Anche per Draghi il re euro è nudo
Joseph Halevi
Giovedì ascoltando ampi stralci del discorso di Mario Draghi a Bruxelles il peso e l’importanza dell’intervento mi apparivano evidenti. Per il presidente della Bce l’attuale assetto dell’eurozona non regge più. In effetti la moneta unica non era stata concepita insieme a strumenti capaci di affrontare una crisi come quella esplosa dal 2008. Ne discende che: «Quella configurazione che abbiamo avuto per 10 anni e che era ritenuta – direi forse in maniera miope – essenzialmente sostenibile, si è dimostrata insostenibile a meno che non vengano effettuati ulteriori passi».
Chiarissimo riconoscimento del vicolo cieco in cui si è infilato il sistema monetario europeo. E pensare che Grecia, Irlanda e Portogallo avrebbero potuto essere aiutate con operazioni di rifinanziamento senza alcun costo rilevante per il resto dell’Ue mentre ora un paese dopo l’altro viene risucchiato nel maelstrom dell’austerità.
L’importanza del discorso di Draghi sta tutta qui: il massimo dirigente economico in Europa dice apertamente che il re è nudo. L’eurozona così come è non può continuare e manca una governance all’altezza della situazione. Le altre osservazioni circa la necessità di una maggiore centralizzazione fiscale sono temi da discutere secondo le varie opinioni.
È dunque legittimo concludere che non esistono più punti fermi, passaggi obbligati. Il sentiero da percorrere è quello di rimettere in discussione l’intreccio di interessi e di politiche economiche che ha portato all’attuale situazione. Essi sono in primo luogo interessi di classe diretti – con successo sul piano dei rapporti sociali europei, disastrosi sul terreno della stessa dinamica economica capitalistica – ad instaurare attraverso la moneta unica un regime permanente di deflazione salariale e, tramite le decurtazioni di bilancio, di disgregazione sociale .
Quando mesi fa Mario Monti concesse un’intervista a Die Welt ne sottolineai la rilevanza poiché egli faceva dipendere l’esito della politica di austerità e di non equità, appena varata con l’appoggio incondizionato del Pd, dal sollecito aiuto da parte dell’«Europa». Ora il Presidente della Bce afferma che «l’Europa» nella sua accezione positiva non c’è, manca di governance, deve reinventarsi. Pertanto, anche nel senso di Monti e del Pd, il presupposto centrale del successo dell’azione del governo viene a mancare e con esso decade la ragion d’essere formale della politica dell’esecutivo. Riprendo un’osservazione svolta da Pierluigi Ciocca nell’articolo pubblicato il 23 maggio sul manifesto. Emerge che, a giudicare dal collocamento dei titoli pubblici e dalla loro durata media, il chiasso sull’imminente crollo dello stato finanziario italiano non fosse giustificato mentre, scrive Ciocca, il governo tecnico ha «immediatamente tagliato, in modo percepito come permanente, redditi e pensioni, anche ai più bassi livelli». Riaprire il discorso sull’euro in Italia significa far decadere la politica Monti-Pd e rompere il tabù del rigore di bilancio.
Chiarissimo riconoscimento del vicolo cieco in cui si è infilato il sistema monetario europeo. E pensare che Grecia, Irlanda e Portogallo avrebbero potuto essere aiutate con operazioni di rifinanziamento senza alcun costo rilevante per il resto dell’Ue mentre ora un paese dopo l’altro viene risucchiato nel maelstrom dell’austerità.
L’importanza del discorso di Draghi sta tutta qui: il massimo dirigente economico in Europa dice apertamente che il re è nudo. L’eurozona così come è non può continuare e manca una governance all’altezza della situazione. Le altre osservazioni circa la necessità di una maggiore centralizzazione fiscale sono temi da discutere secondo le varie opinioni.
È dunque legittimo concludere che non esistono più punti fermi, passaggi obbligati. Il sentiero da percorrere è quello di rimettere in discussione l’intreccio di interessi e di politiche economiche che ha portato all’attuale situazione. Essi sono in primo luogo interessi di classe diretti – con successo sul piano dei rapporti sociali europei, disastrosi sul terreno della stessa dinamica economica capitalistica – ad instaurare attraverso la moneta unica un regime permanente di deflazione salariale e, tramite le decurtazioni di bilancio, di disgregazione sociale .
Quando mesi fa Mario Monti concesse un’intervista a Die Welt ne sottolineai la rilevanza poiché egli faceva dipendere l’esito della politica di austerità e di non equità, appena varata con l’appoggio incondizionato del Pd, dal sollecito aiuto da parte dell’«Europa». Ora il Presidente della Bce afferma che «l’Europa» nella sua accezione positiva non c’è, manca di governance, deve reinventarsi. Pertanto, anche nel senso di Monti e del Pd, il presupposto centrale del successo dell’azione del governo viene a mancare e con esso decade la ragion d’essere formale della politica dell’esecutivo. Riprendo un’osservazione svolta da Pierluigi Ciocca nell’articolo pubblicato il 23 maggio sul manifesto. Emerge che, a giudicare dal collocamento dei titoli pubblici e dalla loro durata media, il chiasso sull’imminente crollo dello stato finanziario italiano non fosse giustificato mentre, scrive Ciocca, il governo tecnico ha «immediatamente tagliato, in modo percepito come permanente, redditi e pensioni, anche ai più bassi livelli». Riaprire il discorso sull’euro in Italia significa far decadere la politica Monti-Pd e rompere il tabù del rigore di bilancio.
da “il manifesto”
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