“Damasco è pronta a lanciare un’importante operazione militare per riprendersi la provincia di Idlib e le aree vicino a Latakia” ha affermato ieri Bashar Al Assad durante un incontro con la stampa.
Di fatto, dopo la campagna per la liberazione del Ghouta, di Deraa e di Quneitra, l’esercito siriano si sta già posizionando “per lanciare una nuova e fondamentale offensiva nel nord-ovest della Siria” come dichiarato da una fonte militare al sito Al Masdar News. Sempre secondo la stessa fonte, le forze d’élite “Tigri”, la guardia repubblicana e la 4a divisione motorizzata saranno pronte, in pochi giorni, a combattere per mettere in sicurezza tutta l’area fino al confine con la Turchia.
Un’offensiva considerata fondamentale e forse tra le più difficili, visto che nell’area ci sono molti miliziani jihadisti, prevalentemente appartenenti ad al Nusra (Hayat Tahrir Al Sham), che nel corso delle precedenti offensive si sono “arresi” e si sono recati in quella regione, individuata come “area di de-escalation”, durante gli accordi di Astana e le precedenti offensive di Damasco.
Ad oggi, in effetti, delle 4 aree di de-escalation individuate lo scorso anno, quella di Deraa e del Ghouta sono state liberate e restano quelle di Idlib e di Homs.
L’ostacolo maggiore sarà, secondo le fonti siriane, l’esercito turco che ha invaso la regione di Afrin, ha istallato numerosi punti di osservazione – fino ad 80 km all’interno del territorio siriano – e si è posto come protettore di quelle milizie jihadiste, ad esempio Ahrar al Sham o l’ELS (Esercito Siriano Libero), sostenute e finanziate da Ankara.
La scorsa settimana, infatti, il governo turco ha annunciato la decisione di voler aumentare il proprio sforzo bellico nell’area di confine settentrionale, con l’intenzione di supportare, militarmente e logisticamente, le milizie a lei legate. Una dichiarazione che mostra le preoccupazioni da parte di Ankara, relative sia all’imminente avanzata dell’esercito lealista verso Idlib, sia riguardo ai recenti colloqui tra Damasco ed i curdi sul futuro assetto di una Siria confederale. Accordi che, secondo Damasco, porterebbero ad una zona autonoma nel Rojava in cambio della restituzione dei pozzi e delle risorse petrolifere al governo centrale.
Da parte sua Ankara ha proposto alla Russia, insieme all’Iran parte integrante del processo di pacificazione intrapreso ad Astana, la creazione di un’ulteriore zona di “pacificazione” nell’area di Latakia, Hama e Idlib. Oltre a ciò il governo turco punterebbe al disarmo di tutti i gruppi jihadisti ed alla creazione di un’unica formazione, denominata “Esercito Nazionale”, che dovrebbe assumere una connotazione politica e dovrebbe poi partecipare ai prossimi incontri per la pacificazione del paese.
La risposta di Mosca è stata, attraverso un comunicato del ministero della Difesa, negativa. I comandi russi favorirebbero un’avanzata siriana ad Idlib e Latakia perché vorrebbero uno “smantellamento definitivo” di tutte le formazioni jihadiste per la sicurezza delle basi russe in tutta quell’area. Volontà, quella di Mosca, legata ai continui attacchi, anche con droni, contro postazioni ed obiettivi russi da parte delle milizie ribelli.
Secondo la televisione libanese Al Mayadeen il comunicato del ministero della difesa russo sarebbe il semaforo verde a Damasco per una vasta offensiva militare congiunta, con il sostegno aereo di Mosca, per liberare l’intera provincia di Idlib.
Sempre riguardo alla presenza di truppe straniere in Siria, l’ambasciatore russo in Israele, Anatoly Viktorov, ha ribadito la propria contrarietà alla richiesta di Tel Aviv di un ritiro iraniano dal paese. “Gli iraniani, come Hezbollah, hanno un ruolo importante nella nostra lotta congiunta contro i terroristi jihadisti in Siria” – ha affermato ieri sul canale israeliano Channel 10 – “visto che la presenza di Teheran in Siria è totalmente legittima secondo i principi dell’Onu, al contrario di quella turca o americana nel paese”.
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