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Investimenti cinesi in Europa: “aziende, non carta”

Il fondo sovrano cinese Cic vuole investire in infrastrutture negli Stati Uniti e in Europa, dato che Pechino cerca di diversificare le propria attività estere. Lo ha detto il suo capo, Lou Jiwei nel corso di un’intervista con il Financial Times. «Le infrastrutture in Europa e negli Stati Uniti hanno un forte bisogno di investimenti», ha detto Lou al quotidiano economico britannico.

«Tradizionalmente, i cinesi sono stati coinvolti in progetti di infrastrutture all’estero come semplici fornitori. Ora, dobbiamo anche investire, sviluppare e gestire progetti», ha detto il capo del Cic. Il fondo cinese è stato creato nel 2007 per investire una parte delle riserve valutarie della Cina, che hanno raggiunto alla fine di settembre uno sbalorditivo totale di 3.200 miliardi di dollari.

Un altro funzionario del Cic ha recentemente ricordato che gli investimenti cinesi sono principalmente orientati verso progetti con alta redditività. Alla domanda sulla possibilità per la Cina di aiutare i paesi europei fortemente indebitati, il funzionario, Jin Liqun, ha detto nei giorni scorsi alla stazione televisiva Al-Jazeera: «La nostra gente si chiederà: Sei sicuro che è possibile ottenere un buon ritorno sull’investimento?»

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da “il manifesto” del 29 novembre

Piano Marshall alla cinese
Michelangelo Cocco
PECHINO
Chi sperava in una pioggia di denaro dalla Cina, con la Repubblica popolare che acquistasse in massa i buoni del tesoro dei paesi più indebitati dell’eurozona, sarà costretto a rivedere i suoi conti. Pechino vuole diversificare gli investimenti delle sue enormi riserve di valuta estera (3.200 miliardi di dollari) ma lo farà in maniera oculata e redditizia. Segnali in questo senso erano stati lanciati già nelle scorse settimane ma ieri, con un intervento sul Financial Times, è arrivata la conferma ufficiale da parte di Lou Jiwei, a capo del China investment corporation (Cic), che con 410 miliardi di dollari in cassaforte è il più ricco dei fondi sovrani della seconda economia del mondo.
Sul quotidiano finanziario Lou ha spiegato nei dettagli la strategia di Pechino: partecipare a rinnovamenti infrastrutturali nel Vecchio continente (e negli Stati Uniti) non soltanto nella veste di contractor, ma anche come investitore, sviluppatore e operatore di partnership pubblico-privato (Ppp). Il passo d’esordio – secondo quanto anticipato da FT – sarà mosso con la costruzione della linea ferroviaria ad alta velocità che collegherà Londra al nord dell’Inghilterra, per la quale l’esecutivo britannico è a caccia di fondi in Asia e Medio Oriente.
Il piano di Pechino – la cui economia sta rallentando a causa della flessione della domanda da Ue e Usa ma anche per effetto di un piano quinquennale che si prefigge di ridurre la dipendenza dalle esportazioni e sviluppare i consumi interni – mira, attraverso il Cic, a diversificare gli investimenti in valuta estera, la maggior parte dei quali si ritiene siano impegnati in treasury bond statunitensi.
Perché il governo non possa permettersi acquisti indiscriminati di titoli europei del debito pubblico l’ha spiegato ad Al Jazeera Jin Liqun, un alto funzionario del Cic: «La nostra gente ci chiederebbe: aspettate un attimo, siete sicuri di poterne ricavare un guadagno adeguato?». Bruciano ancora i fallimentari investimenti nella banca d’affari Morgan Stanley e nella società finanziaria Blackstone, le cui azioni crollarono durante la crisi finanziaria del 2008. Quelle perdite portarono severe critiche nei confronti del China investment corporation, creato soltanto un anno prima. E in questa fase, con l’inflazione alta, il rallentamento della produzione e l’avvicendamento della leadership politica alle porte, occorre procedere con estrema cautela.
Lou sembra proporre un intervento massiccio in Europa, una sorta di «Piano Marshall del secolo cinese», e argomenta che una ripresa economica stabile non si può realizzare solo per effetto della crescita della domanda nelle economie in via di sviluppo ma su grossi progetti infrastrutturali per i quali l’Europa ha «drammaticamente bisogno di più investimenti». E, insiste, l’Europa «libera della pressione inflazionistica che affligge molte economie emergenti, può effettuare investimenti sostanziosi» e «i governi che cercano di ottenere investimenti esteri per le infrastrutture dovrebbero, se necessario, allentare le restrizioni normative». Il modello proposto sembra essere quello del Pireo, il porto di Atene (il più grande del Mediterraneo per traffico di container) di cui due anni fa la cinese Cosco si è aggiudicata per 35 anni la gestione dei terminal commerciali e da allora ha rimosso le principali garanzie a tutela dei lavoratori.
Oltre a quello degli investimenti infrastrutturali, c’è il capitolo dell’acquisto di aziende. Il ministro del commercio Chen Deming ieri ha annunciato che «l’anno prossimo invieremo una delegazione per promuovere il commercio e gli investimenti in Europa. Alcuni paesi europei stanno attraversando la crisi dei debiti e sperano di convertire in liquidità alcune delle loro operazioni e vorrebbero che le loro imprese venissero acquistate dal capitale straniero».
Un mese fa Jin Liqun aveva parlato chiaro, almeno a chi volesse intendere: «Detesto utilizzare la parola salvataggio, l’Eurozona è uno dei pochi colossi economici e politici che si aspetta la carità dalla Cina e dalle nazioni emergenti. Noi vi rispettiamo, per favore, rispettatevi anche voi».

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