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Porre fine ai licenziamenti politici nelle fabbriche

Ieri mattina si è tenuta a Napoli un’importante assemblea nazionale (*) avente ad oggetto il tema dei licenziamenti politici sui luoghi di lavoro. Organizzazioni sindacali di base, lavoratori licenziati, compagni si sono riuniti da varie regioni d’Italia per raccontare le proprie esperienze e porre all’ordine del giorno la questione dell’attacco politico che i padroni ed i loro funzionari conducono nei luoghi di lavoro contro chi si oppone, alza la testa, produce sindacalismo conflittuale. Un tema caldo, se è vero che il 29 novembre si terrà una simile iniziativa anche a Firenze.

Un’assemblea partecipata, oltre cento le presenze: dal Piemonte, dalla Toscana, dall’Emilia Romagna, dal Lazio, dalla Campania.

Operai della Fiat di Pomigliano e di Mirafiori, dell’Alenia e delle Coop. rosse, della Città della Scienza napoletana e dei servizi pubblici (magari privatizzati come l’azienda di trasporto pubblico fiorentina ceduta da Renzi a Moretti delle RFI, dove basta che – da dipendete – ci si schieri a tutela dei diritti dei parenti delle vittime della strage di Viareggio per essere licenziati).

I vari interventi hanno ricostruito il clima di caserma che si vive nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro in generale. Licenziamenti finalizzati a disciplinare la forza-lavoro non soltanto nei momenti di massima conflittualità ma anche in termini preventivi. Un minimo dissenso e si torna a casa, senza giusta causa (ecco perché Renzi ed il suo governo confindustriale vorrebbero eliminare l’obbligo di reintegro previsto dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, peraltro già ampiamente compresso dalla Legge Fornero).

Un compagno di Mirafiori racconta di come abbia dovuto subire veri e propri pedinamenti per mesi, sia dentro che fuori la fabbrica, fino ad essere licenziato, per aver svolto attività sindacale conflittuale. In un altro caso, una semplice maglietta con un messaggio critico nei confronti delle politiche aziendali, peraltro indossata in orari e luoghi non lavorativi, ha comportato il licenziamento di un operaio, nascosto dietro le ragioni della rottura del rapporto fiduciario. Altre volte basta un’intervista alla tv nella quale si evidenziano oggettive deficienze del servizio offerto, per essere spediti a casa. Più interventi sono venuti da operai/facchini della logistica, legati alle cooperative rosse ed alla Granarolo che hanno animato negli ultimi tempi un’importante battaglia, sia di sindacalizzazione che di rivendicazione dei diritti sui luoghi di lavoro, che è partita dal rifiuto di accettare una decurtazione del 35% del salario. Proprio gli “ultimi” della classe, gli immigrati – regolari o meno che fossero –, spesso con difficoltà di inserimento, linguistiche, di comprensione del quadro normativo, sottopagati, hanno animato una lotta che ha portato i suoi frutti, in termini materiali e simbolici, proiettandosi anche in una dimensione intercategoriale.

La repressione, tuttavia, non assume soltanto i connotati dell’atto estremo, del licenziamento, ma di tutta una serie di pressioni e provvedimenti sanzionatori che incidono sulla qualità del lavoro, sull’agibilità politico-sindacale nei luoghi di lavoro, sullo stesso salario. La lotta degli operatori del trasporto pubblico fiorentino privatizzato, ad esempio, è costata ben 850 denunce per interruzioni di pubblico servizio, 4 giorni di sospensione dal lavoro per ogni aderente allo sciopero e 360.000 euro di multa complessivi.

Da più parti è stata indicata la necessità di sperimentare percorsi di coinvolgimento dei lavoratori in una prospettiva di lotta che muova passi decisi contro i licenziamenti politici, che non riguardano soltanto i diretti interessati ma tutti i lavoratori, essendo soltanto la punta dell’iceberg, il grimaldello con cui il padronato scardina le avanguardie della classe per indebolire tutto il corpo lavorativo. Per dare forza a tale prospettiva, è stato proposto da alcuni compagni che, quantomeno le organizzazioni sindacali di base, conflittuali, si coordinino per non firmare alcun accordo con la parte padronale in contesti aziendali ove si siano consumati licenziamenti politici e siano stati adottati provvedimenti sanzionatori tesi a colpire l’agibilità sindacale. Nessun accordo senza un preventivo ritiro di tali provvedimenti.

 

Dalla Rete dei Comunisti, intervenuta insieme ad altre realtà politiche, è venuto l’invito a fare un bilancio collettivo della giornata del 14 novembre che – nella sua complessa composizione e problematica prospettiva – ha rappresentato un interessante ed importante momento di aggregazione dei vari fronti di lotta, disagio, sofferenza sociale che vivono i subalterni in questo Paese. Ha indicato un potenziale percorso di ricomposizione che, pur con mille difficoltà, può mettere in comune le mille vertenze, i mille volti degli sfruttati contro i gangli ed i simboli del potere costituito: Unione Europea, Governo Renzi, Confindustria. Il prossimo 30 novembre, di fatti, a Napoli si terrà una assemblea pubblica di bilancio del 14 in vista dell’agire prossimo futuro.

Nota:

* Di seguito gli organizzatori dell’evento: Comitato cassaintegrati Fiat di Pomigliano d’Arco / Unione Sindacale di Base / Confederazione COBAS / S.I. COBAS / Clash City Worker / Laboratorio Politico Iskra / Rete dei Comunisti / Comunisti per l’Organizzazione di Classe / Collettivo Autorganizzato

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