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Mar d’Azov: provocazione ucraina, anche a fini interni

Dunque, per ora, la provocazione navale ucraina nel mar d’Azov sembra rientrata, anche se i tre battelli “Berdjansk”, “Nikopol” e “Jany Kapu”, che domenica mattina hanno violato le acque territoriale russe, sono tuttora trattenuti a Kerč, insieme ai 23 uomini d’equipaggio. Secondo il consigliere presidenziale ucraino Jurij Birjukov, le unità di Kiev avrebbero aperto il fuoco, cui hanno risposto le motovedette russe. Tre marinai ucraini feriti leggermente sarebbero stati ricoverati all’ospedale di Kerč.

La tensione nel bacino chiuso di Azov sta salendo da tempo, con reciproci sequestri di pescherecci e naviglio mercantile, ma quella di ieri è stata la prima vera provocazione armata con l’intervento di piccole unità militari. Al momento, la conseguenza meno improbabile, sarebbe l’introduzione della legge marziale in Ucraina, proposta dal segretario del Consiglio di sicurezza, Aleksandr Turčinov nel corso della seduta del “gabinetto di guerra” della notte scorsa,

Secondo la Russia, le unità ucraine avrebbe violato i punti 19 e 21 della Convenzione ONU per il diritto marittimo, tanto che Mosca ha chiesto la convocazione straordinaria del Consiglio di sicurezza ONU per questo pomeriggio. RIA Novosti scrive infatti che i battelli ucraino sono stati intercettati e fermati alle coordinate di 44 gradi nord e 23 gradi est, cioè a circa 20 chilometri dalla costa russa e 50 km a sudovest del normale transito attraverso lo stretto di Kerč.

La marina russa ha trattenuto le unità ucraine che, non riconoscendo lo status della Crimea e delle acque circostanti, non avevano risposto all’intimazione russa di invertire la rotta. Mosca ha poi bloccato l’accesso al mar d’Azov anche ai vascelli non militari, ancorando una grossa unità mercantile sotto l’arcata centrale del ponte sullo stretto di Kerč.

Appena la scorsa settimana l’ex vice Capo di stato maggiore ucraino Igor Romanenko aveva parlato della probabilità di una “guerra di grossa portata” tra Russia e Ucraina in caso di chiusura del mar d’Azov alle navi di Kiev. I clan oligarchici ucraini (e anche russi) detengono non pochi interessi nell’area e già nei mesi scorsi il Ministro degli esteri golpista Pavel Klimkin aveva annunciato la prossima denuncia da parte di Kiev del trattato sul mar d’Azov, in base al quale tale bacino e lo stretto di Kerč sono considerati acque interne di due paesi, con conseguente libero accesso del naviglio di Russia e Ucraina. Poi però, la primavera scorsa, Kiev aveva sequestrato l’unità da pesca russa “Nord” e la petroliera “Pogodin” e da allora la guardia costiera russa controlla tutte le unità ucraine, con tale meticolosità che portano via anche diversi giorni.

Anche se è difficile immaginare qualche passo – qualunque passo – della junta nazigolpista di Kiev, intrapreso senza ordine d’oltreoceano; e pure se negli ultimi tempi Washington e Bruxelles hanno fatto di tutto per spingere il alto la tensione nell’area, pare che per il momento, mentre si attendono reazioni ufficiali della Casa Bianca, la NATO non abbia particolare fretta di intervenire e consiglia anzi a Kiev di non inasprire la situazione.

Mentre USA, Gran Bretagna e anche Danimarca assegnano all’Ucraina (rimasta praticamente all’asciutto di propri mezzi navali) proprie vecchie unità in disarmo, Mosca ribadisce che non permetterà di trasformare il mar d’Azov, il cui accesso è praticamente sbarrato dalle penisole di Taman e di Kerč, in un’ulteriore zona di tensione. In risposta, NATO e UE insistono nell’ordinare alla Russia di cessare le “ispezioni eccessive” delle navi ucraine.

E’ così che, da tempo, il mar Nero e specificamente il porto di Odessa sono diventati teatro di presenza pressoché permanente di squadre navali USA e britanniche, tanto che il Ministro della difesa di Londra, Gavin Williamson, lo scorso 21 novembre, ha annunciato la realizzazione entro il 2019 di una propria base navale a Odessa, che ospiterà vascelli e fanteria di marina.

