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Il lupo yankee a caccia di cibo, ma in Oriente ora fatica a trovarne

Tokyo ha rinviato al mittente la richiesta di Washington di quadruplicare, da 2 a 8 miliardi di dollari, il “canone” annuo per la presenza sul proprio territorio delle basi USA – compresa Okinawa – che ospitano 54.000 soldati yankee e anche le navi della VII flotta nel Pacifico orientale: una pretesa che i giapponesi considerano “irreale”.

Vero è che c’è ancora tempo per ripensamenti, dato che le consultazioni dirette per il rinnovo, nel 2021, dell’accordo relativo alle basi militari, cominceranno solo il prossimo anno. Peraltro, una certa “ruggine” tra Tokyo e Washington era spuntata già lo scorso giugno, allorché Donald Trump aveva espresso insoddisfazione per il fatto che, in base all’accordo in vigore, gli USA devono intervenire in difesa del Giappone, in caso di aggressione, mentre non è prevista la clausola reciproca. Non sembri casuale ogni sottinteso rimando alla Cina.

Secondo il mensile russo Vita internazionale, i consiglieri di Trump cercano di dissuaderlo dal rompere l’accordo con Tokyo, dato che ciò potrebbe indurre il Giappone ad aumentare per proprio conto le spese militari, col pretesto di potenziali “minacce cinesi e nordcoreane”.

Ora, dopo che anche Seoul pare abbia risposto picche alla richiesta americana di passare a 4,7 miliardi di dollari per il mantenimento dei 30.000 militari yankee in Corea del Sud, appare innegabile un certo “rilassamento” nei rapporti tra Stati Uniti e “alleati di ferro” in estremo Oriente.

Anche perché, i “non tengo denaro” di Tokyo e Seoul al batter cassa di Washington, vengono dopo che anche le Filippine, da almeno due-tre anni, cioè dall’arrivo al potere di Rodrigo Duterte, sembrano strizzare l’occhio sempre più a Pechino e Mosca, dopo un periodo di duetto Manila-Washington contro la Cina: ancora una volta, per gli interessi nel mar Cinese meridionale.

Tanto in là si sarebbe spinto Duterte, stando a Bloomberg, da firmare contratti per decine di miliardi di dollari con Pechino e concludere un accordo per la costruzione di infrastrutture cinesi nelle basi militari filippine.

Insomma, a Occidente è Parigi che intende dettare le coordinate della “indipendenza” militare dagli USA, a tutto vantaggio del complesso militare-industriale di questa sponda dell’Oceano e degli interessi strategici propri, di contro a quelli di una NATO volta verso Washington.

A Oriente, invece, l’elevarsi della Cina a fattore mondiale (non a caso, a mezze parole, la Casa Bianca non disdegnerebbe nemmeno un’alleanza russo-americana in funzione anti-cinese) sembra catalizzare le spinte di quei paesi che, dopo settantacinque anni, cominciano a sentire quantomeno “ingombrante” la presenza yankee.

E’ così che, secondo Global Times, USA e NATO hanno “trovato un nuovo nemico”, rappresentato dalla Cina, mettendo in secondo piano i precedenti obiettivi costituiti da Russia e gruppi terroristici; ma, aggiunge, Pechino sarà pronta a rispondere alle “dichiarazioni avventate” della NATO.

Secondo le più recenti esternazioni d’oltreoceano, nota rosbalt.ru, la Russia rappresenta infatti per Washington una “minaccia a breve termine”, mentre la Cina lo è in prospettiva più vasta, data la preminenza cinese in campo economico.

Lo stesso Segretario di stato Mike Pompeo si è espresso in tal senso, battendo ovviamente sui tasti al momento più in voga: la “violazione dei diritti umani” nella regione autonoma uigura dello Xinjiang e a Hong Kong, oltre che sul “furto” di tecnologia, gli attacchi informatici e le “infondate pretese territoriali” nel mar Cinese Meridionale; in cui, per inciso, domenica scorsa una portaerei cinese ha attraversato lo stretto di Taiwan. Detto questo, con la mano sul portafoglio, Pompeo ha aggiunto che gli USA sono pronti a concludere con Pechino un accordo commerciale reciprocamente vantaggioso.

In questa cornice, Washington ha deciso di rinviare le previste esercitazioni militari congiunte con la Corea del Sud.

Secondo la cinese Xinhua, il presidente dei Joint Chiefs of Staff, Mark Milley, avrebbe detto che la decisione è stata presa per dare alla Corea del Nord (RPDC) l’opportunità di tornare al tavolo dei negoziati e il Segretario alla difesa, Mark Esper, ha presentato la cosa come un “gesto di buona volontà”. Nel 2018, Donald Trump aveva annullato le precedenti manovre Exercise Vigilant Eagle.

Per questa ragione, negli Stati Uniti, Esper è stato accusato di “cedimenti al regime comunista nordcoreano” e l’intera amministrazione Trump di “manifestare debolezza di fronte a Pyongyang”. Non si tratta di cedimento, ha detto Esper: “Confidiamo che la decisione” di posticipare le manovre “porterà Pyongyang a sedere di nuovo al tavolo delle trattative per la denuclearizzazione della penisola coreana”.

Appena pochi giorni fa, infatti, Pyongyang aveva accusato gli USA di “intemperanza”: pretendono “da noi il completo disarmo nucleare, mentre loro non possono nemmeno abbandonare lo spirito militaristico, che si manifesta in continue manovre militari insieme con il Sud. Se ci sarà una provocazione, gli USA faranno i conti con una risposta incredibilmente potente”. In queste condizioni, “quando una parte declina i propri impegni e intraprende unilateralmente passi ostili, non vi è alcuna ragione perché l’altra parte si senta vincolata ai propri impegni.

La RPDC ha espresso seri dubbi sul fatto che Washington sia davvero intenzionata a trovare una soluzione e pochi giorni fa, a livello ufficiale, ha fatto capire in modo niente affatto velato di esser pronta a rompere la moratoria autoimposta sui test nucleari e gli ICBM. Così che The National Interest scriveva lo scorso 15 novembre: “Se il presidente Trump non vuole festeggiare l’anno nuovo con il primo lancio ICBM nordcoreano dopo più di due anni, sarebbe opportuno che si guardasse allo specchio e si chiedesse cosa può fare la sua amministrazione per evitare che il dialogo vada in frantumi”.

Dopo la dichiarazione nordcoreana, le esercitazioni (del tipo di quelle che interessano ogni anno gli spazi aerei, navali e terrestri ai confini con la RPDC) sono state sì rinviate, ma, come nota topwar.ru, senza rinunciare a una dimostrazione di forza, per cui lo stesso Esper ha dichiarato che, “invece di manovre su larga scala, si terranno esercitazioni combinate di routine”.

In questo caso, il lupo non abbandona nemmeno il pelo.

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