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Landini nella trappola tesa da Camusso e Confindustria

Perché nella Cgil si è riaperto lo scontro tra Maurizio Landini – segretario generale della Fiom – e Susanna Camusso, “capo” della confederazione? Il primo aveva approvato l’accordo interconfederale del 31 maggio scorso – deciso dalla prima insieme a Bonanni, Angelettie Confindustria – nonostante ci fossero scritte, chiaro e tondo, sia l’interdizione alla contrattazione per tutti quei sindacati che non aderivano a quell’accordo, sia le sanzioni per i sindacati, i delegati o i singoli lavoratori che dovessero in futuro scioperare contro o a dispetto degli accordi firmati soltanto da Cgil-Cisl-Uil (l’Ugl contava solo nelle fotografie e finché c’era la Polverini, ora è tornata nel cono d’ombra dei “complici minori”).

Possibile che Landini si sia accorto soltanto adesso dell’orrore contenuto in quell’accordo? Se sì, dovremmo definirlo un pessimo sindacalista, che non sa leggere gli accordi. E sinceramente non ci pare possibile. Se no, cos’ha trovato di veramente intollerabile nel nuovo accordo che “regolamenta” nei dettagli quello del 31 maggio 2013? Ci aiuta a capire le cose un post Facebook di Ciro D’Alessio, uno dei più combattivi delegati Fiom alla Fiat di Pomigliano, landiniano di ferro, tra i primi a essere esclusi e non riassunti in fabbrica dopo lo scontro del 2010, tra i protagonisti della battaglia giudiziaria che ha portato alla riammissione forzata di alcuni iscritti alla Fiom anche nello stabilimento-laboratorio del “modello Marchionne”.

“È fondamentale dire a voce alta che la questione non è Landini contro la Camusso. Non è uno scontro portato avanti da un Segretario di categoria contro il Segretario Generale.È fondamentale dire oggi che il dissenso è generale e coinvolge i lavoratori e i delegati della Cgil, contrari alle sanzioni, all’arbitrato confederale e alla struttura dell’accordo interconfederale che contrasta con la sentenza della Corte Costituzionale di novembre, che come riconosciuto anche dalla stessa Cgil ha riportato la democrazia all’interno delle fabbriche”.

Sul piano generale, è ovvio che l’intero accordo del 31 maggio sia anticostituzionale in senso pieno, proprio secondo la sentenza che ha riportato anche la Fiom dentro l’universo Fiat. Quella sentenza infatti, ribadiva il principio costituzionale secondo cui la rappresentanza sindacale è totalmente libera e non può essere limitata da accordi tra le parti (alcuni sindacati e l’associazione delle imprese), specie se vincolata alla firma o no di alcuni accordi e/o contratti; perché il diritto alla “rappresentanza” è costituzionalmente in capo ai singoli lavoratori, che devono poter scegliere il delegato o il sindacato di cui si fidano – e quindi anche formarne uno nuovo, aderire a uno “non firmatario” e farsi eleggere nel corso delle votazioni per le Rsu – senza la “soglia di sbarramento preventiva” costituita dall’adesione a un contratto o accordo.

Anche le “sanzioni” – per il sindacato, il delegato o il lavoratore che sciopera – erano inserite già nel testo di maggio, per quanto non quantificate o meglio spevificate. Insomma: incostituzionale era a maggio e incostituzionale resta a gennaio 2014.

Dov’è la novità? L’unico punto residuo è “l’arbitrato confederale”. Cosa significa? Di fatto una sola cosa: la fine dell’”autonomia contrattuale delle singole categorie”. Fin qui, come dovrebbe esser noto, ogni singola categoria sindacale ha potuto condurre le trattative per il rinnovo contrattuale o altro tipi di accordi (aziendali, di gruppo, categoriali, ecc) in modo “libero”. In teoria, è chiaro. In pratica, soltanto la Fiom – all’interno di Cgil-Cisl-Uil – ha storicamente approfittato davvero di questo “laccio lento”, mettendo in piedi conflitti apertamente “sconsigliati” dalla confederazione madre (epico quello intorno al “modello Pomigliano”, che ha fatto la fortuna mediatica dello stesso Landini come icona della sinistra radicale, mentre Camusso consigliava una “firma tecnica”).

È chiaro altresì che Susanna Camusso, perfida craxiana di lungo corso, ha perfezionato il punto sull’arbitrato confederale per espropriare definitivamente i metalmeccanici – e Landini in primis – dell’unico punto di forza residuale all’interno della Cgil. Ed è chiaro anche che questa decisione è stata accelerata dalla “mossa del cavallo” tentata da Landini nelle scorse settimane, quando ha cercato un’intesa con Renzi proprio mentre la Camusso, al contrario, mostrava insofferenza per il primo segretario del Pd (o quel che c’era prima) apertamente disinteressato a mantenere un “legame privilegiato” con Corso Italia.

La trappola si è dunque chiusa quando il congresso della Cgil era ormai partito e Landini (con quel che restava dell’area programmatica “La Cgil che vogliamo”, guidata da Gianni Rinaldini nel congresso precedente) aveva già rinunicato alla presentazione di un documento alternativo, preferendo giocarsi la partita dall’interno della maggioranza anziché in contrapposizione (i brogli, nei congressi sindacali dei “complici”, sono la norma, non l’eccezione). È quindi rimasto senza autonomia contrattuale – ogni suo tentativo di mantenerla, conflittualmente, sarà interdetto da un “arbitrato” che vedrà Confindustria spalleggiata dalla confederazioni unite – e senza una ragionevole piattaforma programmatica capace di orientare il dissenso interno alla Cgil (l’area che fa riferimento a Giorgio Cremaschi ed altri è rimasta da sola sostenere una battaglia alternativa). E’ un anticipo di “commissariamento” di fatto della principale categoria industriale in Italia, per decenni colonna vertebrale e cervello conflittuale del movimento operaio italiano.

Comprensibile dunque che Landini sia nervoso, come mostrato martedì sera a Ballarò. Ma dovrebbe anche finalmente cominciare a interrogarsi sull’efficacia dei precetti politico-sindacali mandati a memoria quando ancora c’era il Pci e che, palesemente, hanno facilitato lo smantellamento prima del Pci, poi della Cgil e ora – basta guardare negli occhi la Camusso – della Fiom.

Quali? Al primo posto c’è sempre il “combatti chi sta a sinistra e fai mediazioni con chi sta a destra”, presupposto ed effetto della cultura del “compromesso storico”. Alla fine ti ritrovi due democristiani alla guida del Pd e i craxiani (prima Epifani, ora Camusso) a quella della Cgil. Ora manca solo il ritorno di Sateriale alla testa della Fiom…

Il nostro pensiero va però ai tanti lavoratori e delegati onesti che in questi anni hanno creduto – persino comprensibilmente – di aver trovato in Landini la “guida sicura” capace di portarli al riscatto. La strada è certamente più lunga e difficile. senza certezze. Ma per fortuna il sindacalismo, in Italia, ha visto sorgere anche altre forme e organizzazioni. Che, non a caso, vanno crescendo al punto di obbligare Cgil-Cisl-Uil a inventarsi un “accordo” certamente incostituzionale – insieme a Confindustria – per tentare di arrestarne il radicamento sociale. Ci vediamo nelle strade!

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