Kiev ha annunciato l’intenzione di costruire a Berdjansk una base militare per motovedette corazzate. Nelle scorse settimane, tirando un po’ il freno, Kiev aveva rinunciato alle previste manovre navali con la NATO nello stesso bacino d’Azov; ma la solita Federica Mogherini aveva comunque minacciato “concrete misure” della UE, ovviamente contro Mosca e a sostegno delle regioni ucraine interessate alla questione del bacino. In risposta, Mosca sta accelerando il concentramento nell’area di naviglio costiero, motovedette e corvette, sottratte alle flotte del Baltico, del Caspio e, con navigazione interna, anche dal lago d’Aral.

Stamani la situazione non è perfettamente chiara, dato che Porošenko continua a richiedere a Mosca il rilascio delle tre unità ucraine scortate al porto di Kerč, ma RIA Novosti scriveva già ieri che i tre battelli avevano fatto rientro alla base di Berdjansk.

Il senatore russo Aleksej Puškov si è detto sicuro che l’ordine di sconfinamento sia giunto alle unità ucraine direttamente da Petro Porošenko, in risposta all’incontro Putin-Erdogan della settimana scorsa e la posa del primo tratto subacqueo del “Turkish stream”. Petro cercherebbe inoltre ogni mezzo per tentare di sollevare il proprio rating interno che, quando mancano pochi mesi alle presidenziali previste per la primavera, è crollato al 5%, contro il 21% di Julija Timošenko.

Non a caso, una delle prime conseguenze dell’introduzione della legge marziale proposta dal Consiglio di sicurezza, insieme al rinvio a tempo indeterminato delle elezioni presidenziali, potrebbe essere la messa fuori legge anche di partiti pienamente filo-occidentali quali, per l’appunto, “Patria” della Timošenko, che più direttamente insidia le posizioni di Petro.

Nel corso della seduta notturna del “gabinetto di guerra”, Porošenko avrebbe dichiarato di aver concordato con lo speaker della Rada, il nazista Andrej Parubij, il sostegno del parlamento all’introduzione della legge marziale per 60 giorni su tutto il territorio ucraino e le notizie parlano della possibile adozione del provvedimento già nella giornata di oggi. “La legge marziale non significa che l’Ucraina condurrà azioni offensive; noi difenderemo il nostro territorio. E non significa nemmeno l’inasprimento della contrapposizione nell’est dell’Ucraina” avrebbe dichiarato Porošenko, mentre le artiglierie naziste bombardavano, con una intensità non usuale per gli ultimi tempi, la stessa periferia di Donetsk. Petro ha aggiunto che la legge marziale non significa l’immediata mobilitazione della popolazione, che permetterebbe di portare l’esercito a 1 milione di uomini nel giro di due giorni, ma “solo” la messa in allarme “della leva di prima linea”.

Cosa comporterebbe l’approvazione della legge marziale? Pieni poteri speciali al Presidente; rinvio di ogni elezione; obbligo del lavoro – senza paga anche per studenti e disoccupati – e sua militarizzazione, per le esigenze dell’industria di guerra; coprifuoco generale, a partire dalle aree delle regioni di Donetsk e Lugansk controllate da Kiev; regime speciale di ingresso e uscita dal paese. Inoltre, controlli a tappeto su tutto e tutti, su media e tipografie, più di quanto non stia avvenendo da cinque anni: a questo proposito, nella riunione notturna del “gabinetto di guerra”, Porošenko avrebbe insistito particolarmente nel ricordare a giornalisti e pubblicisti “i doveri” imposti dal momento. Prevedibile anche la proibizione di ogni azione di protesta; sequestro di beni: locali, mezzi di trasporto e generi alimentari, ecc.

Durante la legge marziale, non è possibile sciogliere il parlamento o dichiarare l’impeachment per il Presidente. Non è però detto che alla Rada si raggiunga la maggioranza per il voto sulla legge marziale, dato che non sono pochi gli aspiranti alla successione a Petro, che non desiderano affatto il rinvio delle presidenziali. In caso di voto contrario del parlamento, Petro Porošenko non avrebbe quindi fatto altro che confermare l’assunto del grande Mao a proposito di tutti i reazionari.

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