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Venezuela. Trump non vuole i russi nel cortile di casa. Ma i tempi sono cambiati

Senza troppi giri di parole, la Russia ha respinto la richiesta del Presidente statunitense Donald Trump di “andare via” dal Venezuela, dove Mosca ha nei mesi scorsi inviato alcuni militari. Secondo la Russia la richiesta Usa non dispone di basi legali. A spiegare la posizione di Mosca è stata la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova.

Giovedì ricevendo alla Casa Bianca la moglie del golpista Guaidò, autoproclamatosi presidente del Venezuela ma sanzionato dalle autorità costituzionali di quel paese, Trump aveva tuonato che: “La Russia deve andare via dal Venezuela e ribadiamo al 100% il nostro sostegno a Juan Guaidò”.

La replica di Mosca è stata secca: gli esperti militari russi rimarranno in Venezuela “fino a quando il governo della Repubblica ne avrà bisogno” ha annunciato la Zakharova. “Tutto avviene sulla base di accordi bilaterali”, ha detto ancora la portavoce del ministero degli Esteri. “gli specialisti russi sono arrivati in Venezuela in conformità con le disposizioni dell’accordo intergovernativo bilaterale sulla cooperazione tecnico-militare: nessuno ha abrogato questo documento”.

Del resto l’atterraggio di due aerei militari russi in Venezuela una settimana fa, non è passato inosservato. Anzi il fatto di essere arrivati in pieno giorno all’aeroporto civile di Maiquetía (Caracas), era la dimostrazione di una scelta politica plateale, intesa a mandare un segnale a chi doveva riceverlo, in questo caso gli Stati Uniti. Un segnale simbolico visto che si tratta di soli 99 soldati russi con 35 tonnellate di materiale destinato al Venezuela.

Nel dicembre scorso del resto si erano svolte manovre militari congiunte tra aviazione russa e aviazione venezuelana. “Dobbiamo dire al popolo venezuelano e al mondo intero che, come cooperiamo in diversi campi di sviluppo per i due popoli, noi ci prepariamo anche a difendere il Venezuela”, aveva annunciato il generale Padrino Lopez, ministro venezuelano della Difesa, ricevendo a Caracas una delegazione di piloti e militari russi.

Inoltre il governo bolivariano del Venezuela ha deciso di dispiegare una batteria di missili S-300 di produzione russa nelle vicinanze di Caracas. Secondo l’operatore satellitare israeliano ImageSat International (ISI), la Forza Armata Nazionale Bolivariana del Venezuela (FANB) ha schierato una batteria di missili russi S-300, che sono entrati in servizio nella base aerea di Capitán Manuel Ríos, situato nello stato di Guárico, nel nord del paese, dopo una serie di test effettuati nel febbraio 2019. I sistemi missilistici S-300 in Venezuela rappresentano lo scudo antimissile più avanzato in tutta l’America Latina.

Il dispiegamento di questi sistemi di difesa è indicativo dei preparativi del governo venezuelano presieduto da Nicolás Maduro per rispondere a una possibile invasione militare da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati.

Negli ultimi anni, Venezuela e Russia hanno inoltre avviato numerosi progetti comuni nello sviluppo di giacimenti di petrolio e gas. La compagnia russa Rosneft e la venezuelana Petróleos de Venezuela (Pdvsa) sono impegnate in 5 progetti petroliferi in Venezuela con una produzione di 9 milioni di tonnellate all’anno, pari al 7% della produzione totale del paese.

Infine, sono allo studio progetti per dare vita a sistemi di pagamenti internazionali diversi e sganciati dal dollaro e attraverso criptomonete tarate sulle risorse naturali (oro, petrolio etc.). Una verifica sull’efficacia di questi sistemi passa proprio attraverso l’esperimento politico/economico del Venezuela bolivariano.

Si capisce il crescente nervosismo (ed anche la materializzazione dei peggiori incubi dei neocons statunitensi) degli Usa. Il mondo e i rapporti di forza mondiali gli si stanno modificando sotto gli occhi. Gli equilibri e la mappa del mondo non vengono più decisi solo da Washington. Anzi.

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