Cuba, ormai orfana dei Castro, prosegue nella sua strada di autonomia dall’influenza americana e continua tuttora imperterrita nella scelta di rifuggire da un modello economico capitalista.
I suoi detrattori politici spesso nel formulare critiche e accuse si concentrano sulla situazione economica, omettendo di citare però alcuni aspetti salienti come le sanzioni di lungo corso inflitte dal governo statunitense, i tentavi di destabilizzazione militare ed economica o le campagne di boicottaggio.
Non di rado poi nei dibattiti in tv vengono condotti paragoni improbabili con paesi dall’appartenenza geografica, dal retaggio storico, culturale ed economico, completamente diverso. Per fare un’ esempio occorrerebbe chiedersi quale sarebbe l’utilità di un’analisi condotta confrontando l’economia cubana con quella svizzera senza soffermarsi sulle sue specificità, al solo fine di far emergere un divario impietoso; le ponderazioni se proprio vanno fatte dovrebbero basarsi su comparazioni con paesi affini per contesto territoriale, culturale e radici storiche. Ad esempio, di rado Cuba viene messa a confronto con gli altri paesi caraibici e dell’America centromeridionale che, spesso, pur avendo intrapreso strade politiche opposte, versano in stati di povertà assoluta e non godono dei diritti sanitari, del sostegno alimentare e dell’istruzione che invece il governo cubano assicura al suo popolo.
Sicuramente però l’omissione più grave e tendenziosa, dicevamo, è quella di soffermarsi sulle carenze strutturali di Cuba tacendo sull’embargo che ormai da quasi sessanta anni rappresenta un cappio al collo al commercio e alle finanze del paese.
L’embargo in questione probabilmente è il sistema di sanzioni unilaterali più ingiuste, severe e prolungate che sia mai stato applicato contro uno stato sovrano.
L’ingiustizia di tali misure appare tanto più assurda e incomprensibile, se si pensa che perfino regimi teocratici come l’Arabia Saudita e le altre petromonarchie del Golfo, in cui i basilari diritti civili vengono sistematicamente violati, sono invece fidati partner commerciali degli americani, che non disdegnano neanche di vendere loro armi, utilizzate non di rado per operazioni militari contro popolazioni inermi.
Ritornando a Cuba, dal mese di aprile 2017 la politica di blocco si è intensificata. Dopo la svolta che sembrava avere impresso Obama, il governo degli Stati Uniti ha imposto una grave battuta d’arresto alle relazioni bilaterali tra i due paesi. Emblematica la firma del presidente Donald Trump al “Memorandum di sicurezza nazionale presidenziale sul rafforzamento della politica degli Stati Uniti verso Cuba”, il 16 Giugno 2017, che ha approvato tra i suoi obiettivi l’irrigidimento del blocco contro l’isola.
Le misure applicate hanno ulteriormente limitato i diritti dei cittadini americani che intendono recarsi in territorio cubano e impongono ulteriori ostacoli alle già limitate opportunità del settore imprenditoriale degli Stati Uniti a Cuba; è stata stilata infatti una lista di 179 “figure” cubane (ricomprendenti istituzioni pubbliche, soggetti privati e personalità giuridiche ) con le quali è proibito ai cittadini americani intraprendere transazioni.
Le nuove sanzioni contro Cuba hanno causato una diminuzione sensibile negli ingressi dagli Stati Uniti e hanno generato ulteriori ostacoli alle relazioni economiche e commerciali di compagnie cubane con potenziali partner statunitensi e paesi terzi. Queste misure non indeboliscono solo l’economia pubblica cubana, ma anche il settore economico non statale del paese. Il rafforzamento dell’applicazione extraterritoriale del blocco è stato un’ altra delle manifestazioni distintive dell’ inasprimento di questa politica, con un marcato impatto sui rapporti finanziari e creditizi internazionali di Cuba.
L’embargo dunque colpisce anche il settore finanziario e bancario, compromettendo seriamente la possibilità di ricorso al credito. Ciò causa gravi danni all’economia del paese, in particolare, alle attività commerciali delle aziende, alle banche nazionali nei loro legami con il settore bancario Internazionale. La riproposizione del blocco contro Cuba è stata accompagnata da una retorica aggressiva, minacciosa fatta di proclami irrispettosi e altisonanti, da parte delle più alte sfere di governo degli Stati Uniti: è palese che tutto ciò non abbia che potuto generare maggiore sfiducia e incertezza tra le istituzioni finanziarie, le aziende e i fornitori americani, preoccupati di finire per essere penalizzati a causa delle loro relazioni con Cuba.
L’embargo, in definitiva, è il principale ostacolo allo sviluppo di tutte le potenzialità dell’economia cubana. Rappresenta per l’isola sia un freno all’attuazione dei propri piani di sviluppo nazionale economico e sociale, che dei suoi obiettivi di sviluppo sostenibile. È il principale ostacolo allo sviluppo di relazioni economiche, commerciali e finanziarie di Cuba con gli Stati Uniti e, a causa della sua natura extraterritoriale, con il resto del mondo. Come si evince dal rapporto pubblicato lo scorso 24 agosto sul sito del Ministro degli Esteri di Cuba, che evidenzia i danni economici causati dell’embargo nei suoi quasi sei decenni di l’applicazione, questi possono quantificarsi in oltre 933 milioni di dollari, tenendo conto del deprezzamento del dollaro rispetto al valore dell’oro nel mercato internazionale. “ A prezzi correnti, il blocco ha causato danni quantificabili per oltre 134 milioni di dollari” .
Nel solo periodo oggetto d’indagine della relazione, che va dall’aprile 2017 al mese di marzo 2018, “l’embargo ha causato perdite per quasi 4.321.200 dollari”.
Le sanzioni economiche dunque penalizzano fortemente l’accesso al credito delle aziende cubane, compromettono il rinnovamento tecnologico e lo sviluppo industriale e finanziario; costituiscono un forte deterrente al commercio estero in particolare per le esportazioni dei prodotti agricoli quali tabacco, frutta, zucchero, caffè e miele.
Nella relazioni pubblicata si menziona come per Cuba, “questa politica statunitense costituisca una violazione massiccia e sistematica dei diritti umani contro il suo popolo e si qualifichi come atto di genocidio, in base alla Convenzione per la Prevenzione e Sanzione del crimine di Genocidio del 1948. Si afferma che la stessa costituisca una violazione della Carta delle Nazioni Unite e del Diritto Internazionale nonché un palese un ostacolo alla cooperazione internazionale”.
Il 31 ottobre prossimo l’Assemblea Generale dell’ONU voterà per il ventisettesimo anno consecutivo un progetto di risoluzione che chiede la sospensione del blocco statunitense contro Cuba. Dal 1992, l’iniziativa ha avuto il sostegno maggioritario nel principale organo decisionale delle Nazioni Unite.
Nelle ultime tre occasioni, su 193 stati membri ben 191 stati si sono schierati con Cuba all’atto della votazione. Nel 2017 si è registrato solo il voto contrario degli Stati Uniti e quello di Israele, suo fedele partner economico-militare.
Viste le attuali premesse però sembrano remote le possibilità di capovolgimenti nelle intenzioni americane e con molta probabilità in sede Onu si confermeranno gli indirizzi di voto dell’anno passato. Occorre inoltre ricordare che la risoluzione è tuttavia una misura “di fatto” non vincolante che già in passato non ha avuto alcun impatto sugli Stati Uniti.
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