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Logistica. “I lavoratori migranti strappano diritti validi per tutti”

Intervista a Riad Zaghdane, dirigente sindacale Usb comparsa su “Il manifesto”. Nato a Tunisi, vive in Italia dal 1988. Dalla metà degli anni ’90 organizza i lavoratori della logistica

«A METÀ DEGLI ANNI ’90 ero l’unico operaio migrante nel magazzino della logistica di una cooperativa che distribuiva materiale editoriale. Il lavoro si faceva in coppia, ma nessuno voleva stare con me. Più che razzismo era diffidenza. Qualche anno dopo mi sono candidato alle Rsu e ho ottenuto una vittoria schiacciante: mi hanno votato in massa». Riadh Zaghdane è oggi un sindacalista di lungo corso, dirigente dell’Unione sindacale di base (Usb), con tante vertenze e vittorie sulle spalle. È seduto intorno a un tavolo di legno scuro, in una sala riunioni della Federazione del sociale, nel quartiere romano di Cinecittà. Sui muri sono appesi poster di scioperi e cortei, bandiere rosse dell’organizzazione e il quadro del «Quarto stato». Dalla porta entrano ed escono attivisti impegnati su fronti diversi: dalla lotta per la casa agli spazi sociali del quartiere.

«IL MIO APPROCCIO AL SINDACATO è prettamente politico. A Tunisi ho militato in organizzazioni comuniste dalla seconda media ai primi anni di università. Poi nel 1987 c’è stato il “golpe bianco” di Ben Alì. Gli spazi di agibilità si sono rapidamente ristretti e l’anno successivo ho dovuto lasciare il paese». A quei tempi emigrare era più facile e meno pericoloso. Per venire in Italia non serviva neanche il visto, bastavano 200mila lire in tasca e un invito. Così a 21 anni Riadh è salito su un aereo e dopo meno di due ore è sbarcato a Roma. I primi tempi si arrangiava per sopravvivere: cameriere, manovale, lavapiatti. «Come tutti i migranti», dice sorridendo.

NEL 1994 è entrato nel mondo della logistica. Le condizioni erano dure e i livelli di sfruttamento altissimi. La situazione lo stupiva. «Avevo studiato il movimento operaio europeo e sapevo che in Italia le lotte degli anni ’60 e ’70 avevano strappato conquiste importanti – racconta – Davanti, però, mi trovavo una costante violazione dei diritti e tanti colleghi rassegnati a subire. Avrei potuto cercare un altro lavoro, invece decisi di provare a organizzarmi». Ma alla parola sindacato i facchini scuotevano la testa sfiduciati. «Pensavano subito ai sindacati confederali, ma io avevo in testa un’altra cosa. Andai a cercare il Coordinamento nazionale lavoratori, un’organizzazione autonoma radicata nell’azienda Roma Tpl. Iniziammo a lottare e prendere la situazione in mano».

ALLA FINE, scioperi e mobilitazioni hanno costretto la cooperativa a internalizzare i lavoratori, che erano stati assunti come finti soci per nascondere il rapporto di lavoro dipendente. Successivamente le rivendicazioni si sono estese ai livelli, alle indennità di turno, al rispetto del monte orario di 39 ore settimanali e al pagamento degli straordinari. L’esperienza è finita anni dopo, quando l’azienda è stata venduta. Prima, però, gli operai hanno strappato un risarcimento per tutti. Era il 2009 e già da sette anni Riadh aveva ottenuto il distaccamento sindacale.

NEL 2010 HA PARTECIPATO alla fondazione di Usb, continuando a dare battaglia con i lavoratori della logistica. Italiani e stranieri. «La solidarietà etnica esiste, ma sui luoghi di lavoro conta più quella di classe – afferma – Nel 2016 a Soresina avevamo organizzato decine di facchini migranti. Il padrone sapeva che ormai si sindacalizzavano automaticamente, così ha iniziato ad assumere italiani: 14 lavoratori a tempo determinato. Un giorno uno di loro si è affacciato in assemblea. Poveraccio, era quasi impaurito. Ha chiesto se poteva parlare e ha raccontato che da un anno e mezzo lui e gli altri vivevano in una difficile situazione di precarietà. L’assemblea ha deciso di scrivere alla cooperativa: o stabilizzate tutti o scioperiamo. Li stabilizzarono».
Riadh parla con tranquillità, arrotolando una sigaretta di tabacco. Durante le proteste, però, tira fuori una grinta fuori dal comune e mostra di avere la pelle dura.

A NOVEMBRE 2017 si trovava in provincia di Cremona, ai cancelli della Magic Pack di Gadesco Pieve Delmona. Durante il picchetto degli operai un titolare dell’azienda uscì come una furia e lo colpì con un pugno. Senza preavviso. Gli occhiali gli provocarono un taglio profondo, ma prima di farsi medicare volle concludere l’intervento sindacale. Durante le lotte nella logistica di questi ultimi anni, gli episodi di scontro, anche duro, sono stati tanti. Aggressioni contro sindacalisti e lavoratori in sciopero, cariche della polizia e arresti, teoremi giudiziari. E morti. Come Abd Elsalam Ahmed Eldanf, sindacalista Usb schiacciato da un tir il 16 settembre 2016 durante un presidio alla Gls di Piacenza. Aveva 53 anni e 5 figli.

«LA LOGISTICA È UN SETTORE che non si può delocalizzare – sostiene Riadh – Per questo ha subito un’azione scientifica di peggioramento dei contratti nazionali e delle condizioni lavorative. Anche grazie alla contrattazione sindacale. È stata fatta fuori la manodopera autoctona, sostituita con operai migranti più ricattabili. Negli ultimi anni, però, questa nuova forza lavoro ha condotto battaglie offensive per la conquista di diritti e salario. Fare davvero sindacato significa schierarsi con tutti i lavoratori. Sempre. Questo crea le condizioni di incontro nei momenti di lotta: la strada migliore per ribaltare sia lo sfruttamento lavorativo che il razzismo. Adesso pian piano, soprattutto al nord, anche gli italiani stanno tornando a lavorare in questo settore perché le condizioni sono migliorate per tutti. Diversamente da quello che afferma Salvini, molti italiani dicono: “meno male che ci sono i migranti, si sta molto meglio adesso”».

*da Il manifesto del 12/6/2019

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