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26 novembre. Firenze in piazza contro il jobs act

Per il 26 novembre alla Camera è fissato il voto sul Jobs Act.
Il sindacalismo di base e tutte le realtà politiche e sociali che a Firenze hanno costruito la giornata di sciopero generale del 14 novembre  rilanciano l’appello per essere di nuovo in piazza!
 Appuntamento il 26 novembre alle ore 18.00 in Via Martelli 4 davanti alla sede regionale del Partito Democratico!

 NO JOBS ACT!
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TUTELE E DIRITTI: JOBS ACT, FINE PENA MAI?

Il Governo Renzi/Ue si appresta a presentare in Parlamento il testo definitivo del JOBS ACT. Spending Review, il Fiscal Compact ora il JOBS ACT: un ulteriore passaggio nel peggioramento delle condizioni di lavoro e di vita di milioni di lavoratori, che vanno ad aggiungersi alle varie riforme che si sono succedute dal ’92 ad oggi in nome dell’entrata nell’euro prima, della stabilità finanziaria e del rilancio dell’economia oggi.
E’ bene sottolineare che “presentare il testo in Parlamento” non si traduce in un dibattito parlamentare, in una mediazione, ad oggi impossibile, tra interessi diversi di classi diverse (padroni/lavoratori). Questo non solo perchè non esistono in ambito Parlamentare forze che rappresentano anche in parte gli interessi di milioni di lavoratori e lavoratrici, proletari, ma come conseguenza delle riforme dello stato che hanno fatto si, che un governo, possa accentrare a se sia la funzione esecutiva sia legislativa, attraverso quanto permesso dalle leggi delega, dalla fiducia, ecc.. Sarà quindi in realtà un dibattito “blindato” che le forze politiche parlamentari utilizzeranno al massimo come loro vetrina.
Ma se il dibattito sarà solo di facciata gli effetti del JOBS ACT saranno più che concreti.
“L’abolizione dell’articolo 18 non influenzerà in nessun modo le assunzioni”: non lo diciamo noi ma lo hanno espressamente affermato alti esponenti del mondo industriale, come dallo stesso mondo di avvoltoi nasce l’affermazione che “l’art 18 rappresenta il simbolo della rigidità del mondo novecentesco, e la sua eliminazione è un attacco a quella ideologia frutto del secolo scorso”: per riportarci alle condizioni ottocentesche di sfruttamento?
Il JOB ACT non attacca solo l’articolo 18, ma va in realtà a colpire alcuni dei principi fondanti dello Statuto dei Lavoratori.
E’ previsto la modifica dell’articolo 4 concedendo la possibilità di controllare i lavoratori attraverso dispositivi audiovisivi, informatici e attraverso dispositivi di telefonia mobile; la modifica dell’articolo 13 concedendo la possibilità di adibire il lavoratore anche a mansioni inferiori a quelle per cui è stato assunto con la conseguente diminuzione della retribuzione.
Viene inserito il Contratto a Tutele Crescenti, ovvero i lavoratori neoassunti non godranno degli stessi diritti di quelli assunti da più tempo, per un periodo finora stabilito in tre anni, di cui però ad oggi si conosce solo la deroga all’articolo 18. E’ chiaro che questo non sarà l’unica “tutela” a cui dovranno rinunciare i neoassunti, per cui si presume che riguarderà anche quelle migliorie previste dai contratti nazionali e aziendali, in termini di salario, magari utilizzando l’introduzione di un salario minimo o di ingresso, oltre alle eventuali migliorie nell’ambito dei diritti (già visto nei trasporti).
Non dimentichiamo che con la Riforma Fornero del governo Monti/Ue è stato riformato il contratto a tempo determinato concedendo la possibilità di stipulare contratti senza nessuna motivazione particolare prevista in passato (picchi di produzione, sostituzioni, ecc..). La riforma è stata peggiorata ulteriormente dal governo Renzi/Ue concedendo fino a 5 rinnovi del contratto stesso, senza nessuna garanzia di stabilizzazione, per una durata complessiva massima di tre anni.
Tutt* conosciamo bene il peso del ricatto del rinnovo del contratto di lavoro.
Proviamo a vedere, al di là della descrizione, quale panorama si può prospettare per noi lavoratori e lavoratrici.
