L’aveva già segnalato l’Istat, poche settimane fa. Ma la conferma che arriva dal rapporto Osservasalute – presentato oggi – è in qualche misura ancora più agghiacciante, perché meno “asettico” e mirato essenzialmente ai problemi generati dalla gestion del sistema sanitario: per la prima volta nella storia d’Italia l’aspettativa di vita degli italiani è in calo.
Nel 2015 la speranza di vita per gli uomini è stata 80,1 anni, 84,7 anni per le donne, spiega Walter Ricciardi, direttore dell’osservatorio sulla Salute delle Regioni. Nel 2014, la speranza di vita alla nascita era maggiore e pari a 80,3 anni per gli uomini e 85,0 anni per le donne. L’andamento ha riguardato tutte le regioni, e dunque non dipende dall’efficienza minore o maggiore delle strutture sanitarie.
È abbastanza scontato che il record positivo sia registrato in una delle province a più alto reddito (Trento, dove si riscontra, sia per gli uomini sia per le donne, la maggiore longevità: rispettivamente, 81,3 anni e 86,1 anni), mentre quello negativo riguardi la Campania (78,5 anni per gli uomini e 83,3 anni per le donne).
Per quanto riguarda le cause di morte, dai dati del 2012, quelle più frequenti sono le malattie ischemiche del cuore, responsabili da sole di 75.098 morti (poco più del 12% del totale dei decessi). Seguono le malattie cerebrovascolari (61.255 morti, pari a quasi il 10% del totale) e le altre malattie del cuore non di origine ischemica (48.384 morti, pari a circa l’8% del totale).
“Il calo è generalizzato per tutte le regioni – ha spiegato Ricciardi -. Normalmente un anno ogni quattro anni, è un segnale d’allarme, anche se dovremo aspettare l’anno prossimo per vedere se è un trend. Siamo il fanalino di coda nella prevenzione nel mondo, e questo ha un peso”.
Il rapporto boccia l’Italia in prevenzione, con una spesa per la salute in fondo alla classifica europea e che continua a scendere: “Anche quest’anno le analisi contenute nel Rapporto Osservasalute segnalano numerosi elementi di criticità, in quanto confermano il trend in diminuzione delle risorse pubbliche a disposizione per la sanità, le esigue risorse destinate alla prevenzione e le persistenti iniquità”.
La spesa sanitaria pubblica è in effetti passata dai 112,5 miliardi di euro del 2010 ai 110,5 del 2014, e la contrazione ha coinciso con una lenta ma costante riduzione dei deficit regionali, conseguita però in gran parte tramite il blocco o la riduzione del personale sanitario e il contenimento dei consumi, misure che, sottolineao gli esperti, difficilmente potranno funzionare ancora nel futuro, visto che quasi ovunqeu si stanno ampiamente sorpassando i limiti dell’operatività “normale”.
Il rapporto indica nella carenza di prevenzione la responsabilità primaria della diminuita speranza di vita. L’investimento in prevenzione è molto scarso, solo il 4,1% della spesa sanitaria totale. Nel 2014, la spesa sanitaria pubblica pro capite in Italia è di 1.817 euro, del tutto in linea con il valore dell’anno precedente che pone l’Italia tra i Paesi che spendono meno.
Meno prevenzione significa meno controlli, un numero inferiore di analisi di vario tipo (con straordinario tempismo, a fine 2015, il governo ha varato un elenco di 205 prestazioni sanitarie che i medici di base dovrebbero considerare “inappropriate” (si va dalle anaisi per colesterolo e trigliceridi ad altre indispensabili per chiarire – preventivamente – lo stato di salute generale e l’insorgere di problemi anche gravi, che non si possono poi risolvere in sede di crisi acuta) e che quindi ogni cittadino dovrebbe pagarsi integramente per proprio conto. Come se il servizio sanitario nazionale fosse stato abolito.
Il programma “dovete morire prima” segna dunque un altro straordinario “successo”. Ma c’è anche un risvolto che igoverni della Troika potrebbero considerare “negativo”, dal loro punto di vista. Se l’aspettativa di vita cala, tutto il discorso fatto sull’allungamento dell’età pensionabile (“agganciata” in automatico alla prima) rischia di saltare in aria. Con buona pace delle Fornero, dei Poletti e dei Boeri…
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