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Crollo delle borse, ma Francoforte stavolta è la peggiore

Senza stare a farla troppo lunga, vi riportiamo alcuni  articoli che oggi Il Sole 24 Ore pubblica sul crollo delle borse di ieri. Bisogna dire che Confindustria sa scegliere bene i propri giornalisti, lucidi e – stavolta – anche obiettivi. Tanto se la devono prendere con Merkel, mica con i lavoratori…

 

 

Ora la Germania non è più immune
Alessandro Merli
FRANCOFORTE.
Dal nostro corrispondente
Improvvisamente, gli investitori sul mercato azionario tedesco sembrano essersi accorti che la Germania non è un’isola. Se sul reddito fisso conta prima di tutto l’effetto «rifugio» che ha spinto i rendimenti dei titoli di Stato tedeschi sotto lo zero, la Borsa di Francoforte aveva messo a segno fino a un paio di mesi fa un lungo rialzo sospinto dallo stato di salute dell’economia tedesca e dai profitti delle imprese. È stato ieri, però, che la discesa recente si è trasformata in un ruzzolone, per una volta peggiore di quello delle altre principali Borse europee.
La spiegazione va cercata nel bombardamento di notizie economiche negative che ha colpito ieri i mercati finanziari. Il netto rallentamento della Cina, evidenziato dall’indice Pmi del settore manifatturiero, grande cliente dei beni industriali della Germania, e il deludente andamento dell’occupazione negli Stati Uniti sono i fattori più pesanti. Non va dimenticato che la «storia» che ha sostenuto le azioni tedesche nel recupero avviato dopo l’estate scorsa è stata propria la capacità delle imprese di penetrare i mercati extraeuropei nel momento in cui l’Europa è alle prese con la recessione e la crisi del debito sovrano. E le statistiche di ieri sulla crescita dell’export in queste aree ancora nel primo trimestre lo dimostrano. Però in questo trimestre è arrivata una gelata anche su questi mercati (e su altri, dal Brasile all’India) e una macchina così fortemente proiettata sulle esportazioni come quella tedesca non poteva non risentirne.
I dati negativi sull’Europa (dal Pmi manifatturiero alla disoccupazione record) sono un elemento addizionale. Tra l’altro l’export tedesco verso i Paesi dell’Europa meridionale sono crollati del 14% nei primi tre mesi di quest’anno. Come l’estate scorsa, l’eurocrisi pesa sul Dax.
Insomma, la Germania non può essere immune, come è ovvio, da quello che accade nel resto dell’economia mondiale: sui suoi mercati vecchi (non dimentichiamo che l’export verso l’eurozona continua a rappresentare poco meno del 40% del totale, anche se in calo) e su quelli nuovi (soprattuto gli emergenti).
Il fatto che si sia tratto di un risveglio più brusco del legittimo può essere giustificato dal fatto che finora la Germania aveva fatto tanto meglio degli altri. Ma l’indice Pmi del manifatturiero è stato molto negativo anche per la Germania e fa presagire un secondo trimestre poco brillante. E poi, la Bmw ha dichiarato ieri che il mercato tedesco avrà crescita zero nel 2012. Le case automobilistiche erano state le star quando si è trattato di annunciare i risultati 2011. L’annuncio della Bmw mostra che il vento sta cambiando anche lì. E per i tedeschi l’auto conta più di tutto.

