Il meccanismo di voto (basato su rielezioni parziali dei consigli e su un uninominale maggioritario), che potrebbe vincere il premio mondiale della cervelloticità, rende complicata qualsivoglia analisi (insieme ad una affluenza bassissima, che tipicamente si attesta intorno al 35%).
Ma possiamo sintetizzare così: caporetto dei Conservatori, che riportano un saldo di 1.265 seggi in meno in tutto il paese, cedendo il controllo di 45 autorità locali.
Non si avvantaggia di questo pesantissimo rovescio il Partito Laburista, che, anzi, si trova ad affrontare leggeri perdite, arretrando di 60 consiglieri e registrando un saldo passivo di 5 enti. Il “compromesso” corbyniano soffre perdite in ambo le direzioni: verso l’astensione nelle comunità working class del Nord; verso alternative marcatamente europeiste, nelle roccaforti della classe media.
Tornano alla ribalta i redivivi Liberal Democratici, che strappano alla concorrenza un incremento di 670 scranni, aumentando il numero di consigli controllati di 11 unità.
Bene anche i Verdi, con un saldo positivo di 183 consiglieri. Gli ecologisti si affermano come quarto partito, ai danni di un moribondo UKIP (che elegge, in totale, solo 31 rappresentanti).
In conclusione: se i Tories piangono, il Labour (pur sostanzialmente tenendo) non può ridere. I due maggiori partiti, fatti a pezzi dalle mille contraddizioni della Brexit, perdono (seppur in misura assai diversa).
I reali vincitori (LibDem e Verdi) vedono premiata la propria posizione Europeista, attraendo quote di elettorato consistenti (voto middle class dal Labour; Conservatori “centristi”) da entrambe le forze politiche maggiori.
La proiezione di voto nazionale certifica un sostanziale pareggio nel voto aggregato tra Tories e Labour (28%) ed un notevole balzo in avanti dei LiberalDemocratici (19%).
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