Qualche mese fa a margine della presentazione di un suo libro su Lenin fra una chiacchiera e l’altra Emilio Quadrelli ci raccontò che stava lavorando a un testo sulla rivoluzione algerina di cui andava particolarmente orgoglioso. Oggi, dopo aver letto avidamente le oltre 300 pagine del suo libro editato dai tipi de “la casa Usher” possiamo capirne il motivo.
Fin dalla prefazione Quadrelli sgombra il campo da ogni possibile equivoco; il suo non è un libro celebrativo, di quelli buoni da far uscire in occasione delle ricorrenze “a cifra tonda”, tanto per vendere qualche copia in più. E non è nemmeno un lavoro con un taglio “storico”, almeno non nel senso polveroso ed intellettualistico del termine. Anche perché, come spiega l’autore, la pubblicistica su questi temi è già di per sé sterminata e di lavori sull’epopea di Bandung sono piene le biblioteche (anche se un po’ meno le librerie). Ma soprattutto perché l’antimperialismo, la decolonizzazione e le guerre di liberazione attengono inequivocabilmente al campo dell’amicizia e dell’inimicizia di schmittiana memoria, ed hanno dunque ben poco di astratto o accademico. Insieme con il Foucault di Bisogna difendere la società l’autore ci ricorda infatti come la Storia non possa essere lasciata ad esclusivo appannaggio degli addetti ai lavori, degli “storici di professione” o di qualche conventicola di studiosi eruditi aggrappati ad un’ipocrita quanto improbabile “avalutatività”, ma come in realtà questo rappresenti uno dei terreni privilegiati del conflitto politico e quindi della partigianeria.
Un concetto che come collettivo avevamo istintivamente afferrato fin dalla nostra nascita, quando andammo a Reggio Emilia a contestare la presentazione del libro revisionista di Pansa rivendicandoci in tutto e per tutto la nostra storia dietro uno striscione che recitava, inequivocabile: triangolo rosso, nessun rimorso! Comprenderete dunque che non possiamo far altro che convenire con Quadrelli quando ricorda come proprio dalla retorica sulla fine della storia a partire dagli anni ’80 del secolo scorso abbia preso le mosse la controffensiva ideologica neoliberista. Una teoria che nelle mani del nemico si è fatta forza materiale e che ha contribuito in maniera decisiva a quella sconfitta del movimento rivoluzionario di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze. Perché deprivare il proletariato della possibilità anche solo di pensarsi come classe universale, e di conseguenza sancire la fine del tempo storico, ha significato anche celare il carattere storicamente determinato dei rapporti sociali e quindi eternizzare il modo di produzione capitalistico, e con esso il dominio della borghesia.
Questa Weltanschauung poggiava però, oltre che sulla dilatazione del presente, anche sul presunto grado di stabilizzazione raggiunto dal capitalismo e sulla sua capacità di esorcizzare in maniera ormai definitiva la possibilità stessa di una crisi sistemica. La cronaca economica, sociale e politica degli ultimi cinque anni si è presa la briga di dimostrare quanto fallaci ed idealistiche fossero queste ipotesi, aprendo opportunità che fino a pochi anni fa era difficile anche solo immaginare ma consegnandoci al tempo stesso uno scenario globale estremamente mutato e tutto ancora da indagare.
Proprio a partire da queste trasformazioni Quadrelli porta a maturazione (ed in parte a sintesi) alcune delle intuizioni elaborate nei suoi lavori precedenti provando a dimostrare come l’esperienza algerina, ma più in generale la “guerra asimmetrica” di alcuni movimenti anticolonialisti, rappresentino oggigiorno una vera e propria storia del presente a cui guardare con estrema attenzione.
Il testo si compone di cinque capitoli coerentemente incardinati l’uno all’altro. Il primo di questi accompagna il lettore dall’invasione francese dell’Algeria del 1830 fino ai giorni nostri e lo aiuta ad orientarsi nelle lotte e nelle trasformazioni sociali e politiche che hanno caratterizzato questa arcata storica. La seconda parte del testo prova a fare luce, attraverso la riproposizione di documenti e testimonianze, sull’organizzazione del FLN, mentre nel terzo capitolo l’autore analizza il rapporto tra la sinistra francese, complessivamente miope e complice del sistema di dominio coloniale, e il movimento di liberazione algerino. Il capitolo è impreziosito da un saggio di Sartre (Il colonialismo è un sistema) che come pochi altri testi ha la capacità di descrivere in maniera lucida e su basi materialiste il significato intrinsecamente classista e razzista del colonialismo, qualunque esso sia. Facendo così giustizia di ogni tentativo di discernere tra un colonialismo saccheggiatore ed un colonialismo dal volto tutto sommato “umano”, portatore di civiltà, democrazia ed infrastrutture.
