trump contro i partner dell’alleanza atlantica. Ieri il presidente Usa aveva attaccato la Germania definendola “prigioniera della Russia” e poi aveva sferzato gli alleati europei, rilanciando la sfida e chiedendo di arrivare a un contributo del 4% per le spese militari, il doppio del 2% già oggi oggetto di scontro perché è una quota non raggiunta da molti paesi della Nato.

L’agenda di oggi del vertice prevede come temi l’impegno della Nato in Afghanistan e sull’Ucraina. Sul secondo fronte si attende il l’incontro vis-a-vis di lunedi prossimo a Helsinki tra Putin e Trump.

La richiesta di arrivare al 4% della spesa militare rispetto al 2% concordato al summit in Galles nel 2014 (e da raggiungere entro 10 anni) ha colto di sorpresa gli alleati ed ha subito gelato la discussione. Secondo Alberto Negri “Nell’ottica di Trump quella di Bruxelles è una visita ai “parenti serpenti” del fronte europeo. Già il suo predecessore, il simbolo globalista Barack Obama, aveva intrapreso una traiettoria di contrapposizione con gli alleati della Nato che aveva definito “free-riders“, degli “scrocconi” che usufruiscono delle spese del Pentagono e godono dei benefici che gli americani possono garantire in termini di sicurezza”.

Insomma i rapporti tra le due sponde dell’Alleanza Atlantica da tempo hanno cessato di essere solidi ma asimmetrici come nel passato. Pochi ricordano che nel 2008 l’invocazione della Georgia all’art.5 dell’alleanza nel conflitto con la Russia, fu accolta solo dagli Usa ma non dagli altri alleati… e rimase disattesa.

La dichiarazione congiunta dei 29 stati aderenti alla Nato ha quindi confermato la volontà di restare uniti ed ha concesso al presidente Usa un accenno alla necessità di condividere il peso delle spese per la Difesa, ma senza specificare numeri. C’è stata la conferma dell’art.5 cioè l’impegno comune a considerare un attacco diretto contro la Nato qualsiasi aggressione a un stato membro.

Appare piuttosto evidente come il vertice Nato sia avvenuto in un contesto di aperto scontro economico tra Usa e Unione Europea. Trump ha dato voce a quella linea ben presente in tutte le amministrazioni statunitensi, secondo cui l’ombrello militare Usa ha consentito all’Unione Europea – ed a Germania e Francia soprattutto – di concentrare sforzi e risorse sul rafforzamento economico e tecnologico, operando apertamente verso l’indipendenza dal complesso militare-industriale e tecnologico statunitense, minando cioè un fattore decisivo della storica supremazia Usa nel rapporto con i suoi partner. Trump ha lasciato intendere di voler e poter chiudere l’ombrello e, parallelamente, di poter alzare la tensione internazionale nelle aree a ridosso dell’Unione Europea (dal Medio Oriente alla frontiera est). Una politica che l’imperialismo statunitense ha perseguito sistematicamente dagli inizi del XXI Secolo, proprio nel tentativo di scongiurare l’incubo della “nascita di potenze rivali capaci di contendere l’egemonia Usa” indicato nei documenti dei neoconservatori prima nel 1992 e poi nel 2000. La categoria dei parenti serpenti utilizzata da Alberto Negri dà l’idea dello  stato delle relazioni tra Usa e Unione Europea in questo primo ventennio del XXI Secolo, ma la tendenza ad azzannarsi – vedi i dazi – sembra ormai prevalere su quella della concertazione che aveva reso la Nato – così il Wto, l’Onu, il Fmi – una delle camere di compensazione delle crescenti contraddizioni e divergenze di interessi tra gli “alleati” di un tempo.

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Sul vertice della Nato ripubblichiamo due contributi che ci sembrano interessanti: il primo di Alberto Negri su Il manifesto dell’11 luglio, il secondo di Adriana Cerretelli su il Sole 24 Ore dell’11 luglio.

