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Debito. Quando la cura è peggiore della malattia

Pubblichiamo una interessante analisi del sito specialistico “Lettera 43”.

Debito fuori controllo

Commissari Ue rassegnati sulla Grecia che non cresce.

di Vita Lo Russo

Un passo avanti e tre indietro. È questo il ritmo con cui si stanno muovendo le Borse del vecchio continente che non hanno neanche il tempo di esultare per una chiusura positiva che si trovano a leccarsi le ferite per l’ennesimo rosso. La settimana era cominciata a ritmi scoppiettanti: lunedì 29 agosto Atene chiudeva le contrattazioni con un + 14,37% spinta dalla notizia della fusione di due delle più importanti banche del Paese, Eurobank e Alpha Bank.
LA SFIDUCIA DELLA UE. Venerdì 2 settembre è saltato il vertice tra i delegati del Fondo monetario internazionale e della Banca centrale europea chiamati a verificare, in linea con le procedure del bailout, la reale capacità della Grecia di rispettare gli obiettivi di bilancio.
In gioco c’è la continuità di accesso ai fondi da parte di Atene. In particolare della tranche di 8 miliardi di euro del primo bailout (110 miliardi stanziati nel maggio 2010). Tra Bruxelles e Atene si è così aperta una nuova guerra sui numeri.

Indebitamento greco «fuori controllo»

Il governo greco ha riconosciuto che l’economia sì è crollata, ma non così tanto: appena un po’ più del previsto, circa un punto percentuale del Prodotto interno lordo, dal 3,9 al 5%. Il deficit di bilancio quest’anno, invece, potrebbe toccare l’8,2% del Pil a fronte di un obiettivo ufficiale del 7,6%.
L’ALLARME DELLA TROIKA. Dal canto loro, i commissari della Troika – Ue, Bce e Fmi – senza mezzi termini hanno concluso che l’indebitamento greco è ormai «fuori controllo».
Tanto è bastato per agitare le piazze europee e mandare in fumo 186 miliardi di euro. In una sola giornata Madrid, Francoforte, Parigi e, ovviamente, Milano hanno perso quasi il 4%. Mentre lo spread italo-tedesco sui titoli decennali tornato a quota 330 punti
VIGILIE PERICOLOSE. Il ministro delle Finanze greco Evangelos Venizelo ha pure indetto una conferenza stampa per spiegare, al mondo e ai mercati che, sì, è confermata la contrazione di bilancio ma «l’obiettivo ora è frenare la recessione per non peggiorare le cose».
E come alla vigilia della tranche precedente, le ansie greche si ripetono. Senza l’assegno della Ue, che dovrebbe essere staccato a fine settembre, salteranno i pagamenti di stipendi, pensioni e altri impegni di spesa.

Le altre malate dell’Eurozona

E le cose non vanno meglio nelle altre economie periferiche dell’Unione. A partire dalla piccola Irlanda. La tigre celtica, dei tre Paesi dell’Unione che hanno invocato il bailout (85 miliardi a novembre 2010), era quello che presentava i fondamentali più solidi con le liberalizzazioni già avviate e un mercato del lavoro più competitivo. Bisognava ripulire i caveau delle banche che si erano intossicati di mutui subprime mai riscossi.
TAGLI IN VISTA PER L’IRLANDA. Il ministro delle Finanze Michael Noonan il primo settembre ha garantito che sarebbe riuscito a ridurre il deficit pubblico all’8,6% del Pil, a patto che ci si sforzi il prossimo autunno a tagliare altri 3,6 miliardi di spese.
Ma in Irlanda il fondo del barile è già stato raschiato. Il Tallaght, uno dei maggiori ospedali del Paese che si trova a sud di Dublino e serve mezzo milione di cittadini, per fare un esempio, rischia la chiusura dopo che nell’ultimo anno si è visto dimezzare il budget da 10 a 5 milioni di euro.
Ed è guerra di numeri anche a Dublino. Uno dei maggiori think tank irlandesi giovedì scorso ha tagliato le prospettive economiche dell’isola, affermando che il Pil crescerà appena dell’1,8% nel 2011, in calo rispetto alle previsioni del 2% scritte in manovra di bilancio.
I NUMERI VAGHI DI LISBONA. È stato più vago il primo ministro portoghese Pedro Passos Coelho, che in settimana ha dichiarato che il «consolidamento del bilancio è inevitabile», mentre il ministro delle Finanze Vitor Gaspar prennunciava un inasprimento della pressione fiscale partendo dall’aumento dell’Iva.
Gaspar colpirà anche i redditi dei lavoratori dipendenti e le aziende che realizzano i profitti più alti (poche nella piccole economia di Lisbona). E sono in programma ulteriori tagli di posti di lavoro nell’amministrazione pubblica. Il Portogallo, terzo Paese nella lista dei bailout (78 miliardi di euro), dovrebbe riuscire ad azzerare suo deficit di bilancio entro il 2015, partendo da un livello pari al 9,1% del 2010.
Ma anche a Lisbona i dati sono tutt’altro che incoraggianti. Gaspar per l’anno in corso attende una contrazione del Pil del 2,3% e 1,7% per il 2012.
Con buona pace degli economisti di tutto il mondo che in coro hanno invocato a non eccedere con l’austerity, invitando a lavorare su crescite sostenibili e a creare nuovi posti di lavoro per far ripartire le economie in stallo e restituire fiducia ai mercati.

Da Lettera 43 di Venerdì, 2 Settembre 2011

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