In Argentina il peso è crollato del 7% in poche ore, in Turchia la lira ha perso il 5% dopo aver perduto 1/3 del suo valore nel solo mese di agosto. Qualche scricchiolìo arriva anche dalla rupia indiana, dalla rupia indonesiana, dal rand sudafricano e perfino dallo yuan cinese.
Stiamo parlando solo di quanto accaduto nel mese di agosto, una variabile particolare sui mercati valutari in quanto risente un po’ della pausa vacanziera. Ma quanto avvenuto in questi giorni agostani sembra essere solo l’onda lunga di un accumularsi di crisi in alcuni importanti paesi della periferia capitalista come Turchia e Argentina.
Dopo i primi scossoni a inizio del mese, la lira turca è finita nuovamente sotto pressione a causa di alcune indiscrezioni comparse sulla stampa occidentale secondo cui il vicegovernatore della banca centrale del paese intende rassegnare le dimissioni. In realtà, secondo l’agenzia Reuters, il vicegovernatore e membro del consiglio direttivo della banca centrale turca Erkan Kilimci si sarebbe limitato ad entrare del consiglio di amministrazione della Banca dello Sviluppo della Turchia. Da qui sono partite le speculazioni intorno alle sue ipotetiche dimissioni dalla banca centrale turca. Come noto il presidente turco Erdogan sta esercitando forti pressioni sulla banca centrale affinché persegua politiche monetarie anticicliche, come il taglio o il congelamento dei tassi di interesse anche in presenza di un aumento dell’inflazione.
In Argentina invece il peso ha perso ben il 45% rispetto al dollaro dall’inizio di quest’anno, praticamente si è dimezzato. A complicare le cose è giunta la notizia che il governo ultraliberista di Macrì ha chiesto al Fmi di anticipare il prestito di 50 miliardi richiesto sin dal maggio scorso, nonostante avesse annunciato di non voler ricorrere ai prestiti esterni. “Il mercato non ha reagito bene all’iniziativa di Macri”, ha spiegato Alberto Ramos, responsabile per l’America Latina di Goldman Sachs, secondo cui la mossa è “stata vista come un atto disperato.
A maggio il peso, la valuta nazionale, ha subìto un collasso spingendo la Banca Centrale argentina ad aumentare i tassi di interesse arrivati, nel giro di una settimana, al 40% per cento. L’inflazione oggi in Argentina sta già galoppando al 30% e il ricorso nuovamente ai prestiti del Fmi, alimenta lo spettro e i disastri del 2001 che segnarono profondamente il paese dando vita a sanguinose misure antipopolari e a conseguenti proteste che spazzarono via il governo.
Le Borse europee in apertura sono in negativo, non solo per le onde lunghe che arrivano da Turchia, Argentina e Asia, ma anche per le dichiarazioni del presidente americano Trump all’agenzia Bloomberg news , che ha minacciato il ritiro degli Stati Uniti dall’Organizzazione mondiale del commercio (il Wto), uno scenario che rappresenterebbe un ulteriore rottura del sistema commerciale internazionale in vigore dal dopoguerra a oggi.
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