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Algeria: “che se ne vadano tutti!”

Il primo [mandato], è passato e c’ha fregato col il decennio nero

Al secondo la storia è divenuta chiara, la Casa del Mouradia

Al terzo il paese è smagrito, per colpa degli interessi personali,

Al quarto, il pupazzo è morto e le trattative sono in corso…

La Casa del Mouradia, canto dei tifosi dell’USMA d’Algeri

Per l’undicesimo venerdì di seguito, dal 22 febbraio di quest’anno, il popolo algerino è sceso in piazza ad Algeri ed in tutte le città del paese.

Dopo le mobilitazioni studentesche del martedì, che hanno scandito insieme a quelle del venerdì l’hirak sin dal suo inizio, e dopo la manifestazioni del Primo Maggio di questo mercoledì, il popolo algerino è tornato a “invadere” strade e piazze in una situazione di impasse politico evidente e di mancata realizzazione delle sue profonde esigenze.

Non sembrano esserci soluzioni tangibili che non siano la fine del sistema che ha governato il paese dal ’99 ad oggi, a cominciare dagli uomini-simbolo dell’era Bouteflika.

La marcia, trasformatasi in presidio per i divieti imposti ad Algeri, chiamata dalla CSA (che raggruppa una dozzina di sindacati autonomi e la manifestazione alla sede centrale della UGTA) per chiedere la dipartita dell’attuale dirigenza di questa centrale sindacale, è stata una dimostrazione importante di come il movimento dei lavoratori sia una delle punte di lancia delle mobilitazioni popolari.

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Un tweet del famoso vignettista algerino Dilem, poco prima di mezzogiorno, mimando le previsioni meteo della giornata, mostra la sagoma del paese africano riempita da una marea umana costellata di bandiere algerine con la presentatrice che dice: “coperto ovunque”

Una previsione pienamente azzeccata.

Le mobilitazioni si sono svolte ad Algeri, Annaba, Tizi Ouzou, Orano, Bouira, Costantine, Bejaia, Djelfa, Bordj Bou Arreridj, Mostaganem, Mila, El Oued, Relizane, Jijel, El Tarf, Chlef, Sidi Bel Abbes, Biskta…

Sono stati scanditi slogan per l’applicazione dell’articolo 7 e 8 della Costituzione – frutto della Rivoluzione Algerina, che attribuisce al popolo la sovranità -, per la fine del sistema e contro le “2B” (Bedoui e Bensalah) e le elezioni organizzate da loro, o come a Bejaia – una delle città dove si è svolta un’importante mobilitazione il Primo Maggio -: “La hiwar, la chiwar”, ovvero “no al dialogo, no alla consultazione”. O come a Costantine: “yetnahaw gaâ”, ovvero “che se ne vadano tutti”. O ancora, sempre nella stessa città: “En 1999, zadmo alin serrakine”, ovvero “nel 1999 siamo stati invasi dai ladri”.

Se queste parole d’ordine sono state sostanzialmente condivise da tutti, un atteggiamento differenziato si è riscontrato nei confronti delle alte cariche dell’esercito, anche se vi è un desiderio comune affinché questa istituzione ricopra il ruolo di garante della transizione senza annichilire la sete di giustizia sociale e di democratizzazione finora espressa.

Bisogna segnalare che il tentativo di promuovere una mobilitazione espressamente in sostegno dell’Esercito è stata un flop, che fa supporre come l’ipotesi di direzione politica di questa importante istituzione – figlia della lotta per l’indipendenza, protagonista della lotta al jihadismo durante il Decennio Nero degli anni Novanta e che svolge un importante ruolo di difesa territoriale – non raccoglie il necessario consenso.

Slogan e canti patriottici, insieme all’unità del popolo algerino e il rapporto di fratellanza che lo cementifica al di là della regione di provenienza, hanno ugualmente caratterizzato le mobilitazioni.

Le elezioni presidenziali dovrebbero svolgersi il 4 luglio e l’operazione di raccolta delle firme per i candidati dovrebbe incominciare a giorni, ma nessuna figura minimamente conosciuta è tra i candidati che fino ad ora si sono proposti: “su 45 candidati alla candidatura, alcun nome conosciuto“, riferisce il giornale algerino on-line, in lingua francese, “TSA”.

