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Nuova Caledonia tra stato d’eccezione e impasse politico

Martedì 21 maggio, il Presidente francese Emmanuel Macron è salito in aereo per raggiungere la Nuova Caledonia in un contesto tutt’altro che pacificato e dove rimane in vigore lo stato d’emergenza.

Ad accompagnarlo ci sono il ministro dell’Interno Darmanin, il delegato incaricato dell’Oltremare Guévenoux, e il ministro della Difesa, Lecornu.

Una mossa annunciata all’improvviso.

Macron forse ha cercato di emulare Mitterand, che volò a Nouméa nel gennaio del 1985, durante le violente sommosse anti-indipendentiste degli abitanti di origine francese, nel periodo della guerra civile (1984-1988).

Nell’arcipelago, formalmente Territorio d’Oltremare francese, si e sviluppata una vera e propria insurrezione popolare indipendentista dalla notte di lunedì della scorsa settimana, dopo l’inedita opposizione politica – per magnitudine e unità delle forze favorevoli all’indipendenza – contro la riforma costituzionale che premierebbe i lealisti estendendo la base degli aventi diritto di voto anche ai “nuovi residenti” nelle isole, sin dalle elezioni “provinciali” di questo dicembre.

I Kanak, cioè i popoli nativi dell’arcipelago, dopo il vero e proprio genocidio perpetrato dalla Francia e il “colonialismo d’insediamento” francese, sono diventati una minoranza tra il 1969 e il 1972, durante il “boom del nichel”, quando vennero fatte arrivare altre popolazioni dall’Asia e dall’Oceania.

Oggi sono appena il 41,2%, su una popolazione di poco più di 271 mila abitanti, e pressoché tutte le statistiche li danno tra i più sfavoriti, nonostante il processo di pace che avrebbe dovuto portare ad un “riequilibrio” nell’arcipelago.

In un intervista al quotidiano francese Libération, Roch Wamytan, presidente indipendentista del Congrès, ha affermato: “è una rivolta della gioventù, ci ha superato (…) c’è una popolazione Kanak estremamente giovane che ha votato massicciamente per l’indipendenza” – nei due referendum non boicottati dagli indipendentisti, nel 2018 e nel 2020 – “che vive male la situazione attuale, che soffre la violenza istituzionale, che è stigmatizzata”.

La situazione è completamente inedita, rispetto agli ultimi 40 anni, in quelle isole del Pacifico che la Francia colonizzò a metà dell’Ottocento, senza che a tutt’oggi sia stato completato il processo di decolonizzazione. E questo nonostante sia iscritta da metà degli anni Ottanta nella lista dell’ONU dei territori “non autonomi” che devono essere decolonizzati.

Si sta riaffermando, anzi, una brutale logica neocoloniale: criminalizzazione dell’organizzazione centrale nel fronte ampio degli indipendentisti (CCAT), definiti “mafiosi” dal Ministro dell’interno nonostante abbiano condannato le violenze; militarizzazione dell’arcipelago con l’esercito che presidia le infrastrutture strategiche, i reparti speciali di gendarmi e poliziotti fatti venire in gran numero dall’Esagono, gli abitanti dei quartieri benestanti (1/4 della popolazione) di provenienza francese che in parte si sono organizzate in milizie per “uccidere un kanak”.

Inedito è il dispiegamento di forze dell’ordine – oltre all’esercito – solitamente impiegate in Nuova Caledonia, che comprendono sia la gendarmeria mobile (EGM), sia i membri del RAID e le “nuove generazioni” di CRS, specializzati nelle violenze urbane, inquadrati nella polizia.

2.700, tra militari, poliziotti e gendarmi, presenti oggi nell’isola; 4 volte il loro numero abituale.

L’aeroporto commerciale, chiuso dal 14 maggio, non riaprirà almeno fino a questo sabato; un centinaio di turisti australiani e neozelandesi hanno potuto lasciare l’isola solo grazie a “voli speciali” organizzati dai rispettivi paesi.

Tik Tok è stato sospeso con una misura che ha suscitato parecchi dubbi anche tra le file di un gruppo abbastanza consistente di giuristi, che contestano anche le modalità in cui è stato promulgato l’état d’urgence: una decisione annunciata dal Presidente che ha convocato poi il Consiglio dei Ministri, bypassando l’iter della legge introdotta nell’ordinamento francese nel 1955, in piena lotta di liberazione nazionale algerina (1954-1962).

Una misura che prevede – è bene ricordarlo – il coprifuoco notturno, il divieto di assembramento, porto d’armi, vendita d’alcol.

Il bilancio finora è stato di 6 morti, tra cui due gendarmi, uno dei quali a causa di un colpo esploso accidentalmente da un collega.

Le altri 4 morti sono dovute a colpi d’arma da fuoco sparati dalle milizie lealiste o dalla polizia.

Davanti al parlamento francese, martedì 21 maggio, il ministro dell’Interno Gérald Darmanin ha riferito dei 6 omicidi e di 84 poliziotti e gendarmi feriti. Si è proceduto a 276 interpellations, trasformate per la stragrande maggioranza in fermi in garde à vue.

Secondo Le Monde, nella sola capitale Nouméa, sarebbero 200 le aziende, esercizi commerciali ed edifici pubblici incendiati e saccheggiati dopo il 13 maggio.

La “mission” di Macron – alla terza visita, dal 2017 – dopo la rigidità dimostrata nell’assecondare i lealisti e imporre i tempi per la promulgazione della riforma costituzionale (passata prima al Senato e poi all’Assemblea) sembra davvero impossibile, considerato che l’unica via d’uscita auspicabile sarebbe quella di non promulgarla e cercare di portare i due campi – lealisti ed indipendentisti – a trovare un accordo, ma con l’obiettivo di riequilibrare veramente le storture “neo-coloniali”.

In Francia si stanno ampliando le voci di quanti ne richiedono almeno il rinvio. Sia da parte della sinistra, che ha votato al completo contro l’ipotesi di riforma, sia dall’estrema-destra.

Sarebbe una misura di buon senso, ma ormai le élite politiche occidentali sembrano aver perso quella lungimiranza da “statisti” permetteva di affrontare i problemi politici con qualche cognizione di causa.

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La Rete dei Comunisti ha prodotto un breve dossier, disponibile anche in PDF: “Il popolo kanak insorge contro il neo-colonialismo francesehttps://www.retedeicomunisti.net/2024/05/20/nuova-caledonia-il-popolo-kanak-insorge-contro-il-neocolonialismo-francese/

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