I fili rossi dei ragionamenti tessuti da Quadrelli si annodano poi definitivamente negli ultimi due capitoli del testo. L’autore affronta la questione dell’Islam politico interrogandosi sulla presa che questo sembra avere su quote sempre più larghe di proletariato, anche metropolitano. E lo fa tenendo bene a mente l’analisi marxiana dell’alienazione religiosa, quella capace di cogliere nella miseria religiosa non solo l’oppio dei popoli, ma anche il gemito della creatura oppressa. Una questione di stringente attualità per chiunque non abbia abbassato la bandiera dell’antimperialismo, soprattutto alla luce delle insorgenze che hanno dato fuoco alla sponda sud del mediterraneo e al vicino oriente, sommovimenti che vedono pressoché assenti organizzazioni o partiti comunisti in grado di prenderne la testa. E’ un fatto, questo, difficilmente controvertibile. I contributi teorici e politici di Marx, Engels, Lenin, Mao, ma anche quelli del Che o di Fanon per quanto indispensabili sono oggi pressoché sconosciuti a chi materialmente sta mettendo in discussione l’ordine imperialista e che piuttosto che ne Il Capitale cerca risposte nel Corano.
Quella che si pone di fronte al movimento di classe, sembra ammonire Quadrelli, è dunque una necessaria quanto lunga e dura lotta per l’egemonia. Una battaglia delle idee che però non può essere affrontata in maniera sclerotica o dottrinaria, ma che deve saper soprattutto cogliere le ragioni teoriche e pratiche dell’influenza religiosa sulle masse. Nel quarto capitolo viene così data voce ad alcuni militanti antimperialisti legati a doppio filo alla lotta palestinese. Le interviste permettono a chi legge di cogliere un punto di vista sullo spontaneismo islamico completamente alternativo a quello della vulgata ormai dominante anche nei mondi di certa sinistra platonica, una scelta di campo che non contempla bizantinismi ed equidistanze. Emerge con forza la fascinazione subita da larghe quote di proletariato metropolitano, nel testo si fa riferimento soprattutto alle banlieau, di fronte ad organizzazioni come Hamas ed Hezbollah proprio in ragione della loro ferma contrapposizione all’ordine dominante e alla capacità di saper proporre, per quanto alienata, una propria grande narrazione, una concezione del monto alternativa.
Infine nell’ultimo capitolo Quadrelli prova a prendere di petto le trasformazioni della forma Stato e le peculiarità dell’attuale fase imperialista rispetto a quella delineata da Lenin. Secondo l’autore nell’era del capitalismo globale e della delocalizzazione produttiva non è più possibile distinguere un dentro da un fuori, l’accumulazione flessibile e la globalizzazione in basso rendono pressoché impossibile anche solo immaginare la riproposizione di quel compromesso socialdemocratico su cui poggiava il welfare occidentale.
Le città della metropoli capitalista finiscono così per assomigliare sempre di più alla città coloniale, dove fianco a fianco con i cittadini convivono masse sempre più vaste di esclusi, di senza volto a cui non viene nemmeno riconosciuto lo status di nemico. La grande trasformazione occorsa con la controrivoluzione neoliberista è stata proprio quella di far scivolare nel campo dell’esclusione sociale quote sempre maggiori di proletari fino ad espungere il lavoro stesso dal discorso pubblico.
Se questo è il quadro capirete dunque che il passaggio inaggirabile della riorganizzazione di una soggettività rivoluzionaria non potrà che tenere conto di queste trasformazioni. Ed ecco anche perché lo studio e l’analisi della lotta anticoloniale diventa una miniera teorico-politica di straordinario valore. Come scrissero i Wu Ming tempo addietro, un ascia di guerra da disseppellire.
Algeria 1962-2012 una storia del presente/Emilio Quadrelli/la casa USHER/17 euro
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