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Precarietà. Un esercito a basso salario e lavoro pesante

Sono ormai un esercito di oltre tre milioni 315.580 pesrone, senza un contratto fisso e suddiviso in: dipendenti a termine involontari; dipendenti part time involontari; collaboratori che presentano contemporaneamente tre vincoli di subordinazione: monocommittenza, utilizzo dei mezzi dell’azienda e imposizione dell’orario di lavoro; liberi professionisti e lavoratori in proprio, le cosiddette Partite Iva, che presentano in contemporanea tre vincoli di subordinazione.

Si tratta di oltre tre milioni 315 mila lavoratori,  che replicano al ribasso la differenza di genere già presente nel mondo del lavoro: se la retribuzione media dei giovani precari under 34 è di 836 euro, la busta paga per i maschi può arrivare a 927 euro mentre quella delle donne scende a 759 euro. Importi che comunque, precisa la Cgia, sono al netto di tredicesima, quattordicesima, etc. e delle voci accessorie percepite regolarmente tutti i mesi, come ad esempio i premi di produttività, le indennità per missioni, e altre. La più alta concentrazione di lavoratori precari italiani è nel Pubblico impiego. Scuola e sanità: 514.814; servizi pubblici e sociali: 477.299. Nel conto sono inclusi anche i 119.000 circa che sono occupati direttamente nella Pubblica amministrazione (Stato, Regioni, Enti locali, etc.). Gli altri settori che registrano una forte presenza di questi lavoratori atipici sono il commercio (436.842), i servizi alle imprese (414.672) e gli alberghi ed i ristoranti (337.379). A livello territoriale è il Sud che ne conta il numero maggiore. Se oltre 1.108.000 precari lavorano nel Mezzogiorno, il 35,18% del totale, le realtà più coinvolte, prendendo come riferimento l’incidenza percentuale di questi lavoratori sul totale degli occupati a livello regionale, sono la Calabria (21,2%), la Sardegna (20,4%), la Sicilia (19,9%) e la Puglia (19,8%). Per quanto riguarda il titolo di studio, quasi uno su due, per l’esattezza il 46% del totale, ha un diploma di scuola media superiore, il 39% circa ha concluso il percorso scolastico con il conseguimento della licenza media e solo il 15,1% è in possesso di una laurea. “Su 3.315.000 lavoratori senza un contratto di lavoro stabile quasi 1.289.000, pari al 38,9% del totale, non ha proseguito gli studi dopo aver terminato la scuola dell’obbligo. Questi precari con basso titolo di studio sono in questa fase di crisi economica quelli più a rischio”, afferma Giuseppe Bortolussi della CGIA di Mestre, il quale ci tiene a sottolineare come “nella stragrande maggioranza dei casi svolgono mansioni molto pesanti da un punto di vista fisico e sono occupati soprattutto nel settore alberghiero, in quello della ristorazione e nell’agricoltura”.

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