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Fritto misto di governo, con cadeau a Berlusconi

 

 

Se qualcuno pensava ci fosse un margine per “ridurre il danno” provocato dalle riforme del governo, soprattutto in materia di mercato del lavoro, sarà rimasto deluso. Nel lungo vertice tra Monti e i segretari dell’ABC (Alfano, Bersani, Casini) il capitolo del lavoro non èstato neppure aperto. Monti – com’era nelle ateese – ha accettato di rimuovere i pochissimi ostacoli sulla “flessibilità in entrata” (le piccole restrizioni di utilizzo ad alcuni dei contratti precari), come chiedevano Confindustria e i suoi ventriloqui nel Pdl. Mentre Bersani non ha nemmeno accennato a ridiscutere la formulazione pensata da Monti per eliminare di fatto l’art. 18. Il vertice ha infatti deciso di “accelerare l’iter di approvazione” del ddl, in discussione al Senato.

Questi sono i fatti. Il resto sono chiacchiere nuone da spendere nei talk show.

Giustamente, ala fine, Monti si poteva mostrare soddisfattissimo, al punto di parlare di “nuovo patto politico”, con i tre partiti votati a sostenerlo da qui alle elezioni 2013. Nessuno però poteva dubitare che le cose potessero andare altrimenti. Le elezioni anticipate, in queste condizioni, sarebbero un bagno di sangue per tutti e tre i partiti, che portano la responsabilità di votare provvedimenti socialmente crudeli.

Ma il “patto politico” non è un “patto per la crescita”. E infatti il governo, preparando il Def (il documento di politica finanziaria di metà anno), è costretto a rivedere al ribasso le stime sul Pil del 2012, che calerà (secodo loro) dell’1,2%. Mentre Ocse e Fmi prevedono una caduta superiore, del 2,2.

In piena recessione, infatti, è assolutamente impossibile “rimettere in moto” l’economia senza investire un euro. E il governo non intende investire nulla. Tutte le idee che vengono prese in considerazione, infatti, debbono viaggiare all’interno della cornice prefissata: a costo zero.

Il piano di Passera prevede minutaglia come un decreto sulla revisione degli incentivi, l’intesa con le banche per lo sblocco dei pagamenti della pubblica amministrazione alle imprese e il rilancio delle opere infrastrutturali.

La bozza parte dal precupposto che “per realizzare la crescita sostenibile non ci sono scorciatoie di breve periodo, soprattutto in una situazione come l’attuale, caratterizzata da una limitatissima disponibilità di risorse pubbliche”. Lo sviluppo diventa dunque possibile solo “se tutti i ‘motori’ della crescita funzionano adeguatamente e se tutti ‘spingono’ nella stessa direzione”. Ideologia al posto di azioni, insomma.

I fattori chiave sarebbero infatti: il dinamismo dell’economia (liberalizzazioni, rafforzamento della concorrenza, mercato del lavoro più dinamico); la competitività del sistema (con particolare attenzione alle infrastrutture, più programmi specifici su giustizia e istruzione); la competitività delle imprese (che dipende anche dal sistema fiscale, dalle politiche energetiche e dal funzionamento della P.A.); la capacità di difendere e rafforzare la coesione sociale (quasi una barzelletta macabra, dopo la riforma delle pensioni e del mercato del lavoro); un welfare coerente con gli obiettivi di bilancio.

L’unico punto di possibile frizione resta quello delle frequenze tv, dopo che il governo – ancora per decisione di Passera – ha scelto di annullare il “beauty contest” (letteralmente “concorso di bellezza”) che le avrebbe assegnate gratis a Mediaset e Rai. Per questo, oggi a ranzo, si vedranno direttamente Monti e Berlusconi. Che così dimostra non tanto di “scavalcare” il presunto “segretario del Pdl”, Angelino Alfano, quanto di considerare centrale – in tutta l’agenda di governo – soltanto questo punto, di solare interesse personale.

Il fatto che Monti, colui che secondo una puteolente vulgata “democratica” ci avrebbe “liberato” da Berlusconi, si metta a discutere con lui a quattr’occhi e senza testimoni proprio di frequenze televisive dovrebbe illuminare la vera natura di questo esecutivo. Mandato a massacrare il lavoro dipendente (in attività o pensionato) e a consolidare la centralità assoluta dell’impresa. Per quanto afflitta da “conflitto di interessi”.

Bisogna essere assolutamente fessi – o in malafede – per non accorgersene.

 

Quanto alle “previsioni economiche” sul prossimo futuro, anche i “tecnici” sembrano muoversi sul terreno della propaganda.

Il Pil calerà, come detto, dell’1,2% quest’anno, in peggioramento di 0,8 punti rispetto alle ultime stime di dicembre. Per effetto delle manovre correttive varate nel corso del 2011 calerà però anche il deficit (1,7% del Pil quest’anno) per arrivare al «quasi pareggio» nel 2013 quando, con un Pil sperato in ripresa di mezzo punto, dovrebbe viaggiare attorno al -0,5%. Il deficit a zero è previsto solo tra il 2014 e il 2015 (ma il Fmi dice “nel 2017”).

Il Def annuncia comunque un peggioramento sostanzioso del debito pubblico (lo stock accumulato nel tempo), che quest’anno sarà ancora in forte salita (+3,9%) per attestarsi a quota 123,4 per cento sul prodotto interno.

Le stime del governo sono comunque  migliori rispetto alle indicazioni arrivate dalla Commissione europea (-1,3%) e anche rispetto al valore più alto della “forchetta” di Banca d’Italia, che fissava un calo del Pil in termini reali dell’1,5%. Per non parlare delle stime diffuse dal Fondo monetario, che nel World economic outlook stima per il nostro Paese un Pil sottozero per due anni consecutivi: -1,9% nel 2012 e -0,3% nel 2013.

L’effetto più intenso della crisi sull’economia reale è previsto per il mercato del lavoro. Quest’anno, secondo il governo, l’occupazione si ridurrà dello 0,6% , con un tasso di disoccupazione atteso al 9,3%. L’inversione di tendenza non è attesa prima del prosssimo anno. In crescita anche i prezzi al consumo, con un indice armonizzato al 3 per cento nella media d’anno, in aumento rispetto al 2011.
La debolezza dell’economia comporta un aumento della pressione fiscale prevista intorno al 45,1%, massimo storico. 

E visto che nell’immediato non c’è trippa per gatti, il governo cerca di distrarre “le masse” facendo scrivere ai giornali che però nel 2020 – tra otto anni! – avremo una “crescita del Pil del 5% annuo”, come ai tempi del boom degli anni ’50. Non potendo darci risultati concreti, anche i tecnici provano a venderci il Colosseo nel mondo dei sogni.

 

Per verificare:

«Cambiare passo per uscire dalla crisi»: le indicazioni sono contenute nel Programma Nazionale di Riforma allegato al Documento di Economia e Finanza. Si va dal fisco al credito, dall’efficienza della pubblica amministrazione all’istruzione. Il Tesoro fissa dunque le strategie in otto punti: 1) Risanamento delle finanze pubbliche, riforma del sistema fiscale, spending review: 2) Accesso al credito per le imprese; 3) Promuovere la crescita e la competitività del sistema produttivo; 4) Un mercato del lavoro più efficiente, equo e inclusivo; 5) Una Pubblica Amministrazione più efficiente al servizio dei cittadini e delle imprese; 6) Creare nuove competenze e generare innovazione: istruzione, educazione universitaria, ricerca & sviluppo; 7) Verso una crescita più sostenibile; 8) Usare efficacemente la Politica di Coesione per ridurre i divari territoriali.

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