Alberto Negri: Trump e i vassalli, l’Europa dei parenti serpenti (Il manifesto 11 luglio)

Il vertice Nato è un apertitivo del summit Trump-Putin che sarà incentrato sulla Corea del Nord, un successo che il presidente americano vuole portare casa con il sostegno di Mosca (e di Pechino). Nell’ottica di Trump quella di Bruxelles è una visita ai “parenti serpenti” del fronte europeo. Già il suo predecessore, il simbolo globalista Barack Obama, aveva intrapreso una traiettoria di contrapposizione con gli alleati della Nato che aveva definito «free-riders», degli “scrocconi” che usufruiscono delle spese del Pentagono e godono dei benefici che gli americani possono garantire in termini di sicurezza

Un lungo editoriale sul New York Times di ieri forse ha colto nel segno: il vertice Nato di Bruxelles è solo l’aperitivo del vertice del 16 luglio tra Putin e Trump che sarà incentrato sulla Corea del Nord, un successo che il presidente americano vuole portare casa con il sostegno di Mosca (e di Pechino). Per il resto _ Ucraina, Siria, sanzioni_ si vedrà. Intanto in Russia arriva oggi Benjiamin Netanyahu, per discutere con il capo del Cremlino di Iran, Siria e Golan, mentre per le cronache nostrane è atteso anche il corifeo Giancarlo Giorgetti, braccio destro di Salvini che domenica vedrà il lider màximo dei nostri tempi, l’unico per altro che negli ultimi vent’anni ha vinto una guerra mantenendo al potere a Damasco Bashar al Assad e che oggi si gioca pure la carta diplomatica del Mundial calcistico.

Nell’ottica di Trump quella di Bruxelles è una visita ai “parenti serpenti” del fronte europeo. Già il suo predecessore, il simbolo globalista Barack Obama, aveva intrapreso una traiettoria di contrapposizione con gli alleati della Nato che aveva definito “free-riders“, degli “scrocconi” che usufruiscono delle spese del Pentagono e godono dei benefici che gli americani possono garantire in termini di sicurezza.

Siamo di fronte a una prospettiva assai controversa. Invece di protestare perché gli Usa chiedono un aumento delle spese militari per contribuire all’Alleanza, secondo Trump dovremmo ringraziare Washington per averci portato in casa le guerre più devastanti di questo inizio millennio, a partire dall’Iraq nel 2003, per proseguire con la Siria e la Libia nel 2011, dove per la verità hanno cominciato i francesi e fu poi la Nato a prendersi carico dei raid contro il Colonnello Gheddafi.

Chissà se queste cose le hanno dette agli americani i nostri due eroi del presente, Di Maio e Salvini, ospiti qualche giorno fa al party dell’ambasciatore americano a Villa Taverna. C’è da dubitarne.

Non è vero come dice Trump che non contribuiamo abbastanza. L’Italia di Berlusconi, su spinta decisiva del presidente Napolitano, nel 2011 si accodò ai bombardamenti contro il suo maggiore alleato nel Mediterraneo che aveva ricevuto a Roma in pompa magna soltanto sei mesi prima. Non si era vista una simile giravolta dalla seconda guerra mondiale. L’aviazione italiana allora fece centinaia di missioni in base al ricatto che i terminali dell’Eni di Mellitah erano stati inseriti tra i bersagli della Nato da colpire.

Gli italiani sono così fedeli alla Nato da arrivare al suicidio: durante la guerra del Kosovo bombardammo anche la fabbrica Fiat della Zastava di Kragujevac. Ho ancora il video autoprodotto dagli operai serbi. Sono cose spiacevoli da ricordare ma gli Usa, la Nato, i francesi e gli inglesi dovrebbero contribuire a rifondere i danni che ci sono stati fatti e chi siamo fatti, compresa l’attuale deriva del governo nazional-populista.