Il comandante dell’ANP, le forze armate algerine, nonché “numero due” dell’attuale governo, Gaïd Salah è tornato ad esprimersi questo martedì come di consueto, ribadendo la strada del “dialogo costruttivo con le istituzioni” e deplorando le forze d’opposizione che si stanno ponendo fuori dal processo di consultazione, iniziato con scarso successo dal primo ministro Bedoui – una delle “2B” di cui la piazza chiede a gran voce la partenza.

Da settimane l’esercito si presenta come attore principale della lotta alla corruzione sistemica, che si concretizza nel siluramento di figure “compromesse”, di cui ogni giorno si infoltisce l’elenco, così come del forte sostegno alle inchieste giudiziarie che stanno colpendo una sempre più nutrita schiera di uomini-simbolo del sistema politico ed economico; mentre la narrazione della “lotta alla corruzione” sta caratterizzando il nuovo discorso politico, e la mutata dirigenza delle formazioni politiche che avevano governato nell’Era Bouteflika, come è il caso del FLN (l’ex partito unico), il cui nuovo segretario ha dichiarato che avrebbe chiesto scusa al popolo algerino.

Se la mobilitazione popolare persiste, sarà proprio Bedoui – figura chiave del governo nato da un compromesso evidente tra le alte cariche dell’esercito e il sistema di potere politico-economico – che probabilmente cadrà (insieme ad una parte del governo stesso), accelerando verosimilmente la creazione di una commissione elettorale indipendente.

Finora il tentativo di aprire delle “crepe” all’interno dell’opposizione, saggiando la disponibilità a co-gestire consensualmente di fatto il processo di transizione dentro la cornice prefigurata dal capo di stato maggiore dell’esercito, ha trovato l’approvazione di Ali Benflis e di Abderraz Makri, mentre tre dei quattro partiti dell’Alliance (RND, MPA, TAJ) hanno chiamato al rinvio delle elezioni..

L’estromissione di Bedoui e di parti del governo, unita alla messa in campo di garanzie sufficienti per lo svolgimento di elezioni presidenziali, probabilmente aumenterebbero le chances di cooptazione di altri pezzi dell’opposizione.

La piazza di oggi ha ribadito però di voler continuare le mobilitazioni anche dopo l’inizio del Ramadan, che in Algeria comincia lunedì 6 maggio.

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La mobilitazione iniziata il 22 febbraio contro la possibilità del Quinto Mandato consecutivo dell’ex presidente ottuagenario, da tempo gravemente malato, si è trasformata in altro, anche se le ultime parole della canzone di denuncia de “la casa del Mouradia” – il famoso coro dei supporter dell’USMA di Algeri, provenienti per la maggior parte dai quartieri popolari dalla Casbah e da Bab-el-Oued –  non hanno più ragione d’essere: “quinto mandato seguirà, tra loro hanno concluso l’affare”.

Il quinto mandato non ci sarà e l’establishment algerino deve fare i conti con un affare molto più ostico che non la designazione di un uomo che ne faccia gli interessi: un popolo che vuole riaffermare la sua sovranità, una gioventù che non vuole più emigrare all’estero per necessità (clandestinamente, morendo in mare, oppure studiando all’estero come unica exit strategy esistenziale), un movimento operaio che vuole disfarsi degli “avvoltoi” – siano essi rentier cresciuti all’ombra del governo o campioni del “libero mercato” -, un movimento delle donne che vuole essere parte integrante del processo di trasformazione e di miglioramento della propria condizione, una popolazione che osteggia apertamente i tentativi di ingerenza neo-coloniale da dovunque essa provengano, Francia in primis.

È chiaro che, in un mondo multipolare in continua trasformazione, un popolo che ha già fatto una rivoluzione e si è forgiato – in patria e all’estero – dentro questo processo, ma che deve trovare ancora la sua completa realizzazione, che respinge con forza i tentativi dell’islam politico conservatore di accreditarsi come forza anti-sistemica, fa talmente paura che è meglio ignorare ciò che sta avvenendo sull’altra sponda del Mediterraneo.

Ma il risveglio dei dannati della terra fa paura anche a chi ha inscritto nel proprio codice genetico la sconfitta come unico destino storico e ha perso ogni residuale capacità di cogliere il movimento reale, le sue improvvise accelerazioni storiche e la capacità di configurare orizzonti molto diversi dall’accettazione supina del presente.

È la fine della Storia sì, ma di coloro che hanno affermato che la Storia è finita.

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