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Cina e Usa, strategie opposte anche sul piano fiscale

Voglio far notare che il 24 dicembre il Consiglio di Stato cinese ha deciso una forte riduzione fiscale per i redditi medio bassi, detrazioni per centinaia di miliardi di euro. Inoltre, abbassamento dell’aliquota societaria per piccole e medie imprese e fortissima riduzione dell’IVA, che è passata dal 16 al 13%.

Ebbene, nel periodo gennaio-maggio le entrate fiscali sono cresciute del 3,8%, a 1.300 miliardi di dollari, mentre le spese, legate soprattutto ad investimenti, sono cresciute del 12,5%, a 1.350 miliardi di dollari.

Dunque, nonostante ciò, il deficit è ancora in linea, su valori bassi.

Quindi, quando il governatore della People’s Bank of China Yi Gang dichiara che, per fronteggiare la guerra commerciale con gli Stati Uniti, la Cina dispone di “tremendi” margini di manovra fiscale non dice cavolate. Invece l’aggregato monetario, in Cina, a maggio è aumentato di appena lo 0,2% rispetto a maggio 2018.

Dunque, politica monetaria stabile e politica fiscale espansiva. Tant’è che a maggio le vendite al dettaglio, mentre in aprile sono cresciute del 7.2% ed erano previste a maggio in crescita dell’8%, sono aumentate dell’8.6%.

Al contrario il deficit americano al 4,7% è dovuto alla riduzione delle aliquote societarie per le multinazionali, le quali hanno utilizzato questo margine fiscale per buyback azionari: vale a dire acquisto delle azioni proprie.

Il che ha fatto volare Wall Street, ma di investimenti aziendali manco l’ombra.

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