In realtà a noi la Nato serve soltanto come una sorta di licenza per esportare le armi della Finmeccanica e mantenere un po’ di ricerca tecnologica e posti di lavoro. Ma forse serve ancora di più alla Francia di Macron che è il secondo esportatore di armi al mondo dopo gli Stati Uniti: anzi Macron, pur avendo silurato l’ambasciatore a Budapest, ritenuto troppo filo-ungherese, è più furbo di Salvini perché di recente è riuscito a vendere armi persino a Viktor Orbàn che il presidente francese in pubblico critica aspramente sulla questione dei migranti. Sarebbe equo quindi che i francesi contribuiscano più noi alla Nato, insieme alla Germania, duramente ammonita da Trump perché ha il braccino corto.

Trump ha sparato due tweet contro gli alleati europei contestando lo scarso impegno nella spesa militare e il surplus commerciale sofferto dagli Stati Uniti con l’Ue. Un attacco diretto alla Germania, accusata di raggiungere solo l’uno per cento del Pil in investimenti militari contro il 4% americano; poi Trump ha lamentato il peso dell’alleanza sugli Usa, che “pagano per il 90% della Nato” e soffrono sul commercio.

Mescolare commercio e sicurezza è un metodo che Trump ha già usato con Corea del Sud e Giappone. E ora lo impiega con i vassalli europei. Sembra proprio che il presidente americano abbia come linea guida della sua politica estera una sofisticata battuta di Guido Nicheli, il “cumenda” lombardo reso celebre dai film di Vanzina e del compianto Carlo: “Lavoro, guadagno, pago e pretendo”. Mai prendere sottogamba la commedia all’italiana.

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Adriana Cerretelli: La Nato rischia lo scisma d’Occidente (Il Sole 24 Ore dell’11 luglio)

«Avrò incontri alla Nato, in Gran Bretagna in pieno subbuglio e con Vladimir Putin. Francamente Putin potrebbe rivelarsi il mio interlocutore più facile. Chi l’avrebbe mai pensato?» .

Forse Donald Trump è ormai diventato prevedibile nella sua imprevedibilità o forse il mondo ha imparato a conviverci. Però quella frase che il presidente degli Stati Uniti ha lanciato ieri in partenza da Washington riflette con estrema crudezza l’approccio mentale con cui guarda al Vecchio continente e di qui al sistema di sicurezza transatlantica.

«Obsoleta», così aveva liquidato la Nato ai suoi esordi alla Casa Bianca. Oggi nella sua lente rovesciata l’arci-nemico di ieri, la Russia di Putin, appare un semplice concorrente con cui potrebbe essere più piacevole intrattenersi che con gli arci-amici di ieri: gli alleati europei, e addirittura il Regno Unito, il Paese preferito da sempre, il più alleato di tutti gli altri.

«Penso che andare d’accordo con la Russia, la Cina e altri sia una cosa buona, non cattiva». Dalla crisi di Suez negli anni ’50 alla lacerazione sull’Iraq nel 2003 la Nato altre volte ha sfiorato il baratro senza lasciare sul campo coesione e unità: mondo allora quasi immobile, crisi sempre sotto controllo.

Oggi quasi tutto è fuori controllo ma il primo a esserlo è il presidente Usa e la sua dottrina dell’America First che scuote le fondamenta dell’ordine globale e multilaterale. Ma incrocia sulla sua strada un’Europa immatura, velleitaria, nazionalista, ridottasi da sola ai suoi minimi termini ma senza perdere prosopea né presunzione. Incapace di cogliere il nuovo spirito dei tempi e di adeguarvisi in fretta.

A torto o a ragione, Trump si intende con i forti e non ha intenzione di continuare a fare il tutore della sicurezza altrui a spese dei propri contribuenti. L’aveva chiarito anche prima di essere eletto ma pochi ci credevano. A quanto pare intende mantenere la parola, accanendosi sull’Europa, che invece rifiuta il bagno nella nuova realtà. Anche se ha già visto saltare l’adesione Usa all’accordo sul clima e all’intesa sull’Iran, consumarsi il clamoroso strappo dentro il G-7 e sta vivendo i primi contraccolpi di una guerra commerciale che potrebbe allargarsi ancora, travolgendo alla fine la tenuta stessa del Wto.