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La frenata americana affonda le Borse
Morya Longo
Frena la Cina. Frena l’India. Frenano gli Stati Uniti. La tanto invocata ripresa dell’economia mondiale, unica vera medicina per lenire i dolori della crisi da sovra-debito, sembra allontanarsi sempre più. La sfilata di dati congiunturali degli ultimi giorni (ieri incluso) lo dimostra: la disoccupazione Usa è risalita all’8,2%, mentre l’indice dell’attività manifatturiera in Cina è sceso ben oltre le attese. Insomma: anche le economie dinamiche sembrano spegnersi. Questo da un lato ha depresso i mercati finanziari anche ieri, perché le speranze di uscire dalla crisi si riducono. Dall’altro li ha galvanizzati, perché ha aperto la porta a nuovi probabili interventi delle banche centrali di mezzo mondo. Così, oscillando tra la depressione e la speranza di un arrivo di salvagenti monetari, le Borse hanno vissuto una giornata in altalena. Come l’euro. Come i titoli di Stato.
Il bollettino finale è comunque nero per tutte le Borse. Londra ha perso l’1,14%, Parigi il 2,21%, Milano l’1,04%, Madrid lo 0,41%. Francoforte ha perso più di tutti (si veda articolo sotto), lasciando sul terreno il 3,42%. Le Borse europee ormai sono a un soffio dai minimi toccati nel 2009. In frenata anche Wall Street, con l’indice S&P 500 in discesa del 2,46%. Mentre l’euro, dopo una giornata in altalena, in serata quotava a 1,2426 sul dollaro. Quello che più colpisce non sono però le chiusure. Ma le violente oscillazioni dei mercati durante la giornata. Segno che gli investitori da un lato vedono il baratro (per cui vendono), dall’altro sono convinti che prima o poi le Autorità interverranno per evitarlo (per cui ricomprano). E intanto la speculazione monta: secondo i dati della Cftc le scommesse contro l’euro settimana scorsa hanno toccato il record storico.
Profondo rosso
La seduta è iniziata male perché la Cina si è svegliata con una brusca frenata dell’indice dell’attività manifatturiera a maggio: da quota 53,3 di aprile, l’indice Pmi è sceso oltre le attese a 50,4. Il problema è che è ormai arrivato alla soglia dei 50 punti: una discesa al di sotto indicherebbe una contrazione dell’attività manifatturiera in Cina. E questo, in un mondo globalizzato, avrebbe serie ripercussioni ovunque. Anche perché dall’India, altro Paese dinamico, due giorni fa sono arrivati dati congiunturali altrettanto neri. Questo in mattinata ha fatto chiudere in calo le Borse asiatiche (Tokio -1,20%) e ha causato un’apertura debole per quelle europee. Appesantite anche da indicatori congiunturali non positivi in Europa.
Ma il vero rock si è visto nel pomeriggio, quando dagli Stati Uniti sono usciti gli ennesimi pessimi indicatori economici. Il tasso di disoccupazione è salito dall’8,1% all’8,2%. E l’indice Ism sul settore manifatturiero è sceso a maggio a quota 53,5 dai precedenti 54,8: anche in questo caso sempre più vicino a quota 50. Dopo la prova che rallentano Cina e India, ecco dunque la conferma (l’ennesima) che anche la locomotiva statunitense si sta spegnendo. I mercati, dopo i dati Usa, non potevano che reagire male: dalle 14,25 alle 14,48 le Borse europee hanno perso l’1,43%, portando il ribasso dalla chiusura di giovedì ad un pesante 3,24%. E anche l’euro, nello stesso momento, è sprofondato, toccando quota 1,2295 sul dollaro.
Speranze speculative
Ma il terrore è durato poco. Alle 14,48 è iniziato un repentino rimbalzo: in circa 40 minuti i listini europei hanno recuperato l’1,63%, riducendo il ribasso della giornata ad un più normale -1,66%. E l’euro, dai minimi di 1,2295 in pochi minuti è tornato a 1,2450. Motivo: gli investitori hanno realizzato che con l’inflazione Usa sotto il 2% e con il mercato del lavoro in panne, vengono soddisfatte le due condizioni che la Federal Reserve aveva posto per intervenire con un nuovo quantitative easing: i mercati, insomma, hanno iniziato a credere che presto la Fed annuncerà nuovi acquisti di titoli e nuove iniezioni di liquidità. Le stesse speranze si sono rimaterializzate sulla Bce, che si riunirà mercoledì: tanti sono convinti che annuncerà o un taglio dei tassi oppure una nuova immissione di liquidità (Ltro).
Così tutti gli investitori che prima speculavano al ribasso, sono tornati a comprare: anche perché lunedì e martedì resteranno chiusi per festività i mercati a Londra, per cui a tanti è apparso rischioso tenere posizioni ribassiste troppo a lungo. Ma anche l’euforia è durata poco: i mercati, dopo la fiammata, sono infatti tornati a perdere quota. Ovvio, anche qui, il motivo: la situazione, soprattutto in Europa, resta grave. Ieri il Commissario Ue, Olli Rehn, ha affermato che «l’Eurozona corre il rischio di disintegrarsi». E anche un banchiere come Alessandro Profumo, presidente di Mps, ieri ha lanciato parole d’allarme: «L’ipotesi che tutto si sfasci – ha detto – cresce di giorno in giorno». Insomma: le speranze (speculative) su interventi delle banche centrali hanno nuovamente lasciato il posto alla realtà dei fatti.

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