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Un Artico molto pericoloso: la tragedia del batiscafo “Posejdon”

Aggirandosi qua e là tra le agenzie di stampa russe, par di capire che l’unica certezza su quanto accaduto il 1 luglio nelle acque artiche del mar di Barents sia quella di saperne ben poco: ben poco non solo sulla tragedia in sé, costata la vita a quattordici marinai (tutti ufficiali, tutti inquadrati in un reparto segreto impegnato in ricerche sugli alti fondali), ma sull’apparecchio subacqueo stesso, il “Lošarik”, o “Posejdon”, in cui la tragedia si è consumata.

Lasciando per un momento da parte le ipotesi di battaglie navali – ventilate da fonti straniere, ma non considerate da quelle russe – la prima versione diffusa martedì dai media, relativa al batiscafo “Lošarik” (il nome attribuitogli per analogia con il cavallino formato da tante palline, protagonista di un cartone animato di qualche anno fa – lošad, cavallo e šarik, pallina. Il nome ufficiale è “Posejdon”) e alla tragedia, diceva che il battello era stato rilasciato dal sommergibile atomico BS-136 “Orenburg”.

Ricordando i marinai periti, il Ministro della difesa Sergej Shojgù ha detto che, serrandosi all’interno del proprio compartimento, nel tentativo di liquidare l’avaria (si parla di corto circuito: l’energia in uso è a 1.000 ampere) verificatasi nel locale accumulatori, con ciò stesso gli ufficiali hanno così salvato la vita di altri undici uomini dell’equipaggio, dello specialista civile a bordo e hanno evitato la perdita del battello, ora al sicuro alla base di Severomorsk.

Un battello sperimentale cui Mosca tiene non poco e al cui progetto sta lavorando da tempo, in maniera così segreta che nemmeno le agenzie più specialistiche sono in grado di distinguerne fino in fondo gli obiettivi, potenzialmente bellici.

Secondo Svobodnaja Pressa, d’altro canto, la tragedia sarebbe avvenuta a bordo del nuovo sommergibile atomico progetto 09852 “Belgorod”, cioè quel vascello destinato a divenire il primo vettore del drone subacqueo “Posejdon”, o quando quest’ultimo non si era ancora staccato dal vascello-madre. Ma è un “si dice”.

Il “Belgorod” sarebbe una rielaborazione del 949A “Antej”, analogo al “Kursk”, il sommergibile che nell’agosto del 2000 portò con se oltre cento marinai, sempre nel mar di Barents. Lasciato in disparte per dieci anni, il Comando della marina ha rimesso mano al progetto “Belgorod” nel 2012, tra l’altro portandone la lunghezza dagli originali 154 metri, a 184, tanto da far ipotizzare che potesse divenire vettore di apparati atomici di profondità, del tipo del “Lošarik”, appunto, o di stazioni autonome di profondità tipo “Paltus”.

È probabile che il progetto prevedesse l’alloggiamento del “Posejdon” nei container laterali dei compartimenti centrali, al di fuori dello scafo resistente più interno, sede dei 24 missili “Granit”: potrebbe esser questa la ragione dei 30 metri in più, rispetto agli originali.

Ma sono ipotesi, dato che il varo è rimasto segreto. Sembra in ogni caso che i “Posejdon” divengano i primi sommergibili di 5° generazione, vettori complessi robotizzati, chiamati a diventare uno degli elementi della deterrenza nucleare strategica, con capacità di distruggere intere squadre portaerei e obiettivi nelle aree costiere, anche senza avvicinarsi al nemico.

Svobodnaja Pressa ipotizza che l’avaria che ha causato la morte dei 14 ufficiali si sia verificata durante le prove subacquee col “Posejdon”, ma la cronologia sembra smentire tale ipotesi: i marinai sarebbero morti perché, iniziato il turno di riposo, sono stati praticamente colti in cuccetta e non hanno avuto il tempo a indossare l’equipaggiamento che consente la respirazione nei casi di rilascio di sostanze tossiche, come quelle sprigionatesi in seguito al corto circuito.