Scoppierà tra oggi e domani, lo scisma d’Occidente con spallata finale anche all’unità dell’Alleanza Atlantica?

Nel suo quartier generale di Bruxelles la diplomazia, anche americana, ha fatto l’impossibile per smussare angoli, limare divergenze, moltiplicare segnali rassicuranti in tutte le direzioni, insomma scrivere un comunicato finale conciliante, che risparmi lacerazioni o sorprese.

Però le tensioni sono nell’aria. E forti. Erano palpabili ieri quando, commentando la firma della dichiarazione comune Ue-Nato sul rafforzamento della cooperazione reciproca, il polacco Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, ha commentato: «Cara America, cerca di apprezzare i suoi alleati, visto che dopo tutto non ne hai davvero molti». Decisamente, un benvenuto poco soave.

La verità è che Trump rinnega la diplomazia multilaterale e le categorie mentali che l’hanno mossa nel dopoguerra: in questo senso pone un problema di rinnovamento strutturale e culturale dell’ordine mondiale che l’Europa fa fatica a cogliere prima ancora che ad accettare.

Per esempio, il legame che Trump stabilisce tra il contributo Usa, oggi straripante, alla sicurezza collettiva dell’Occidente e una maggiore equità nella dinamica degli scambi commerciali è puro anatema per gli alleati europei che ritengono sacrilego appiattire le due variabili su una semplice questione di vil denaro, depurandola dei valori comuni da difendere.

Per esempio, quando invita brutalmente l’Europa ad aumentare, come da impegni assunti nel 2014, le sue spese militari al 2% del Pil (oggi la media è dell’1,5%, con i francesi al 2,1 e i tedeschi all’1,24), quando minaccia di ritirare dalla Germania i 35mila soldati Usa che vi stazionano e al tempo stesso lancia ambigue avance alla Russia di Putin nonostante restino sempre clamorosamente aperti i contenziosi su Crimea e Ucraina che agitano sonni e sicurezza in molte cancellerie europee, Trump sembra giocare a rosolare le ansie degli alleati. Ma lo fa in un clima di totale confusione, visto che poi sono gli americani, regolarmente frenati dagli europei e finora con successo, a spingere per allargare la Nato ai Paesi del Caucaso e dei Balcani (il vertice presenterà alla Macedonia l’invito ad aderire) suscitando le ire furibonde di Mosca.

Con la sua rivoluzione ancora informe dell’ordine globale, il ciclone Trump sorprende l’Europa in uno dei suoi momenti peggiori: anche tralasciando il caos Brexit, ma a fatica visto che i britannici restano una componente essenziale della difesa europea, la Germania di Angela Merkel che sopravvive di crisi in crisi è ormai un’anatra zoppa, la Francia ostenta il blasone appannato del fu Emmanuel Macron di grandi speranze (era solo un anno fa), l’Italia è costretta a prendere le misure del primo governo populista della sua storia, per citarne solo i protagonisti della partita.

E mentre l’involuzione nazionalista blocca l’auto-riforma dell’Eurozona e dell’Unione bancaria, rallenta i primi passi verso una credibile euro-difesa ma in compenso alimenta e aggrava l’emergenza migratoria, Cina e Russia fanno a gara a conquistarsi peso e influenza intorno e dentro l’orto di casa europeo, cominciando dai Balcani.

Estrema vulnerabilità politica interna, crescente insicurezza esterna e intorno all’Unione: non è un biglietto da visita brillante con cui presentarsi a un vertice Nato che si annuncia molto difficile. Forse alla fine si salverà l’unità di facciata. Forse. Ma l’apparenza della concordia euro-americana non fermerà gli smottamenti tettonici in corso.

Se almeno le sfuriate di Trump servissero a catapultare l’Europa nell’età adulta… Non è vietato sperare ma i segnali incoraggianti sono fievoli e pochi.

 

 

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