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Paesi baltici: ancora “fioretti europeisti” dalla Lituania

In forma più velata, senza i clamori (a esser sinceri, anche questi, molto attutiti, quando non addirittura coperti da strette di mano di parlamentari europei) degli esagitati nazionalisti e violenti neonazisti ucraini, anche in altre aree ex sovietiche si segue da tempo la strada della “criminalizzazione” di tutto ciò che ricordi il passato. Anzi: con molta più esperienza dei golpisti di Kiev che, in fondo, hanno le redini del comando da “appena” quattro anni – pure se non erano stati certo con le mani in mano durante tutto il periodo della “indipendenza”, dal 1991 al 2014 – le Repubbliche baltiche possono vantare quasi trent’anni di ininterrotta marcia a destra, consolidata da un crescendo di eroicizzazione dei “padri spirituali per l’indipendenza” che, in uniforme nazista, combatterono sin dagli anni ’40 “contro il bolscevismo”.

In fondo, nelle sfilate e nelle fiaccolate notturne di Kiev, a illuminare i ritratti di Stepan Bandera ci sono soprattutto i giovani virgulti coi tatuaggi di croce uncinata, dente di lupo, o il tridente nazionalista scolpito sulle zucche rapate a zero, bramosi di rinverdire le gesta dei loro antenati di OUN-UPA: non certo al fronte contro le milizie del Donbass, che saprebbero bene come dar loro il benservito, ma contro piccoli gruppi di pensionati rei di portare il nastro di San Giorgio della vittoria sul nazismo, o in trenta contro uno sventurato clochard, o in cinquanta contro donne e bambini di campi rom.

No: su, un po’ più a nord, dove spira la corroborante brezza del Baltico, alle sfilate “dell’orgoglio nazionale” possono ben mettere in mostra uniformi, decorazioni, stendardi, portati in parata da autentici veterani delle Waffen SS, tuttora in vita e in quantità discretamente significativa. Chissà se il clima, o il diverso tenore di vita, rispetto alle pianure del Dnepr, ormai ridotte alla fame dalla junta golpista di Kiev, ha assicurato ai veterani “komplizen” una longevità maggiore rispetto ai banderisti dell’Ucraina occidentale.

Come che sia, anche lassù “si fa sul serio”. E, come sempre, all’avanguardia è la Lituania, paese in cui sempre sembra che sia soffiato più forte il vento delle parate di Norimberga; in cui si è seguito l’esempio che veniva dalla Sprea soprattutto con gli ebrei; lì dove più attecchivano quei “dissidenti” cui le varie Radio Free Europe o Golos Ameriki tanto baccano dedicavano negli anni della guerra fredda; in cui solo 110.000 dei 670.000 emigrati tra il 1990 e il 2011 (fonte voxeurop.eu) sono rientrati in patria.

Dunque, dato che l’attività del Partito comunista lituano è vietata dal 1992, ma non è stata ancora adottata la relativa legge, ora qualcuno ha deciso che sia giunto il momento di “metter ordine”. Il partito “Unione della Patria – Cristiani democratici di Lituania” ha messo a punto un progetto di legge per qualificare il Partito comunista lituano “organizzazione criminale”. Un anno fa, il Parlamento aveva adottato una risoluzione “Sulla valutazione dell’attività criminale del PCL”; poi, nel febbraio scorso, era venuta la proposta di preparare un vero e proprio disegno di legg.

Ma solo oggi, dopo mesi di “meritorio” lavoro, il progetto dev’essere presentato in parlamento e, secondo la formulazione completa, dovrà attribuire al PCL lo status di “organizzazione criminale, che nel 1940-1941 e nel 1944-1990 ha favorito l’URSS nell’occupazione della Lituania”. Si intende così dire che nei “floridi” anni tra il 1941 e il 1944, la “benevola” presenza delle forze naziste abbia rappresentato un periodo di rara, splendente, libertà per il paese: libertà dalla presenza di comunisti, ebrei, zingari, individui “affetti da disturbi psichici”, “vagabondi”…

L’Unione della Patria specifica anche che “il PCL porta la responsabilità per le decisioni governative nel periodo della occupazione sovietica. Dal momento dell’indipendenza questa attività criminale non era stata ancora analizzata nel modo dovuto”. Dunque, sia lode al signore e merito ai cristiani-democratici che si sono assunti l’onere di tale “analisi”.

Per la cronaca, già nel giugno 2016 alcuni deputati avevano tentato di far approvare qualcosa del genere; ma non si era andati avanti, anche perché, allora, il Partito social-democratico, considerato erede del PCL, aveva forti posizioni al Sejm e molti suoi parlamentari avevano occupato posti di rilievo in epoca sovietica. A quanto pare, oggi, nonostante la stessa Presidente lituana, Dalja Gribauskajte, sia stata a suo tempo un membro di alto livello del PCUS (alcune voci la danno quale ex agente o “fiduciaria” del KGB, assieme a circa 120.000 altri lituani, compresi i 1.589 tra Presidenti o ex Presidenti, membri o ex membri del governo e del parlamento che, secondo l’elenco pubblicato lo scorso febbraio dalla rivista “Respublika”, avrebbero ammesso la cosa), si ritiene che le condizioni consentano di avviare un tentativo di successo. E che successo, nell’Europa delle “libertà” e dei “diritti civili”!

D’altronde, osserva Sputnik-litva, i conservatori, autori del disegno di legge, sono noti per le proprie posizioni “liberal”: proposte per la legalizzazione dell’abbattimento dei monumenti ai caduti sovietici, per vietare il nastro di San Giorgio, per allertare gli studenti degli istituti superiori contro “l’aggressione russa” e anche per qualificare la app “Jandex.Taxi” (la forma più largamente usata oggi in Russia per utilizzare i servizi taxi) in Lituania quale “minaccia alla sicurezza nazionale”.

Una sicurezza che, evidentemente, si ritiene meglio assicurata da uniformi grigioverdi e nere, “Eisernes Kreuz” e “Totenkopf”.

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