Prima di tutto sgomberiamo il campo dalle frasi fatte dal “premier”: il contratto a tutele crescenti non riguarda la generica categoria dei “giovani” da mettere in contrapposizione ai lavoratori più anziani i cui diritti impediscono ai primi il diritto al lavoro, ma in realtà riguarderà qualsiasi nuova assunzione al di là dell’età anagrafica e lavorativa. Come diciamo da tempo non esistono precari o garantiti ma il lavoro è oramai precario per tutt*, declinando la divisione precari e non precari ad una strategia che mira a dividere e a contrapporre tra loro spezzoni di classe. Gli unici garantiti sono i padroni, anche se ancora oggi qualcuno ci casca portando ulteriori divisioni di cui certo non abbiamo bisogno. Sono anni che i vari governi usano questa novella che si parli di pensioni o di riforme del lavoro.
Il contratto a tutele crescenti sarà la forma di contratto che sarà applicata a qualsiasi lavoratore che, perchè la sua fabbrica o azienda chiude, scade l’appalto, o per qualsiasi altro motivo, è costretto ad iniziare un nuovo rapporto. Se guardiamo la realtà e prendiamo per buone le parole di tutta la classe politica e padronale “che non esiste più l’idea di un posto di lavoro per tutta la vita” possiamo allora dire che la vita lavorativa sarà sempre di più senza tutele, perchè a crescere sarà sempre il ricatto: per tutti e tutte.
Ma essere senza tutele davanti ad una “richiesta” di demansionamento quali possibilità di opporsi può avere un lavoratore? Come può opporsi ai continui soprusi di un padrone? O vogliamo arrivare al punto in cui, come succede nelle campagne del sud, e non solo, dove anche il corpo della donna o dell’uomo deve essere ritenuto a disposizione del padrone? Dove il salario è sufficiente al massimo per arrivare al giorno successivo, dove la casa è una baracca di legno e cartoni o un edificio abbandonato?
Da tempo diciamo che la concertazione avrebbe portato ad erodere i diritti fino ad un punto di non ritorno, quel punto in cui gli stessi sindacati collaborativi e confederali, che tanto hanno fatto per continuare ad essere accettati ai tavoli dei signori, sarebbero stati travolti dal disastro di cui sono stati complici e con loro il futuro di milioni proletari e “nuovi” proletari.
Tempo determinato per tre anni, tre anni senza diritti, e siamo a sei se tutto va bene!
Come potrà opporsi un lavoratore alle angherie, ai soprusi, quando dall’altra parte ha come prospettiva la perdita del proprio posto di lavoro (l’indennizzo potrà farti mangiare ma per ben poco tempo) o magari un demansionamento “punitivo”? Come potrà opporsi ad una stretta sorveglianza magari utilizzata proprio per cogliere in fallo il lavoratore?
Non sappiamo cosa riserverà la riforma degli ammortizzatori sociali, cassa integrazione, disoccupazione e via dicendo, ma è sicuro che il lavoratore inattivo dovrà accettare le proposte, o meglio l’obbligo del lavoro che gli viene offerto, più o meno sfruttato, pena la perdita del sostegno al reddito, aumentando così quella fascia di sfruttamento di cui certo ad oggi non c’è proprio bisogno. Ancora peggiore sarebbe se al rifiuto di un lavoro mal pagato, sfruttato, come peraltro succede già in altri paesi europei, si determinasse anche la perdita di altri sostegni come quelli per i figli, casa, scuola, ecc..

Sarà ben difficile, all’interno della tanto cara loro legalità, opporsi agli accordi, alle ristrutturazioni, alle angherie e ai soprusi senza avere tutele di legge.
Ma non basteranno le manganellate, gli idranti o gli spray al peperoncino, non basterà militarizzare le città.

Sia chiaro: se ne dovranno assumere tutta la responsabilità storica, del presente e del futuro, e non gridino all’ennesima emergenza quando qualcuno capirà, e altri con lui, che non esistono possibilità di mediazioni.
Incolmabile la distanza tra chi è costretto a lavorare per vivere, a vendersi come merce a basso prezzo, messa in svendita su uno scaffale di un centro commerciale, e chi invece ogni giorni continua ad arricchirsi; tra chi vive nei salotti buoni delle metropoli e chi, come servi della gleba di antica memoria, è costretto a viversi in pieno tutte le contraddizioni che il loro benessere ci fa pagare, non ultima la guerra tra poveri in cui rischiamo pericolosamente di scivolare.

Loro non pagano il prezzo della Crisi? Pagheranno, speriamo, il prezzo della nostra rabbia.

Centro Popolare Autogestito fi-sud

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