Da parte sua, topwar.ru scrive che la prima “ufficializzazione” del progetto 10831 “Lošarik” (classificazione NATO “NORSUB-5”) risale al 2012, in occasione della spedizione “Arctic 2012”, in base ai cui risultati avrebbe dovuto esser presentata, alla Commissione ONU per il diritto del mare, la richiesta di allargamento della piattaforma artica sotto controllo russo.

All’epoca della spedizione, la stazione sottomarina fu impegnata per una ventina di giorni a raccogliere campioni di roccia e terra ad una profondità di 2,5-3 km (molto più di quanto possano scendere i normali sommergibili), allo scopo di definire i limiti di latitudine della piattaforma continentale, per il cui controllo si fanno oggi più accese le dispute internazionali.

I primi lavori attorno al batiscafo si fanno risalire (ma sono tutte ipotesi) al 1988, per poi esser sospesi (si dice) per mancanza di finanziamenti a metà dei terribili anni ’90 eltsiniani e ripresi solo a inizi anni 2000. A detta degli specialisti, questo nuovo sommergibile, all’aspetto, dice poco ai non iniziati, ed è difficile giudicarne le potenzialità. Si può solo dire che il “Lošarik” è il sottomarino meno vulnerabile e più silenzioso dell’intera flotta russa; è probabile che, a una certa velocità e a una data profondità, sia semplicemente invulnerabile.

Lo scafo sarebbe assemblato in compartimenti in titanio ad alta resistenza, a forma sferica, implementando il principio del batiscafo: tutto è al condizionale, dato che le caratteristiche tecniche sono classificate.

Secondo le poche informazioni di pubblico dominio, il battello ha una lunghezza di 79 metri, stazza 2.000 tonnellate e, secondo alcune fonti, può immergersi fino a 6.000 metri e raggiungere i 30 nodi; privo di armamento.

Secondo topwar.ru, una delle sfere del “Lošarik” sarebbe occupata dal reattore nucleare E-17. Spinto da un’elica racchiusa in una speciale carena anulare, sarebbe equipaggiato con una benna, un sistema di pulitura delle rocce e un tubo idrostatico. L’equipaggio è di 25 ufficiali. Il “Lošarik” sarebbe in grado di rimanere in immersione per diversi mesi.

Secondo informazioni non confermate, all’autunno 2009 il sommergibile-madre “Belgorod” avrebbe completato il programma di test nei mari Bianco, di Barents, di Groenlandia e Norvegia e nel 2010 sarebbe stato inquadrato nella flotta del Nord. Al contrario, il “Lošarik” non sarebbe soggetto al comando della Marina, ma farebbe parte della Direzione per la ricerca in acque profonde del Ministero della difesa, che risponde direttamente al Ministro della difesa.

Appositamente per il “Lošarik” sarebbe stato rielaborato anche il sommergibile strategico K-129, della classe “Kalmar”, quale suo vascello vettore; in particolare, nel K-129 “Orenburg” sarebbero stati smantellati i silos dei missili balistici e sarebbe stato irrobustito, per scendere fino a 1.000 metri. Si riferivano proprio all’“Orenburg” alcune immagini prese al Polo Nord durante la spedizione del 2012 nell’Artico.

Un Artico che, nella sua piattaforma continentale, promette enormi ricchezze, da contendersi tra soggetti, planetari o regionali che siano: secondo gli scienziati russi, una parte significativa dell’Artico (le creste sottomarine “Lomonosov” e “Mendeleev”) sarebbe una continuazione della placca continentale e, in base alla Convenzione sul diritto del mare, la zona economica russa potrebbe essere così estesa oltre le 200 miglia nautiche. Ma all’allargamento delle relative zone di interesse pretendono anche Canada, USA, Norvegia, Danimarca.

In ciò, dunque, l’Artico si rivela un Oceano pieno di gas e di petrolio, ma si rivela anche ogni giorno più pericoloso.

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